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26 Dicembre 2024 01:36

Antimafia: sequestro di 150 milioni all’editore della “Gazzetta del Mezzogiorno” Mario Ciancio Sanfilippo

Il tribunale di Catania ha emesso un decreto di sequestro finalizzato alla confisca nei confronti dell'editore del quotidiano La Sicilia. Sigilli pure alle quote della Gazzetta del Mezzogiorno e a 2 tv regionali. Il Tribunale ha nominato dei commissari giudiziari per garantire la prosecuzione dell'attività del gruppo editoriale. Dopo un lunghissimo iter giudiziario, il potente editore di Catania è finito a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa nel 2017 processo che lo vede attualmente imputato.

CATANIA – Il Tribunale di Catania ha emesso un decreto di sequestro finalizzato alla confisca dei beni dell’ 86enne editore e direttore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo.  “Fondi non giustificati nelle società“. Ed ancora: “Sproporzioni fra entrate e uscite”. Il valore complessivo dei beni finiti sotto sigilli dalla sezione Misure di prevenzione, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, è di almeno 150 milioni di euro. I giudici sono andati anche oltre le richieste dei pubblici ministeri, che non avevano chiesto il sequestro del giornale catanese, pur ravvisando delle irregolarità nei bilanci.

Il provvedimento della magistratura catanese è stato eseguito dai Carabinieri del Ros che avevano svolto le indagini, insieme ai colleghi del Comando Provinciale dell’ Arma di Catania. L’ atto d’accusa della procura distrettuale antimafia catanese, evidenziando non solo lati oscuri delle società di Ciancio ( nell’editoria e nell’edilizia) ma anche una strumentalizzazione della linea editoriale del quotidiano La Sicilia. “Linea editoriale che piegava alla sua volontà — hanno scritto i pm nella loro richiesta di confisca — non solo scegliendo sempre persone di sua fiducia e allontanando giornalisti non graditi, ma anche dettando precise direttive nelle ipotesi in cui aveva specifici interessi imprenditoriali ” .

La procura ha portato al processo alcune intercettazioni ambientali: “Emerge con chiarezza — proseguono i pm — che Ciancio telefonava in redazione chiedendo la modifica di alcune linee editoriali, imponeva la redazione di alcuni servizi ( ad esempio sull’aeroporto di Comiso) e partecipava direttamente alle interviste ai politici più importanti che venivano fatti direttamente accomodare nel suo ufficio“.

 A quella linea editoriale del quotidiano era “interessata” la mafia, secondo questo sostiene la Procura di Catania. Che precisa: “Questo pubblico ministero non intende sostenere che la linea editoriale dettata al quotidiano La Sicilia abbia apportato uno stabile contributo a Cosa nostra catanese e ritiene che, comunque, l’analisi della linea editoriale, in alcuni casi “non ostile” a Cosa nostra, deve certamente essere raffrontata con la libertà di stampa“.
Segue una lista di episodi che secondo l’accusa sarebbero indice dei rapporti fra i boss e l’editore oggi sotto processo. “La mancata pubblicazione del necrologio del commissario Montana nel 1985, le campagne di stampa di quando iniziò a collaborare il boss Avola o i titoli sull’arresto di Benedetto Santapaola, o la pubblicazione di lettere di capimafia, quali Vincenzo Santapaola o dei Cappello” .
La Procura di Catania racconta nei suoi atti che nel novembre 1993, il direttore Mario Ciancio Sanfilippo convocò nel suo ufficio il giornalista Concetto Mannisi, il quale si trovò davanti Giuseppe Ercolano, che protestava per un articolo su alcuni reati ambientali in cui veniva definito “massimo esponente della nota famiglia sospettata di mafia“. Ciancio, sentito dai pm, ha minimizzato su quell’incontro nel proprio ufficio, raccontando che era avvenuto con un clima “sereno e scherzoso“. Un racconto molto diverso da quello fatto del giornalista Mannisi, il quale  “ha puntualizzato — scrivono i magistrati — di essere stato infastidito del fatto che Ciancio lo avesse ripreso in presenza di Ercolano, indicandogli i limiti che l’articolo per il suo oggetto avrebbe dovuto avere”.

Sequestrati giornali e tv

Il provvedimento blocca conti correnti, polizze assicurative, 31 società, quote di partecipazione in altre sette società e beni immobili.   Il sequestro è relativo ad un’inchiesta che procede in parallelo con il processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Tra i beni oggetto del nuovo sequestro ci sono la società Etis, che stampa quotidiani siciliani e nazionali, la società Simeto Docks, concessionaria di pubblicità e affissioni, il 100% della società che edita il quotidiano ‘La Sicilia’, le quote di maggioranza della società EDISUD spa editrice del quotidiano la ‘Gazzetta del Mezzogiorno’ di Bari oltre alle due emittenti televisive regionali siciliane ‘Antenna Sicilia’ e ‘Telecolor’.

Sulla base della ricostruzione della Procura di Catania  guidata dal procuratore capo  Carmelo Zuccaro, non ci sono soltanto relazioni pericolose da approfondire, ma anche rapporti poco chiari con la pubblica amministrazione e soprattutto canali finanziari per niente trasparenti. Il Tribunale di Catania ha nominato dei commissari giudiziari per garantire la prosecuzione dell’attività del gruppo editoriale. In base a quanto appreso dal CORRIERE DEL GIORNO, gli amministratori giudiziari a cui è stato affidato il patrimonio sequestrato a Ciancio sono Angelo BonomoLuciano Modica, lo stesso che da anni si occupa dell’azienda Geotrans, confiscata alla famiglia mafiosa Ercolano.

10 anni di indagini

Ciancio Sanfilippo è stato rinviato a giudizio dopo un lungo percorso giudiziario nel 2017 . La Procura della Repubblica di Catania aveva aperto l’indagine a carico di Ciancio nel 2007 affidata al ROS dei Carabinieri,  ma nel 2012 inspiegabilmente  ne aveva chiesto l’archiviazione. Per questo motivo nel dicembre 2015, il giudice per le indagini preliminari di Catania, Gaetana Bernabò Distefano, aveva decretato il non luogo a procedere per Mario Ciancio Sanfilippo che disponendo la trasmissione degli atti ai pm.

Una decisione controversa al punto tale che  il presidente dell’ufficio Gip di Catania, Nunzio Salpietro, che aveva preso le distanze dalla sentenza – poichè che nelle sue motivazioni Distefano aveva escluso il reato di concorso esterno definito come “una figura che si potrebbe definire quasi idealizzata nell’ambito di un illecito penale così grave per la collettività”. Ma la decisione del gip catanese, veniva opposto dal ricorso della Procura di Catania che trovava accoglimento nella successiva decisione  della Suprema Corte di Cassazione, che ha accolto l’appello della procura contro il proscioglimento di Ciancio, ribaltando completamente la decisione del gip Distefano.

Secondo gli ermellini della Suprema Cortenon si sorregge in alcun modo la conclusione della non configurabilità della fattispecie del concorso esterno nel reato associativo” che ha di principio “una funzione estensiva dell’ordinamento penale, che porta a coprire anche fatti altrimenti non punibili”. Ed è stata a seguito di questa decisione che lo scorso anno un nuovo Gup,  il terzo in dieci anni di indagini chiamato a occuparsi della vicenda Ciancio  – ha disposto il processo per l’editore catanese, che è tutt’ora in corso,

I 52 milioni trovati in Svizzera. La Procura di Catania già nell’avviso di conclusione delle indagini del 2015  indicava di aver rintracciato cinquantadue milioni di euro depositati in Svizzera e non dichiarati in occasione dei precedenti scudi fiscali.“In quelli per i quali sono state sin qui ottenute le necessarie informazioni – spiegavano i pm – sono risultate depositate ingenti somme di denaro, 52.695.031 euro che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali”. Davanti ai magistrati, nel corso di un interrogatorio, Mario Ciancio aveva cercato di giustificare l’origine di quelle somme, ma la sua auto difesa non aveva convinto i magistrati, che anzi ribadivano ed indicavano come “la successiva indicazione da parte dell’indagato della provenienza delle somme non documentata, abbia trovato smentita negli accertamenti condotti”.

I magistrati hanno verificato ed accertato che i fondi che Ciancio deteneva in Svizzera, erano intestati ad alcune fiduciarie del Liectenstein. Una prima richiesta di sequestro veniva respinta, e quindi la procura catanese si è affidata alla società “PWC”, una società internazionale che si occupa di revisione di bilanci e consulenza legale, di esaminare tutte le evoluzioni del patrimonio dell’imprenditore catanese dal 1979 al 2014. Ciancio durante questa fase processuale si era affida al consulente finanziario Giuseppe Giuffrida, i quale replicò senza successo  alle accuse della magistratura. Infatti Il 10 luglio dell’anno scorso, i pubblici ministeri inquirenti Antonino Fanara e Agata Santonocito hanno formulato le loro conclusioni.  I magistrati hanno ritenuto, però, alla luce della consulenza della PWC fondata sull’analisi di 1.500 bilanci., di dover sequestrare 45milioni di euro depositati nel conto corrente Intesa San Paolo di Catania ed i 25 milioni di euro presenti, fino a pochi anni fa, in Svizzera. Alla fine degli accertamenti e verifiche sono emerse delle inconfutabili “sproporzioni” nelle casse delle società, per l’ingresso di capitali non ben identificati.

In pratica il principale editore del Sud Italia non è mai riuscito a giustificare la provenienza del tesoretto depositato in Svizzera e Lussemburgo, dove inizialmente una prima richiesta di sequestro da parte della Procura di Catania era stata respinta. Mentre invece questa volta è arrivato il via libera.

Ciancio: “Non ho mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi”

‘Nell’ambito del procedimento di prevenzione a mio carico ritenevo di avere dimostrato – ha dichiarato Ciancio Sanfilippo attraverso i miei tecnici e i miei avvocati, che non ho mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi e che il mio patrimonio è frutto soltanto del lavoro di chi mi ha preceduto e di chi ha collaborato con me. Ritengo che le motivazioni addotte dal Tribunale siano facilmente superabili da argomenti importanti di segno diametralmente opposto, di cui il collegio non ha tenuto conto”. L’imprenditore annuncia anche che i suoi legali “sono già al lavoro per predisporre l’impugnazione in Corte di Appello’‘ e si dice “certo che questa vicenda per me tristissima si concluderà con la dovuta affermazione della mia totale estraneità ai fatti che mi vengono contestati, come dimostra la mia storia personale, la mia pazienza e la mia ormai lunga vita nella città di Catania”.

Il presidente della commissione regionale siciliana antimafia, Claudio Fava, ha lanciato una proposta: “Il sequestro del quotidiano La Sicilia nei confronti di Mario Ciancio diventi l’occasione per ribaltare la storia opaca di quel giornale e della sua direzione. Se vi sarà confisca, si affidi la testata ai giornalisti siciliani che in questi anni hanno cercato e raccontato le verità sulle collusioni e le protezioni del potere mafioso al prezzo della propria emarginazione professionale, del rischio, della solitudine“. Per il presidente dell’Antimafia, “togliere non basta: occorre restituire ai siciliani il diritto a un’informazione libera, autonoma, coraggiosa. Lo pretende anche il rispetto dovuto agli otto colleghi uccisi dalla mafia e dai suoi innominabili protettori per aver difeso quel diritto contro ogni conformismo”. Il ministro per il Sud Barbara Lezzi, parla di “brutta notizia per l’informazione” e si dice vicina “ai lavoratori delle testate”.

L’ex ministro dell’ interno e sindaco di Catania Enzo Bianco, ha commentato:  “Ciancio? Non entro nel merito delle accuse, certo i magistrati di Catania non sono khomenisti. Non c’è dubbio che l’editore, per tanti anni, abbia fatto e disfatto le trame di potere della città. I fatti di queste ore sono devastanti, per l’unica grande città d’Italia che ha un solo giornale”

Alla luce degli sviluppi giudiziari che riguardano le proprie aziende“, con una nota – Mario Ciancio Sanfilippo  ha rassegnato le proprie dimissioni da direttore de ‘La Sicilia‘. Contestualmente ha lasciato la condirezione anche suo figlio, Domenico Ciancio Sanfilippo. Il giornale da domani sarà firmato da Antonello Piraneo, nominato direttore responsabile dall’assemblea dei soci della Domenico Sanfilippo Editore,

Per la prima volta dopo 12 anni di indagini e procedimenti, la Gazzetta del Mezzogiorno ha pubblicato la notizia che riguarda la vicenda giudiziaria a carico del suo editore. Imbarazzante la posizione della Federazione nazionale della Stampa italiana, l’Associazione Siciliana della Stampa, l’Associazione della Stampa di Puglia e l’Associazione della Stampa di Basilicata che esprimono “preoccupazione per il sequestro del quotidiano “La Sicilia”, della maggioranza delle quote azionarie della “Gazzetta del Mezzogiorno e delle emittenti televisive Telecolor e Antenna Sicilia, disposto dalla Dda di Catania nell’ambito della confisca di beni nei confronti dell’editoreDirezione Distrettuale Antimafia“.

Ferme restando le esigenze di indagine e nel rispetto dell’attività degli inquirenti, sostengono Fnsi e Associazioni regionali di stampa, “il sindacato dei giornalisti non può non evidenziare il rischio che tale provvedimento possa mettere a repentaglio la sopravvivenza di aziende editoriali che rappresentano un patrimonio per l’informazione nel Mezzogiorno. Per questo auspica che la situazione venga chiarita e si risolva in tempi brevi e che, nel frattempo, l’attività di gestione dei commissari giudiziari nominati per garantire la continuità delle aziende non pregiudichi l’autonomia delle testate e il regolare svolgimento delle attività redazionali, assicurando la piena operatività anche sotto il profilo del rispetto dei diritti e delle prerogative dei giornalisti e degli altri lavoratori”. Il comunicato sindacale si conclude informando che “si attiverà da subito per incontrare i commissari giudiziari e chiedere garanzie sulla tutela delle testate e sulla salvaguardia dei livelli occupazionali”, dimenticando ( o ignorando … ?) che queste decisioni in realtà spettano alla Magistratura e non ai commissari. E che non si è mai vista una Procura della repubblica invadere l’autonomia di un giornale.

Ma spiegare tutto ciò a dei sindacalisti , specialmente a quelli pugliesi che sono in prevalenza dipendenti della Gazzetta del Mezzogiorno è come sempre una perdita di tempo. Quello che invece noi auspichiamo, nel rispetto delle forme di garanzia costituzionale per gli imputati, è che venga fatta chiarezza e giustizia e sopratutto  fatta finalmente “pulizia” sulla provenienza di capitali occulti che finanziano l’informazione per oscuri motivi.

Queste le società di Ciancio sottoposte a sequestro: 

Sige Spa, è il pilastro editoriale del gruppo Ciancio, che è socio all’87%, mentre le restanti quote appartengono alla Etis, società che gestisce la tipografia. Nella Sige sarebbero stati immessi 10,4milioni di euro dei quali 9,4 non sarebbero “giustificati”. Da questa società, ha accertato la magistratura, “Ciancio riceve ben 33milioni e si tratta, quindi, di entrate illecite che sarebbero state conteggiate all’attivo. La Procura ha chiesto il sequestro e la confisca del 100% delle quote della Sige Spa.

Cisa Spa, è uno dei pilastri immobiliari del gruppo Ciancio. La società sarebbe sorta negli anni ’80 con capitali “giustificati” ma sarebbero stati investiti “oltre 12milioni di euro” con somme non giustificate. Anche per questa società, chiesto sequestro e confisca del 100%.

Etis Spa è la società che gestisce la tipografia della zona industriale di Catania. Gli inquirenti ritengono che sia stata finanziata con 3,4milioni di euro “Non giustificati. Anche in questo caso, sequestro e confisca del 100%.

Analoga motivazione per la Società agricola turistica Sater Srl, i magistrati ritengono che ci sia una sperequazione di 12milioni di euro, mentre siano giustificate soltanto somme per 1,8milioni di euro.

Get Srl, in questa società Ciancio ha il 44%, le restanti quote sono di Virlinzi. Negli anni ’80 e ’90 gli investimenti sarebbero giustificati, al contrario non sarebbero giustificati quelli degli anni 2000 e, per questo, siccome le somme sperequate sarebbero servite per altre uscite, il 44% delle quote non dovrebbe essere confiscato per “mancanza di capienza”.

Altro polo editoriale è l’Ies nella quale sarebbero stati investiti oltre 5milioni di euro non giustificati, per questo viene chiesta la confisca al 100%.

Time Spa,  nel 2010 escono 6,7milioni di euro che rientrano l’anno successivo, nessuna confisca richiesta.

S.i.s. Srl è in liquidazione, dal 2000 sarebbero stati investiti 4,2milioni di euro “sperequati”. Chiesta confisca al 100%.

Palma Rossa Srl, è la società proprietaria dei 54 ettari di terreno della Playa, il litorale sabbioso catanese. Si tratta dei terreni che rientrano nel noto Pua, piano di edificazione finito nel mirino della magistratura per l’ombra della mafia. Viene chiesta la confisca del 50% delle quote intestate ai Ciancio.

Azienda agricola San Giuseppe La Rena srl, l’investimento iniziale sarebbe sperequato, confisca chiesta al 100%.

Parco Antonio Srl, società costituita nel 1973, di cui Ciancio è proprietario del 41%, le quote restanti sono intestate a società del Gruppo Virlinzi. Non viene chiesta la confisca.

Edisud Spa, società editrice del quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno, di cui Ciancio è socio al 33%, mentre gli altri soci sono la Messapia spa (30%), società sempre del gruppo Ciancio, con la quale controlla la maggioranza societaria dell’editrice,  e la Bari Editrice. Nella società sono stati investiti oltre 10milioni di euro, 9 dei quali non sarebbero giustificati. motivo per cui la Procura ha chiesto il sequestro del 33% delle quote e il 100% della Messapia.

A45 Srl. È una società costituita nel 1990, Ciancio diventa socio nel 1993. Gli investimenti effettuati sarebbero sperequati. Chiesta la confisca del 100%.

Gea servizi Srl, investimenti sperequati, chiesta confisca al 100%.

La Sicilia Multimedia Srl. Tutti gli investimenti sarebbero avvenuti “con somme non giustificate”: 2.250mila euro su 2.300mila euro. Chiesta confisca al 100%.

Simeto Docks, è la società che gestisce la cartellonistica del gruppo Ciancio. Eccetto un investimento iniziale di 100mila euro, che sarebbe giustificato, tutti gli altri investimenti, per oltre 10milioni di euro, non sarebbero giustificati. Chiesta confisca al 100%.

Telecolor international Srl, è la società editrice di Telecolor. Angela Ciancio, la figlia dell’editore, avrebbe finanziato la società con 1,3milioni di euro in modo non giustificato e avrebbe ricevuto dalla società 2,5milioni di euro nel 2005. Ma la presunta illiceità che interessa la Procura riguarda soltanto le somme versate da Mario Ciancio, 100mila euro, su queste basi, non viene richiesta la confisca.

Società agricola Cardinale Srl. È una società proprietaria della celebre Tenuta Cardinale, costituita nel 2001 Ciancio e gli zii Biondi di Milano, gestisce 78 ettari, parte dei quali doveva essere utilizzata per un centro commerciale, il Mito. La Procura ritiene che ci siano investimenti per 5,2 milioni di euro non giustificati. Chiesta la confisca al 100%.

Società editrice meridionale Srl, non viene chiesta la confisca.

Spiaggia di Sole Srl, investimenti per 750mila euro non giustificati. Chiesta confisca al 100%.

Aci Sant’Antonio sviluppo Srl.Contiene investimenti per 120mila euro che non sarebbero giustificati, per questo si chiede la confisca al 100%.

Società agricola Fiumara Srl, società costituita nel 1977, ma nel 1980 ci entrano Ciancio e Pippo Baudo. Oggi è controllata in parte dal nucleo famigliare di Ciancio e dalla Sater. Sarebbero stati effettuati investimenti per 400mila euro non giustificati. Chiesta confisca al 100%.

Edizioni radiofoniche siciliane. Società costituita nel 1989 e controllata da società del gruppo Ciancio. Sono stati effettuati investimenti per 550mila euro non giustificati, secondo i magistrati. Nessuna richiesta di confisca.

Chiesta la confisca della Cappellina Srl, con investimenti per 4milioni di euro giustificati solo per 8.500 euro. Analogo discorso per la Messapia Spa, aquisita nel 1983 da Ciancio per un prezzo equivalente a 431mila euro, pagato a una società svizzera: investimenti non giustificati per 4,3milioni di euro.

Chiesta confisca al 100% anche di Pk Sud Srl, società che gestisce la pubblicità per il gruppo Ciancio e della Publipiù Srl. Nella prima società, del capitale di 1milioni di euro, sarebbe stato versato solo un quarto (250mila euro), in un anno in cui sarebbe stata calcolata una sproprorzione dei redditi per circa 12milioni di euro.

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