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28 Novembre 2024 01:49

345 posti in meno in Parlamento, i sindaci con un asse bipartisan sperano nel terzo mandato.

Intesa Lega-Pd per una riforma, ma il M5S è scettico. I sindaci delle grandi città non possono candidarsi alle elezioni politiche. La missione del presidente ANCI Decaro (sindaco di Bari) nella Capitale per cercare di convincere i partiti

Il Pd e la Lega sono i partiti con il numero più alto di sindaci in carica. Molti di questi, però, rischiano di rimanere «estranei» alle prossime elezioni politiche del 2023, quando ci saranno 345 posti in meno in Parlamento, a seguito dell’entrata in vigore della riforma “anticasta” voluta dal M5S . Ecco spiegata la ragione per la quale il Pd e la Lega hanno trovato un accordo politico per riformare la legge e rendere possibile il terzo mandato anche per i sindaci delle città più grandi, opzione al momento vietata. E sul tavolo delle trattative è finita anche la reintroduzione dell’elezione diretta dei cittadini dei presidenti delle Provincie. 

A sostegno di questa operazione in favore dei sindaci è entrato in vigore un forte aumento delle indennità per sindaci e gli assessori, che secondo la tabella predisposta dal Governo arriverà progressivamente in tre anni a +100%, cioè a raddoppiare le attuali indennità . Una decisione, questa, che si era necessaria davanti al calo delle “vocazioni”, per la penuria dei candidati sindaco per via di stipendi talvolta irrisori a fronte di forti responsabilità, specialmente a livello giudiziario.

 da sinistra in alto, il sindaco di Bari Antonio Decaro, quello di Bergamo Giorgio Gori , quello di Firenze Dario Nardella , quello di Arezzo Alessandro Ghinelli, quello di Benevento Clemente Mastella e quello di Brescia Emilio Del Bono

Mentre su questa seconda proposta l’ accordo è più in salita a seguito della forte opposizione del M5S, sul terzo mandato il movimento guidato da Giuseppe Conte non ha eretto un analogo muro. Enrico Letta segretario nazionale del Pd si è dichiarato a titolo personale favorevole, allineandosi al leghista Stefano Locatelli, braccio operativo di Matteo Salvini per gli enti locali.

Alle prossime elezioni ci saranno 230 deputati e 115 senatori in meno e chiudere le liste con il bilancino delle correnti interne sarà un problema non facile da risolvere per i segretari dei partiti più grandi. Negli obiettivi di un discreto numero di sindaci sinora finora, c’era sempre stato anche il salto alla Camera o al Senato, sulla base dell’ auto-convinzione di essere i migliori rappresentanti per il rapporto con il territorio. 

Nella lista dei sindaci prossimi a concludere il secondo mandato, e con una incognita sul proprio futuro, è piuttosto lunga e conta nomi anche importanti. In cima alla lista c’è il sindaco di Bari Antonio Decaro, che per fare il primo cittadino del capoluogo barese aveva abbandonato lo scanno in Parlamento dove era stato eletto, consolandosi con la presidenza dell’Anci, associazione che tra gli emendamenti caldeggiati ne sta sostenendo uno che elimina l’ attuale divieto di candidarsi al Parlamento per i sindaci di città sopra i 20 mila abitanti. Decaro, in veste di presidente dell’ Anci , sostenuto da decine e decine di primi cittadini, annuncia una missione per incontrare a Roma i leader di tutti i partiti.

I sindaci che rientrano in questa categoria per correre all’ingresso in Parlamento sulla base della legge attuale hanno l’obbligo di dimettersi sei mesi prima, con la conseguenza del commissariamento prefettizio per guidare della città sino al nuovo voto amministrativo. A “sponsorizzare” il terzo mandato ci sono poi i “dem”, vicini alla fine del secondo: Emilio Del Bono (Brescia), Giorgio Gori (Bergamo), Dario Nardella (Firenze), Mattia Palazzi (Mantova) e Matteo Ricci (Pesaro). Sulla sponda politica opposta, oltre al primo cittadino di Arezzo Alessandro Ghinelli, il più agguerrito sostenitore è il sindaco di Benevento Clemente Mastella (Benevento).

Ma arrivare al terzo mandato per i sindaci prima delle prossime elezioni politiche occorre correre. Nel frattempo al Senato, è stata approvata una modifica alla legge Pella, che consentirà di essere rieletti ai sindaci dei Comuni fino a 5 mila abitanti, superando l’attuale limite fissato a 3 mila. Adesso la patata bollente è in mano alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, la quale sembra aver smorzato la sua iniziale contrarietà all’operazione pro-sindaci per tutte le città: quindi sarà suo compito presentare al Governo un disegno di legge di riforma del Testo unico degli enti locali. Successivamente con gli emendamenti in Parlamento, i partiti puntano alla svolta. Anche se l’incognità “peones” (cioè neo-eletti) con la concorrenza dei sindaci, legati al territorio, fa paura a molti.

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