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28 Novembre 2024 03:39

30 anni fa l’addio di Cossiga al Quirinale: “Mi dimetto per servire la Repubblica”

Non a caso di lì a breve si parlerà di "picconate" e di "picconatore" per descrivere gli interventi del Presidente della Repubblica, proprio per i suoi toni forti, nella forma e nella sostanza, che in certi casi diventano accorati, tanta è la volontà di far capire che nuovi assetti politico-istituzionali debbono sostituire quelli che per oltre 40 anni si sono fondati sugli equilibri prodottisi dopo la fine della seconda guerra mondiale

Sono le 18.38 del 25 aprile del 1992 e Francesco Cossiga, rivolgendosi a “cittadine e cittadini di questo meraviglioso Paese”, con un discorso televisivo a rete unificate che durerà complessivamente 45 minuti, annuncia la scelta di lasciare il Quirinale, in anticipo rispetto alla scadenza naturale fissata per il successivo 3 luglio: “Ho preso la decisione di dimettermi da Presidente della Repubblica, spero che tutti lo consideriate un gesto onesto, di servizio alla Repubblica“.

È il momento culminante di due anni che hanno visto il Capo dello Stato uscire dal suo tradizionale riserbo che aveva caratterizzato i primi cinque del mandato e rendersi protagonista di una serie di esternazioni, per spingere la classe politica ad attuare riforme radicali non più rinviabili, dopo i cambiamenti epocali verificatisi alla fine degli anni Ottanta, a partire dalla caduta del Muro di Berlino.

A segnare l’ultimo periodo del suo mandato è il “caso Gladio: nel 1990 Cossiga rivendica con orgoglio di aver organizzato negli anni ‘60 la struttura paramilitare “Gladio“, facente parte della rete “Stay Behind” varata dalla Nato. Si trattava di un’organizzazione clandestina pensata per salvaguardare la sicurezza nazionale da possibili attacchi ma soprattutto dalla presa di potere della sinistra.

“Talvolta ho gridato ma se ho gridato è perchè soltanto temevo di non farmi sentire” ricordava Cossiga nel suo messaggio agli italiani. Non a caso di lì a breve si parlerà di “picconate” e di “picconatore” per descrivere gli interventi del Presidente della Repubblica, proprio per i suoi toni forti, nella forma e nella sostanza, che in certi casi diventano accorati, tanta è la volontà di far capire che nuovi assetti politico-istituzionali debbono sostituire quelli che per oltre 40 anni si sono fondati sugli equilibri prodottisi dopo la fine della seconda guerra mondiale.

“Dalle elezioni aprile 1992 conferma forte domanda cambiamento”

Superata una serie di ostacoli, interni ed internazionali, che avevano fortemente caratterizzato e condizionato, nei decenni trascorsi, il funzionamento del sistema italiano, si è giunti ad una fase della nostra vicenda – ad esempio Cossiga aveva scritto nel suo messaggio sulle riforme istituzionali inviato il 26 giugno del 1991 alle Camere – che al Capo dello Stato appare particolarmente propizia per coagulare intorno alla questione delle riforme un vasto e costruttivo consenso, un vero e proprio nuovo patto nazionale che permetta di raccogliere, attraverso una profonda trasformazione del modo di fare politica del nostro Paese, la richiesta di cambiamento che sale dalla società civile“.

Una domanda, ribadirà il Presidente nel suo discorso del 25 aprile del 1992, confermata dai risultati delle elezioni svoltesi il 4 e il 5 aprile di quello stesso anno: Democrazia cristiana e Partito comunista, “simbolo di un tipo di società politica, sono stati fortemente penalizzati con il voto e con questo voto credo si sia voluto aprire uno spazio al rinnovamento del nostro sistema politico. Le elezioni hanno posto una forte domanda di governo, di cambiamento e di riforme“.

Da qui un’analisi spietata sulla situazione del Paese, con “gravi ed importanti problemi da affrontare e da risolvere: i nostri appuntamenti con l’Europa, perché Maastricht non è soltanto il nome di una bella cittadina dei Paesi Bassi, non è solo il nome di un Trattato, Maastricht non è qualcosa che noi abbiamo raggiunto, un risultato che noi abbiamo conseguito, è un obiettivo che dobbiamo guadagnare e che non è facile guadagnare, non un esame superato, un esame solo rimandato e che ci sarà fatto secondo prove sicure e prove difficili”.

“Chiare resistenze a cambiare e tentazioni forti di conservazione”

Cossiga elenca poi la necessità di evitare il disastro della finanza pubblica, la tutela del risparmio, anche nelle forme del debito pubblico che sono la ricchezza, certo anche delle banche, ma sono soprattutto la ricchezza dei poveri, dei piccoli, di voi che avete fiducia nello Stato e poco sapete di azioni e di obbligazioni. Il rilancio della produzione interna e sui mercati internazionali, difendere l’occupazione, promuoverla, il risanamento dei servizi pubblici, la guerra dura ma intransigente alla criminalità organizzata, con la vittoria definitiva, perché il diritto sconfigga la mala società“.

Questioni che rendononecessario e urgente risolvere la crisi di governo, chiamare i partiti alla loro responsabilità, promuovere la formazione di un Governo che impegni il Parlamento sulle cose serie”. Esigenze che si scontrano, denuncia Cossiga, con “chiare resistenze a cambiare, tentazioni forti di conservazione, incertezze gravi nelle forze politiche, incognite sulla probabilità di formare in Parlamento maggioranze vere, omogenee, responsabili, soprattutto se le se ricerchi con i vecchi sistemi: con le armate Brancaleone si possono anche eleggere oneste persone, persone capaci, persone per bene, ma non si governa il Paese e soprattutto non si può cambiare“.

Ma c’è soprattutto una contingenza istituzionale che preoccupava il Capo dello Stato: “per promuovere la formazione di un Governo nuovo e forte -spiega- occorre un Presidente forte, occorre un Presidente forte politicamente e forte istituzionalmente. Ed allora io non è che abbia il diritto, ho il dovere di pormi davanti a voi, e pongo alla mia coscienza, se voglio essere fedele al giuramento che ho prestato sette anni fa, un interrogativo: posso essere io questo Presidente?”.

“Per risolvere crisi governo c’è bisogno di un nuovo Presidente forte’

Il mio mandato scade il 3 luglio, dal 3 giugno il presidente della Camera può convocare il Parlamento in seduta comune per l’elezione del mio successore, dal 3 giugno o almeno dal giorno in cui il presidente della Camera convocherà il Parlamento, un elementare dovere di correttezza mi imporrebbe di astenermi da ogni attività di rilievo politico e istituzionale“.

Quindi, sottolinea Cossiga, “io non sono un Presidente forte” e “ho un dovere, quello di permettere che venga qui un Presidente forte, che sia almeno forte perché eletto dal nuovo Parlamento. E quindi la mia scelta dovrebbe essere quella per le mie dimissioni anticipate e per permettere al nuovo Parlamento di dare al Paese un Presidente che forte per la sua elezione e per l’ampiezza temporale e di contenuti del suo mandato, possa affrontare questa grave crisi politica e istituzionale e promuovere la formazione di quel Governo che voi con il vostro voto avete voluto”.

“Allora ho preso la decisione di dimettermi da Presidente della Repubblica. – questo l’annuncio di CossigaC’è chi approverà il mio gesto, c’è chi questo gesto non approverà. Spero che tutti lo consideriate un gesto onesto, di servizio alla Repubblica“. L’addio al Quirinale, “per assicurare un ordinato trapasso di poteri” avverrà formalmente il 28 aprile successivo con la firma dell”atto di dimissioni”.

“Giovani amate la Patria, siamo un Paese con grandi energie”

Commosso fino alle lacrime e costretto a bere per stemperare la tensione, il Capo dello Stato quando si rivolge ai giovani, ai quali “voglio dire di amare la Patria, di onorare la Nazione, di servire la Repubblica, di credere nella libertà e di credere nel nostro Paese“. Quindi un ultimo accorato appello: “questo è un Paese che non sarà una grande potenza politica, che non sarà una grande potenza militare, forse questa è una benedizione di Dio, ma che è un Paese di grande cultura, di grande storia, è un Paese di immense energie morali, civili, religiose e materiali

“Si tratta di saperle mettere assieme e si tratta di fondare delle istituzioni che facciano sì che lo sforzo di ognuno vada a vantaggio di tutti. Che Dio protegga l’Italia, viva l’Italia, viva la Repubblica”.

Francesco Cossiga ci ha lasciato nel 2010, a venticinque anni dalla sua elezione a Presidente. E continuiamo a non dimenticarlo.

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