La Procura di Brescia ha chiesto il rinvio a giudizio del procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale, responsabile del pool affari internazionali, e del pm Sergio Spadaro oggi in forza alla nuova Procura europea antifrodi, accusati di “rifiuto d’atto d’ufficio” per non aver voluto depositare nel 2021 delle prove potenzialmente favorevoli agli imputati del processo per corruzione internazionale Eni-Nigeria, conclusosi il 17 marzo 2021 con assoluzioni “perché il fatto non sussiste” per il quale il giudizio di appello si terrà il prossimo 19 luglio.
L’ufficio della procura bresciana guidato del procuratore capo Francesco Prete contesta a De Pasquale e Spadaro di non aver depositato le vere chat del telefono di Armanna dalle quali veniva alla luce un suo rapporto patrimoniale di 50.000 dollari con il teste che doveva confermarne le accuse a Eni, il supposto 007 nigeriano «Victor», Una chat che Armanna aveva consegnato ai giudici ma cancellandone altri messaggi, come venne da segnalato da Storari e confermato da una perizia, conversazione che avrebbero evidenziato e confermato il collegamento tra la disponibilità del teste a deporre e i 50.000 dollari, o come esplicita corruzione giudiziaria o come acquisto di un imprecisato documento in Nigeria.
Occultati anche i messaggi dai quali il pm Storari aveva fatto emergere, che l’uomo d’affari nigeriano Mattew Tonlagha, altro teste , fosse stato istruito sempre da Armanna sulle risposte contro l’Eni da rendere alla pm Laura Pedio. Un terzo filone riguarda gli screenshot delle asserite chat del 2013 con Descalzi e Granata a riprova del loro ruolo di depistatori, che Armanna aveva mostrato in una intervista a un quotidiano nel novembre 2020, per farle entrare indirettamente nel faldone giudiziario. In questo caso la procura di Brescia contesta a De Pasquale e Spadaro di non aver depositato le indagini dalle quali Storari aveva intuito e dedotto che le chat erano un clamoroso “falso” come è stato in seguito confermato da una perizia, in quanto peraltro i numeri telefonici ascritti da Armanna ai due vertici dell’ Eni non erano neanche attivi nel 2013 , utenze che sono risultate disattive e che non potevano produrre traffico.
I fatti contestati a De Pasquale e Spadaro
L’accusa è di aver lasciato le parti della difesa ignare di alcune prove che scovate dal pm Paolo Storari e segnalate quantomeno dal 15 e 19 febbraio 2021 in mail all’allora procuratore Francesco Greco e all’altra sua vice Laura Pedio, potevano “pesare” sulla traballante sempre meno credibile attendibilità dell’accusatore di Eni, e cioè il coimputato e dichiarante Vincenzo Armanna, ex dirigente Eni allora ritenuto molto attendibile al pari dell’ex legale esterno Eni Piero Amara, sia dai due pm titolari del processo Eni-Nigeria, che da Laura Pedio la quale indagava in quel periodo per depistaggi giudiziari l’amministratore delegato Eni Claudio Descalzi e il capo del personale Claudio Granata.
Infine i due pm De Pasquale e Spadaro sono accusati del mancato deposito, già criticato e censurato come “incomprensibile” dalla sentenza Eni-Nigeria e della videoregistrazione effettuata clandestinamente di un incontro avvenuto nel 2014 con Amara nel quale Armanna, avvenuto due giorni prima nell’ufficio dell’imprenditore Ezio Bigotti, di presentarsi in Procura con le prime accuse ai vertici Eni, preannunciando di volerli fare coprire da “una valanga di merda”. La scelta di far rientrare queste condotte dei pm nel contenitore penale del reato di “rifiuto d’atto d’ufficio” è scivoloso perché accende dei fari su scenari inediti nei rapporti interni nelle Procure, tra titolari di un processo e altri pm.
Probabilmente è questa la differenza che ha indotto la procura bresciana a richiedere di processare i due pm rimarca la differenza del loro comportamento: a inizio 2021 De Pasquale e Spadaro non depositarono queste prove potenzialmente favorevoli alle difese, mentre invece nei mesi precedenti, per argomentare manovre su Armanna (provenienti da ambienti Eni), invece avevano proclamato di voler assicurare alle difese una “simmetria” e perciò riversato da altri fascicoli verbali di testi, chiamandoli in aula a deporre come il caso di Salvatore Carollo o chiedendo al Tribunale di convocarli in extremis come Piero Amara.