In queste ore il centrodestra si compiace e contempla dall’alto dei suoi sondaggi le rovine della maggioranza che ha così faticosamente accompagnato il cammino di Mario Draghi in tutti questi mesi. Quei sondaggi gli assegnano diversi punti di vantaggio e agli osservatori più sbrigativi danno quasi l’idea che il rebus elettorale sia stato già risolto. O quantomeno avviato a soluzione.
Può essere. Ma non è detto. Affatto. Nel calcio si usa dire che la palla è rotonda, per segnalare che ogni risultato è possibile, anche il più sorprendente. In politica viene adoperata una locuzione meno elegante intorno alle qualità morali dell’urna. Locuzione che forse non sarà il caso di ripetere anche qui. Ma il cui senso è chiaro. Le campagne elettorali si giocano voto per voto, seggio per seggio, giorno per giorno. Esse costituiscono un’equazione maledettamente complicata, il cui esito sarà chiaro solo a fine settembre, quando il consenso dei cittadini avrà dato forma a un nuovo Parlamento.
Staremo a vedere, dunque. Quello che si comincia a intuire è il “frame” di questa battaglia. La destra fa leva sulla forza. Ha dato la spallata a Draghi sentendosi più energica e risoluta dei suoi avversari. Si bea dei sondaggi che la danno favorita. E lascia trapelare gli argomenti e il sentore della campagna che si appresta a condurre. La destra è per sua natura decisionista, sbrigativa, possente. E’ Alessandro che taglia il nodo di Gordio, è Napoleone che cerca di prendersi la Russia. Può piacere oppure no, ma il suo marchio di fabbrica è la sua capacità di arrivare dritta al punto, senza fronzoli né troppe incertezze.
La sinistra a sua volta, orfana del mito della rivoluzione, è diventata ormai il luogo della complessità e dell’inclusione. Dell’attenzione, se vogliamo. Dell’attesa. Della cautela. Ma anche della eccessiva complicazione. La sinistra ama discutere, innanzitutto tra sé e sé. A volte spacca il capello in quattro. Si divide in frammenti sempre più piccoli. E combatte più con l’astuzia che con l’impeto. Il suo modello, se vogliamo, potrebbe essere il maresciallo Kutuzov, quello che intrappolò Napoleone nelle maglie del gelido inverno russo.
Ora, questi giudizi sono tagliati con l’accetta. Alludono a regole crivellate da eccezioni, che la campagna elettorale potrà modificare e perfino capovolgere. Inoltre, ci sarebbe da aggiungere tutto quello che danza intorno al conflitto tra questa destra e questa sinistra. E cioè, da un lato quel che resta del grillismo e delle altre potenziali offerte populiste. Dall’altro la possibilità che si ricostruisca finalmente un’offerta centrista, ora che lo spazio tra le due forze principali s’è ampliato così a dismisura. Senza contare la variabile dell’astensione, che a sua volta può modificare sensibilmente l’esito del voto.
Si tratterà di raccontarla, allora, questa campagna elettorale. Di seguirla nei suoi meandri più tortuosi, lungo rotte che non saranno affatto così semplici e lineari come appaiono in questa vigilia. Di pronostici capovolti, infatti, è piena la storia del voto dei popoli. E tanto più in un periodo storico come il nostro, così drammaticamente condizionato dalle incognite della crisi internazionale e dai morsi della crisi economica e sociale.
D’altronde, siamo appena usciti da un percorso tra i più tortuosi e bizzarri della nostra storia. Il partito che quattro anni fa prese un terzo dei voti di tutti ha già perso, almeno stando ai sondaggi, più di due terzi dei suoi voti di allora. E le combinazioni di governo di questa legislatura a loro volta sono state le più fantasiose, le più incoerenti e qualche volta le più scombiccherate che si potessero immaginare.
Dunque è probabile che ci sarà ancora una volta da restare sorpresi. Che poi le sorprese siano belle o brutte, questo come è ovvio è tutto un altro paio di maniche.