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25 Novembre 2024 11:45

La Procura di Monza gioca d’anticipo e sequestra i conti correnti dell’ex parlamentare Paolo Romani

Secondo l'accusa degli inquirenti Romani, quando era a capo del Gruppo Parlamentare di Forza Italia, ha sottratto illecitamente dai conti del partito guidato da Silvio Berlusconi la cifra equivalente a quella sequestrata con la presunta complicità dell’amico imprenditore Domenico Pedico, anch'egli iscritto nel registro degli indagati .

L’indagine della Procura di Monza che lo accusava di peculato per essersi impossessato di una parte dei fondi pubblici destinati al gruppo azzurro a Palazzo Madama era stata determinante per la fine della decennale carriera parlamentare di Paolo Romani: che nel frattempo aveva lasciato Forza Italia per schierarsi con Italia al Centro il movimento politico fondato da Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, per il quale non era stato nemmeno candidato alle ultime elezioni. Le contestazioni avanzate dalla procura riguardano una serie di operazioni segnalate con Sos (Segnalazioni di operazioni sospette) da Banca d’ Italia, in relazioni a movimentazioni compiute da Romani utilizzando i conti correnti ufficiali. Operazioni che pare costituissero una compensazione per delle spese anticipate personalmente dall’ormai ex-senatore.  

Il provvedimento cautelare, emesso dal gip lo scorso 6 ottobre, è stato eseguito oggi, come si legge in una nota del procuratore di Monza, Claudio Gittardi, che coordina l’indagine condotta dalla pm. Franca Macchia. L’indagine, partita da alcune segnalazioni per operazioni sospette sui conti di Forza Italia, ha riscontrato come il senatore, tra il 2013 e il 2018, “avendo la disponibilità di somme di denaro giacenti” sul conto del partito presso una banca di “Palazzo Madama e intestato al gruppo Forza Italia e con delega a suo favore”, riporta il capo di imputazione, “si appropriava dell’importo complessivo di 83mila euro”, tramite tre assegni emessi a sua firma “e a sé intestati”, per poi depositarli sul proprio conto corrente, in una filiale di Cinisello Balsamo.

In sintesi, Romani, in qualità di capogruppo del Pdl e poi di Forza Italia in Senato, aveva accesso al conto corrente del gruppo parlamentare, alimentato con il finanziamento pubblico ai partiti, dove giacevano fondi per un milione e duecentomila euro ereditato dalla gestione Schifani,. Dal 2015 al 2017 si sarebbe direttamente appropriato di somme del gruppo, effettuando bonifici diretti sul suo conto corrente, acceso presso una filiale bancaria di Cinisello Balsamo (Milano). Inoltre, dal 2016 al 2018 avrebbe emesso assegni per 15mila euro a Pedico e per 165.500 euro alla Cartongraf, l’azienda di cui Pedico era titolare, che l’imprenditore incassava e poi “restituiva” quasi integralmente allo stesso Romani, sempre tramite assegni. Infine, dal 2015 al 2018, Paolo Romani avrebbe emesso altri assegni, per circa 95.300 euro, a “molteplici soggetti” sempre con assegni emessi “in relazione ad interessi personali”.

I finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria hanno ricostruito altre due operazioni analoghe. La prima transitati sul conto di Pedico, e su quello della ‘CarontGraft D&K srl‘, società in liquidazione, sempre riferibile all’imprenditore. La somma, è l’ipotesi, sarebbe poi stata dirottata dallo stesso Pedico sui suoi conti personali e, infine, restituita tramite altri assegni bancari a Romani, a cui i pm contestano quattro assegni per un totale di 81mila euro versamenti diretti dal conto del Pdl ai propri conti personali, oltre a un bonifico da 180mila euro all’imprenditore Domenico Pedico. Romani a propria discolpa aveva citato anche l’evoluzione dello scenario politico: a rendere necessaria una più intensa attività del gruppo parlamentare, comprese cene e altri impegni, era stato il “Patto del Nazareno” stretto tra il leader Silvio Berlusconi e l’allora segretario del Pd Matteo Renzi.

“Riconosco che da un punto di vista di estetica istituzionale si trattò di operazione non elegante ma comunque attuata in buona fede e mi dichiaro disponibile a mettere a disposizione dette somme” con queste parole lo scorso luglio Paolo Romani, senatore uscente ed ex capogruppo di Forza Italia, aveva commentato l’ inchiesta della Procura di Monza. Una giustificazione di cui lo stesso senatore coglieva la fragilità di fronte alle modalità del tutto irrituali con cui le presunte “compensazioni” risultavano effettuate. Ieri i pm del capoluogo brianzolo senza aspettare la restituzione spontanea hanno sequestrano a Romani beni per quasi 350mila euro: una parte in contanti reperiti su due suoi conti correnti, il resto una villa nel piccolo centro di Cusano Milanino.

La difesa di Romani nei mesi scorsi si era concentrata sulla qualificazione giuridica del reato: sostenendo che una volta assegnati al gruppo di Forza Italia i soldi non appartenevano più al Senato ma al partito, e quindi la loro distrazione poteva al più costituire una appropriazione indebita. Inoltre, secondo la memoria difensiva corredata dal parere di un costituzionalista, la competenza a vigilare sull’utilizzo dei fondi spettava al Senato e non alla magistratura ordinaria.

Nessuna delle due tesi ha convinto la Procura di Monza, che ieri ha deciso di giocare d’anticipo pignorando i fondi di Romani, suscitando la reazione polemica dei difensori dell’ex azzurro, Daniele Benedini e Gianmarco Brenelli: “Il senatore Romani aveva già preannunciato che per puro scrupolo cautelativo, avrebbe posto a disposizione della Procura la somma ipotizzata come di appropriazione illegittima. Soltanto difficoltà procedurali di autorizzazione bancaria, finalmente ottenuta in data 28 settembre, si erano frapposte all’adempimento a garanzia che il senatore si era formalmente impegnato a depositare durante le sue dichiarazioni avanti il pm. Nulla di nuovo dunque circa un sequestro che semplicemente anticipa l’adempimento spontaneo preannunciato sin dallo scorso luglio dal senatore Romani e oggi inutilmente pubblicizzato e così inevitabilmente enfatizzato“.

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