Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha firmato il decreto che fissa la percentuale di adeguamento delle pensioni in base all’inflazione 2022. Una misura del genere non si vedeva dagli anni Ottanta, in quanto l’incremento che scatterà dal prossimo primo gennaio sarà del 7,3 per cento. In ogni caso, mentre i pensionati si trovano certamente in una situazione migliore rispetto ai lavoratori dipendenti che per ricevere qualche aumento devono aspettare i rinnovi contrattuali di categoria, lo scatto di gennaio compenserà solo in parte l’effetto del carovita.
Da una parte la percentuale del 7,3% calcolata in via provvisoria in base ai dati forniti dall’Istat risulterà quasi sicuramente più bassa di quella effettiva finale. La stima parte dall’inflazione che si è cumulata nei primi nove mesi dell’anno e suppone un ulteriore balzo per ottobre (il cui dato è in realtà già disponibile) ma poi un significativo calo dell’indice dei prezzi sia a novembre che a dicembre. Dunque il tasso definitivo dovrebbe risultare superiore all’8 per cento; la differenza gli interessati potranno recuperarla nel 2024. C’ è chiaramente l’effetto fiscale, in quanto la progressività dell’Irpef riduce l’aumento netto, salvo che per i trattamenti più bassi.
Per capire meglio cosa accadrà, facciamo di seguito qualche esempio. Innanzitutto va tenuto presente che l’incremento scatterà sugli importi lordi, comprensivi del conguaglio della rivalutazione 2022 scattato a novembre (+0,2%). Il trattamento minimo Inps è quindi fissato a 525,38 euro al mese. Per chi percepisce un assegno di questa entità – che non paga Irpef – l’adeguamento lordo del 7,3 % corrisponde a quello netto. Si passa così a 564 euro con un aumento di 38 euro, sempre su base mensile. Le cose cambiano già poco al di sopra della soglia entro la quale l’imposta sul reddito si azzera: con 750 euro lordi si ha un incremento teorico di circa 55, che però si riducono a 39 per effetto della tassazione.
Per una pensione da 1.000 euro lordi al mese la variazione netta mensile è di 52 euro, per una di 1.500 arriva a 75 euro, per poi salire a circa 100 a quota 2.000. Poco al di sopra di questo valore la rivalutazione “frena” leggermente già a partire dal lordo. Questo perché, come prevede la legge, l’adeguamento del 7,3% si riferisce solo allo scaglione di pensione che arriva a 4 volte il minimo, mentre da 4 a 5 volte cioè da 2.102 a 2.627 euro mensili la variazione positiva è applicata nella misura del 90% e al di sopra delle 5 volte il minimo nella misura del 75. Il 90% del 7,3% vuol dire il 6,57% e il 75% il 5,475%. Si tratta di un recupero abbastanza pieno rispetto a quello riconosciuto nel decennio scorso, quando i vari governi per risparmiare risorse finanziarie avevano previsto meccanismi molto penalizzanti per gli assegni medi e alti.
Al momento il recupero netto effettivo a conti fatti, per le pensioni sottoposte a Irpef è del 5-6 %, variabile a seconda dell’effetto del prelievo fiscale sui vari scaglioni di reddito. Probabilmente non compensa del tutto l’impatto dell’ondata inflattiva, che dall’energia si è allargata alla spesa di tutti i giorni; ma è comunque un sostegno forte. Come accennato, a gennaio 2024 ci sarà probabilmente un significativo conguaglio, insieme alla rivalutazione legata all’aumento dei prezzi del prossimo anno.