Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è recato a Palermo per la cerimonia di intitolazione dell’Aula Bunker della casa circondariale Calogero Di Bona “Ucciardone” a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in occasione della giornata conclusiva dell’anno di commemorazione nel trentennale delle stragi di Capaci e Via d’Amelio. Manfredi e Lucia, I figli di Borsellino, hanno preferito stare in disparte, abbracciando Maria Falcone e suo figlio, e sono entrati solo dopo che i politici hanno completato il rito delle strette di mano.
Per salutare i magistrati e i rappresentanti delle forze dell’ordine ci sono il Ministro della giustizia Carlo Nordio, Ministro della giustizia, il ministro dell’ Interno Matteo Piantedosi, il vice presidente del Csm David Ermini, il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, il presidente della Corte d’appello Matteo Frasca, la procuratrice generale Lia Sava, il procuratore de Lucia, il procuratore di Roma Lo Voi. E poi il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Teo Luzi, il vice capo della polizia Pellizzari, il prefetto Messina il direttore centrale anticrimine.
Parole pesanti come macigni sono state pronunciate la sera prima da Alfredo Morvillo ex magistrato oggi in pensione , fratello di Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone: “Non partecipo a manifestazioni in cui ci sono personaggi che non hanno nulla a che fare con i nostri amatissimi giudici” con riferimento proprio all’attuale sindaco di Palermo Roberto Lagalla, sostenuto da due condannati per mafia, Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Un riferimento che molti hanno letto, rivolto anche al presidente della Regione Renato Schifani, imputato a Caltanissetta nel processo sul “cerchio magico” dell’ex leader di Confindustria Antonello Montante. Per Morvillo “non si può accettare di condividere questo momento con personaggi, inevitabilmente invitati, che non hanno nulla a che fare con i nostri amatissimi indimenticabili giudici e che, dall’alto delle loro responsabilità istituzionali, non tralasciano di mandare alla cittadinanza messaggi di pacifica convivenza con ambienti notoriamente in odore di mafia“.
Fra le sedie vuote c’è quella dell’ex pm Nino Di Matteo, oggi consigliere al Csm. Al telefono spiega il perché della sua assenza: “È da tempo ormai che non partecipo a commemorazioni istituzionali, preferisco confrontarmi sui temi della mafia e della giustizia con i giovani e la gente comune“.
Il presidente della Corte d’appello di Palermo Matteo Frasca ha aperto la cerimonia di intitolazione alla presenza del Capo dello Stato e i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio dicendo: “Il dolore dei parenti delle vittime è anche il nostro ed è sempre vivo e neppure lenito dall’accertamento della verità.In quest’aula, esempio unico di efficienza nell’edilizia giudiziaria, costruita in sei mesi per lo svolgimento del maxi processo, grazie al lavoro unico di Falcone e Borsellino, alle loro intuizioni e alla loro rivoluzionaria consapevolezza della specificità di Cosa Nostra si è potuto celebrare un dibattimento che ha segnato la storia della lotta alla mafia“. Frasca ha ricordato l’isolamento e gli attacchi subiti da Falcone e il senso dello Stato dei due giudici che, “nonostante le difficoltà, non si sono mai fermati e hanno sempre manifestato il loro rispetto per le istituzioni. La lotta alla mafia – ha concluso – deve essere sempre al centro dell’agenda politica del governo e del Parlamento, della magistratura e della società civile. È necessario che ciascuno senza compromessi scelga da che parte stare, con i fatti“.
Il ministro della Giustizia Nordio nel corso del suo intervento ha assicurato un potenziamento nella lotta ai clan: “Nella qualità del personale e nell’efficienza delle strutture” alla fine del suo intervento, più preoccupato a rilevare e ricordare prima che “le maggiori critiche a Falcone e Borsellino vennero rivolte da una parte della magistratura“. Il neo procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, uno dei pm che fece condannare Totò Cuffaro, non usa tanti giri di parole: “Lo sforzo della procura è quello di fare luce sui segreti del passato, ma anche di non distrarsi rispetto a quello che è Cosa nostra, che continua ad essere presente nel tessuto economico e politico di questa città“.
Il presidente emerito della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio invece dice: “Perché non è stato fatto tutto quanto era in potere dello Stato per proteggere la vita dei magistrati e poi per arrivare al rigoroso e definitivo accertamento dei fatti? Pure nell’acquisita certezza probatoria che fu Cosa Nostra ad ideare e ad eseguire i crimini, la comunità nazionale ha il diritto di conoscere da chi e perché, dopo la strage di via D’Amelio, fu costruita la falsa verità giudiziaria e i motivi e le oscure finalità di un così indegno e clamoroso depistaggio“.