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22 Luglio 2024 17:04
22 Luglio 2024 17:04

I pm De Pasquale e Spadaro della procura di Milano rinviati a giudizio a Brescia. Sono accusati di rifiuto di atti d’ufficio nell’inchiesta Eni-Nigeria

Il processo a carico dei due magistrati inizierà il prossimo 16 maggio. Secondo l'accusa della procura di Brescia i due pm milanesi non avevano messo a disposizione delle difese nel processo Eni-Nigeria elementi a loro favorevoli come chat whatsapp e video acquisiti in un altro fascicolo

Il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e il sostituto procuratore Sergio Spadaro, in servizio attualmente alla procura europea, sono stati rinviati a giudizio dalla procura di Brescia. L’accusa nei loro confronti è quella di “rifiuti di atti d’ufficio“. A deciderlo è stato il Gup bresciano Christian Colombo che ha fissato il prossimo 16 maggio come data di apertura del processo a loro carico.

Secondo i pm Carlo Milanesi e Donato Greco della procura di Brescia che hanno condotto le indagini, i magistrati De Pasquale e Spadaro, titolari dell’inchiesta che aveva portato al processo Eni- Nigeria, non avrebbero depositato in dibattimento una serie di elementi di prova favorevoli agli imputati raccolti dal pm Paolo Storari che indagava su un fascicolo parallelo, quello del cosiddetto “Falso Complotto. Gli imputati del processo Eni-Nigeria in seguito vennero tutti assolti.

I pm di Brescia hanno evidenziato nel loro intervento in aula come i due colleghi milanesi non avrebbero messo a disposizione “volontariamente alle difese elementi di prova a loro favorevoli” come chat Whatsapp e anche un video acquisiti nell’indagine sul “Falso Complotto“. In particolare viene contestato il mancato depositato delle vere chat del telefono di Vincenzo Armanna, dalle quali sarebbe emerso un suo rapporto patrimoniale di 50.000 dollari con il teste che doveva confermarne le accuse a Eni (il presunto 007 nigeriano “Victor“). L’accusa contestata è anche quella di aver taciuto su altri scambi di messaggi che avrebbero potuto far comprendere il ruolo di “depistatore” di Armanna e così come il mancato deposito della videoregistrazione rubata di un incontro con l’avvocato Piero Amara nel quale Armanna, due giorni prima di presentarsi in procura con le prime accuse ai vertici Eni, si diceva pronto a volerli fare coprire da “una valanga di…“.

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