di Marco Follini
La politica estera è diventato il punto più debole di tutte le costruzioni che ci siamo dati, a sinistra e a destra. Infatti, le opposizioni si dividono con disinvoltura al bivio delle nuove forniture di armi per l’Ucraina. E la maggioranza, che dividersi proprio non può, lascia trapelare a sua volta di avere idee diverse pur senza darvi troppa voce. Così, c’è chi torna a vagheggiare il sospetto di un asse giallo-verde, tra Conte e Salvini, nel nome della ‘pace’ e di una indulgenza verso l’aggressore Putin. E anche se non si arriverà a tanto, resta il fatto che le scelte da fare sullo scacchiere mondiale finiscono a questo punto per diventare il punto debole degli uni e degli altri
Di contro su tanti altri argomenti il coro dei due schieramenti in campo canta pressoché all’unisono. Non c’è praticamente nessuno che a destra faccia obiezione sui temi etici, magari reclamando un briciolo di generosità in più verso i diritti delle coppie omosessuali. E altrettanto nessuno che a sinistra avverta Schlein che nella sua insistenza a favore di quei diritti, e nella radicalità con cui tende a interpretarli, c’è forse qualcosa che può mettere a disagio l’elettorato che un tempo su questi punti avrebbe chiesto lumi a santa madre Chiesa.
Per non dire di argomenti minori su cui la disciplina si rivela ancora più ferrea. Così, dai quotidiani racconti televisivi fino al festival di Sanremo, pronunciamenti e dichiarazioni seguono da una parte e dall’altra lo stesso, identico schema. Non c’è verso di rintracciare un dirigente di destra che spenda una parola indulgente verso Lucia Annunziata e i suoi sfoghi, né un dirigente di sinistra che muova qualche timida obiezione a Fedez e alle sue prediche. Come se una oculata regia distribuisse i ruoli prevedendo le battute con le quali le due metà del campo politico si danno la croce addosso recitando formule ormai largamente stereotipate.
Insomma, c’è una sorta di paradosso nel bipolarismo che ha preso forma in questa legislatura. Il paradosso cioè per il quale i due schieramenti tendono ad andare in ordine sparso sui temi più strategici, quelli appunto che vertono sull’ordine internazionale, le strategie geopolitiche, i percorsi negoziali verso il resto del mondo. E tendono invece a serrare i ranghi non appena si parla di quei temi sui quali le coscienze dovrebbero magari potersi esprimere assai più liberamente fuori da quei vincoli obbligati e strategici che una volta contrassegnavano le alleanze.
In passato poteva anche capitare che qualche democristiano votasse per il divorzio (almeno nel referendum). Ma non che mettesse in questione il Patto Atlantico. E viceversa. La libertà di coscienza aveva margini sottili sui temi etici, e in compenso nessun margine, proprio nessuno, sui temi internazionali. Ora invece abbiamo rovesciato questo paradigma. Si può governare assieme avendo idee diverse sul mondo. Ma si pretende che le idee siano le stesse sul cortile di casa. Con quale beneficio per il Paese, è lecito domandare.
Si dirà che poi esiste pur sempre un vincolo esterno che corregge queste anomalie e riempie almeno in parte questi solchi. E infatti sulle armi a Kiev fin qui hanno votato un po’ tutti i partiti al governo. Almeno tutti quelli che contano. Fdi e Pd, prima di tutto. Ma anche la Lega, ieri e oggi, e il M5S, almeno ieri. Dunque alla fin fine i conti sembrano tornare e il dissenso finisce per essere più una testimonianza a fini elettoralistici che non una scelta di governo.
Magra consolazione, però. Perché proprio questo rovesciamento delle nostre tradizioni lascia intendere come ormai il peso della politica si stia riducendo di giorno in giorno. Come se fuori dai nostri confini il resto del mondo decidesse per conto nostro (per fortuna, viene da dire). E dentro quei confini, invece, a questo punto noi fossimo capaci solo di recitare un copione quasi sempre uguale a se stesso. Una grande monotonia, a dispetto dell’enfasi che la accompagna.