Diventano definitive le assoluzioni per il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni ed il colonnello Giuseppe De Donno, tutti ex ufficiali del Ros dei Carabinieri, e per l’ex senatore Marcello Dell’Utri nel processo sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia. I giudici di legittimità della Sesta Sezione Penale della Cassazione intorno alle 17:30 nell’aula Giallombardo ha letto il dispositivo della sentenza con la formula “per non aver commesso il fatto” annullando senza rinvio la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Palermo il 23 settembre 2021, e confermato le assoluzioni per Mori, De Donno e Subranni .
Il primo a parlare di “trattativa” tra Stato e mafia fu l’ex boss di San Giuseppe Jato, Giovanni Brusca il “boia” di Capaci. Era il 1996. Quella volta, il pentito di mafia, che oggi è un uomo libero, disse di averne sentito parlare Totò Riina, fra le stragi Falcone e Borsellino. Nel frattempo arrivarono le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, morto nel 2002.
Ciancimino junior dichiarò di aver fatto da tramite tra il padre e il Ros dei Carabinieri per giungere ad un “accordo con lo Stato” per fare cessare la strategia stragista di Cosa nostra e arrivare alla consegna dei latitanti. Parlò di una copertura politica degli allora ministri Nicola Mancino (Interno) e Virginio Rognoni (Giustizia) . Non solo, Massimo Ciancimino sostenne inoltre di avere ricevuto il “papello” con le richieste di Riina dal mafioso Antonino Cinà con l’incarico di consegnarlo al padre, che però scrisse un altro papello che doveva essere sempre indirizzato a Mancino e Rognoni (il cosiddetto “contro-papello“) poiché a suo dire le richieste di Riina erano improponibili.
I giudici hanno dichiarato la prescrizione per il boss corleonese Leoluca Bagarella e per il medico Antonino Cinà. I giudici hanno riqualificato il reato di violenza e minaccia a un corpo politico dello Stato nella forma del tentativo. Con la riqualificazione la fattispecie del reato è andata in prescrizione
I pm di Palermo e Caltanissetta nel 2009, si basarono seppure con diversi punti di vista proprio sulle dichiarazioni di Brusca e di Ciancimino. Una inchiesta che portò a vere e proprie fratture e lacerazioni all’interno della magistratura siciliana. La prima udienza si svolse nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo il 29 ottobre 2012, grazie al lavoro dei Pm Antonio Ingroia, che successivamente ha lasciato la magistratura e fa l’avvocato, e dei pm Antonino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene.
In seguito nel pool di magistrati entrerà a farne parte anche un giovane magistrato, Roberto Tartaglia, che rappresenterà l’accusa. Sul banco degli imputati finirono cinque membri di Cosa Nostra, cioè Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, e cinque rappresentanti delle istituzioni, cioè il generale Antonio Subranni, il generale Mario Mori, il colonnello Giuseppe De Donno e l’ex senatore Marcello dell’Utri, per il reato di violenza a Corpo politico, amministrativo o giudiziario.
Nell’inchiesta finirono anche 4 intercettazioni di telefonate tra il ministro dell’Interno Nicola Mancino e il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, successivamente finite distrutte per decisione della Corte Costituzionale. Vennero intercettate varie telefonate tra Loris D’Ambrosio, l’allora consigliere giuridico del presidente Napolitano, e l’ex ministro Mancino, telefonate che hanno alimentato il conflitto istituzionale tra il Quirinale e la Procura di Palermo.
“Sono parzialmente soddisfatto considerando che per 20 anni mi hanno tenuto sotto processo. Ero convinto di non avere fatto nulla, il mio mestiere lo conosco, so che se avessi sbagliato me ne sarei accorto”, ha detto il generale Mario Mori, uscendo dal “Palazzaccio” dopo la sentenza.
“Abbiamo dovuto aspettare 20 anni per la verità”, dice all’Adnkronos il colonnello De Donno. “Ho sempre servito lo Stato e combattuto la mafia. Il nome del Ros e l’Arma sono stati infangati. Finalmente ci è stata restituita la dignità“.
“Sono contento perché finalmente ha vinto la giustizia giusta e ha perso, è stata sconfitta la giustizia malata. La giustizia malata produce malattia, ecco cosa sono questi 20 anni, sono 20 anni di malattia prodotti dalla giustizia malata. Sono felice”. questo il commento di “Capitano Ultimo“, alias il colonnello Sergio De Caprio, l’ufficiale dei Carabinieri al comando del gruppo Criminor del Ros che catturò Totò Riina, imputato con l’ex generale del Ros Mario Mori nel processo sulla mancata perquisizione del covo del Padrino mafioso, conclusosi con l’assoluzione di Ultimo non impugnata dalla procura.
“Questo processo non doveva neanche cominciare, alla luce di come è finito. Marcello Dell’Utri era estraneo a tutte le accuse e ora gli viene riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione”. commenta l’ avvocato Francesco Centonze, legale dell’ex senatore di Forza Italia Dell’Utri. “La trattativa era insussistente – dice il legale – E in ogni caso Dell’utri era estraneo. Oggi viene riconosciuto un lavoro di questi anni ma non abbiamo mai dubitato che finisse così”.
E parlando degli ultimi anni tra indagini, processo di primo e secondo grado, Centonze ha aggiunto: “E’ chiaro che è stato un periodo durissimo – spiega – 30 anni di processo che avrebbero fiaccato chiunque. La verità che Dell’Utri ci trasmetteva andava in questa direzione, non abbiamo mai dubitato che dovesse finire in questo modo”
Non nasconde la propria “soddisfazione” il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Teo Luzi, nel commentare la sentenza che oggi ha assolto definitivamente i carabinieri Mori, De Donno e Subranni. “Le sentenze vanno rispettate, sono contento per l’esito e perché si è finalmente arrivati al termine di una lunga vicenda giudiziaria”, ha aggiunto il Comandante generale dell’Arma.