“Siamo stanchi, siamo stanchi.. “, dice Fabio Demenego scuotendo il capo, a fine udienza, il papà di Matteo . Sul suo viso e nelle sue parole c’è tanta rabbia e legittima delusione e rabbia. Matteo Il giovane agente di polizia Matteo Demenego morto in Questura assieme al collega Pierluigi Rotta, era suo figlio, ucciso il 4 ottobre del 2019 dai colpi di pistola esplosi dal trentenne dominicano Alejandro Augusto Stephan Meran, che era riuscito a impossessarsi delle armi dei due poliziotti, sparando all’impazzata tentando di ammazzare anche altri otto agenti.
L’ assoluzione nel processo di primo grado sentenziata un anno fa , era stata pronunciata dopo una scontro giudiziario a colpi di perizie psichiatriche: un’assoluzione peraltro incredibilmente chiesta proprio dalla Procura della Repubblica di Trieste. Ma la Procura generale, rappresentata in appello dal magistrato Carlo Maria Zampi, aveva immediatamente fatto ricorso.
A tre anni e mezzo di distanza da quel dramma, dopo il primo grado anche la Corte di assise di Appello, presieduta dal giudice Igor Maria Rifiorati, ha assolto l’omicida domenicano per “incapacità di volere”. Maran, vista la pericolosità, sarà trasferito in una Rems, una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Attualmente è ancora detenuto in carcere a Verona.
Ieri è arrivata la sentenza di secondo grado, che mortifica ed addolora ancora una volta i famigliari delle vittime. “Siamo un po’ stanchi di sentire queste scuse: quanto è malato Meran, quanto sta male“ – ha osservato ancora Fabio Demenego, papà di Matteo – “Siamo stanchi di questa storia, però dobbiamo andare avanti e non ci resta niente altro da fare. È un po’ un ripetersi di queste udienze, prese con molta leggerezza. Però i giudici sono loro. Mi auguro solo che quando un giorno servirà loro l’aiuto di un agente di polizia e si presenterà un ragazzo di 20 anni… magari ci pensano”.
Nel processo di appello conclusosi ieri sono state recepite le teorie emerse in primo grado dagli accertamenti dello psichiatra Stefano Ferracuti, ordinario di Psicopatologia forense della facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma. La consulenza era stato assegnata in primo grado dalla Corte di Assise su richiesta dagli avvocati Alice e Paolo Bevilacqua, difensori di Meran. Il professor Ferracuti aveva ritenuto il dominicano “schizofrenico” ed al momento dei fatti “in preda a una condizione di delirio persecutorio tale da escludere totalmente la capacità di volere“. Perizia che aveva ribaltato quella disposta dal collegio peritale (fra i quali c’era anche Mario Novello, psichiatra, in passato responsabile del Dipartimento di Salute mentale Medio Friuli) nominato dal gip Massimo Tomassini in sede di incidente probatorio preparata. Quella perizia aveva indicato una “parziale incapacità” che avrebbe significato una condanna certa. Ma in appello ha prevalso il parere del Ferracuti.
Gli avvocati di parte civile intendono ora sollecitare la Procura generale ad attivarsi per presentare ricorso per Cassazione. “Questa sentenza smarrisce il senso di giustizia“, ha commentato a fine udienza l’avvocato Valter Biscotti, dell’associazione Fervicredo (Feriti e vittime della criminalità e del dovere).
Come deciso in appello l’omicida trentenne dominicano Alejandro Augusto Stephan Meran sarà ristretto per trent’anni in una Rems nei pressi di La Spezia, in quanto durante tutti questi mesi è stato molto difficile trovare disponibile una struttura idonea.