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27 Novembre 2024 12:57

Tutte le novità introdotte dalla riforma Cartabia sul diritto all’oblio.

La preclusione all'indicizzazione e/o la deindicizzazione dei propri dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento non determinano però la cancellazione della notizia, ma evitano che i dati personali siano inseriti nei motori di ricerca in associazione a parole chiave relative ad esempio al reato contestato. Per questo motivo è bene ricordare che indicizzazione e rimozione dei dati, sono due aspetti ben diversi.

Le modifiche apportate dalla riforma Cartabia del processo penale  attraverso il Dlgs del 10 ottobre 2022, n. 150 hanno introdotto dei significativi miglioramenti nell’applicazione giuridica del diritto all’oblio. Il nuovo articolo 64-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, infatti, prevede che per la persona nei cui confronti sia stata emessa una richiesta di archiviazione o un provvedimento di proscioglimento, di non luogo a procedere, o una sentenza di assoluzione ha i diritto di richiedere che nel provvedimento del giudice sia indicata o disposta la deindicizzazione in rete (quindi sa siti o blog internet), dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi dell’articolo 17 del Regolamento generale per la protezione dei dati. Ma tale diritto con comprende le testate giornalistiche ed i loro archivi.

La procedura prevista dalla riforma è questa: la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento deve trascrive questa annotazione : “Il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante“.

Lo strumento congegnato dal Legislatore è rapido, semplice e privo di qualsivoglia discrezionalità: la preclusione all’indicizzazione o la deindicizzazione dei dati personali contenuti nei provvedimenti di cui all’art. 64 ter cod. proc. pen. diviene un mero adempimento del comportamento richiesto dal privato, demandato alla Cancelleria del giudice. Si discute in assenza di una normativa specifica, sulle modalità di tutela della parte richiedente in caso di inadempimento da parte della Cancelleria; c’è chi, in dottrina, suggerisce il ricorso al TAR in sede di giudizio di ottemperanza.

La preclusione all’indicizzazione e/o la deindicizzazione dei propri dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento non determinano però la cancellazione della notizia, ma evitano che i dati personali siano inseriti nei motori di ricerca in associazione a parole chiave relative ad esempio al reato contestato. Per questo motivo è bene ricordare che indicizzazione e rimozione dei dati, sono due aspetti ben diversi.

Basta effettuare una ricerca con parole chiave differenti, ad esempio cercando il nome di un coimputato, o quello del magistrato che ha condotto le indagini, o il giudice che ha emesso una sentenza ed ecco che il link della notizia che si pensava scomparsa ricompare come per incanto, senza violare la Legge ! La nuova normativa in realtà ha creato un florido mercato di società (spesso di ciarlatani, anche con la toga, dei veri e proprio ignoranti, nel senso che ignorano i reali termini di Legge) i quali chiedono somme particolarmente per “cancellare” (ma come spiegato non viene cancellato nulla !) dal web le notizie. Quindi occorre prestare la dovuta attenzione, ai servizi realmente offerti, che spesso sono un diritto gratuito !

Infatti questa disposizione non deve comportare delle false illusioni, o arroganti richieste di legali a caccia di ulteriori laute parcelle dai propri assistiti in quanto “deindicizzare” un nome dai motori di ricerca presenti sulla rete internet, non consegue alcun diritto alla cancellazione. In poche parole, quello che si ottiene con la nuova normativa è soltanto che i dati personali presenti nei motori di ricerca non vengono più associati a parole chiave di ricerca relative al reato contestato alla persona in questione.

I legali di Google sono perentori spiegando che se la notizia è stata “aggiornata” con tutti gli sviluppi della vicenda giudiziaria, sino all’ eventuale assoluzione, sarò molto difficile che venga “deindicizzata” dal motore di ricerca. Inoltre bisogna sempre soppesare riguardo il ruolo pubblico rivestito, l’interesse alla reperibilità delle informazioni pubblicate .

Dalla Corte di Giustizia e Comitato europeo per la protezione dei dati viene evidenziata “la prevalenza dell’interesse generale ad avere accesso alle informazioni quando l’interessato esercita un ruolo pubblico, anche per effetto della professione svolta o delle cariche ricoperte“, chiarendo che “a titolo di esempio, politici, alti funzionari pubblici, uomini di affari e professionisti (iscritti agli albi) possono essere solitamente considerati come coloro che svolgono un ruolo nella vita pubblica. Vi è un argomento a favore del diritto del pubblico a ricercare le informazioni rilevanti rispetto al loro ruolo e alle attività pubbliche“.

Inoltre le linee guida del Comitato europeo per la protezione dei dati hanno chiarito che la natura giornalistica di un’informazione e il fatto stesso che sia stata scritta o pubblicata da un giornalista, il cui dovere e professione è quella di informare il pubblico, “costituiscono elementi a conferma del sussistente interesse pubblico alla notizia”. Quindi addio al diritto all’ oblio dalle testate giornalistiche online.

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