Il magistrato ex componente del CSM Piercamillo Davigo, ora in pensione, è stato condannato a 1 anno e tre mesi oltre a 20mila euro di risarcimento. Lo ha deciso il Tribunale di Brescia nel processo per rivelazione e utilizzazione di segreto sui verbali della cosiddetta “Loggia Ungheria” resi alla Procura di Milano dall’ex legale esterno di Eni, Piero Amara, nei confronti del pm considerato uno dei simboli di “Mani Pulite“. Il dispositivo della sentenza è stato letto nell’aula della Corte d’Assise dal presidente della prima sezione penale, Roberto Spanò, al termine di un processo iniziato il 24 maggio 2022.
La vicenda era venuta alla luce nella primavera 2021 dopo che il consigliere Nino Di Matteo aveva reso noto in un’udienza pubblica del plenum del Csm di essere stato destinatario di verbali anonimi di Amara, e successivamente era emerso che analoghi verbali anonimi fossero già stati inviati nell’ottobre 2020 al giornalista Antonio Massari de «Il Fatto Quotidiano» che aveva informato i pm milanesi Laura Pedio e Paolo Storari, e successivamente alcuni mesi dopo, nel febbraio 2021 alla giornalista Liliana Milella del quotidiano “La Repubblica” che a sua volta aveva avvisato il procuratore perugino Cantone).
Sentenza-DavigoNelle dieci udienze sono stati chiamati sul banco dei testimoni tutti i principali vertici della magistratura e del Csm della stagione 2018-2022. La Procura di Brescia aveva chiesto la condanna a 1 anno e 4 mesi con pena sospesa con l’accusa a Davigo, ex componente del Csm, di aver concorso con il pm Paolo Storari, che gli consegnò a Milano i verbali di Amara in formato word su una pen drive, nel “disvelare atti coperti dal segreto investigativo” e per averli a sua volta consegnati o mostrati a diverse persone a Roma, sia dentro che al di fuori del Consiglio superiore della magistratura.
Storari, che sarà processato disciplinarmente dal Csm dopo l’estate, nel processo penale è stato invece già assolto in rito abbreviato in primo e in secondo grado in via definitiva per difetto dell’elemento soggettivo del reato di rivelazione di segreto, e cioè per aver fatto affidamento nella “liberatoria” assicuratagli da Davigo che si basava sulla “non opponibilità” del segreto di indagine ai membri del Csm.
La tesi dei pubblici ministeri di Brescia
La tesi dei pm Francesco Carlo Milanesi e Donato Greco della procura di Brescia è che la scelta di Davigo ha fatto sì che tutto “sia rimasto nel chiacchiericcio e nell’uso privato di informazioni pubbliche” e che “Appare difficile ritenere che la gestione di questa vicenda abbia incrementato la fiducia dei cittadini: non si è evitato alcun danno, si è semplicemente scelto chi e quando doveva sapere” questa alcune delle parole proferite dall’ accusa nella propria requisitoria.
Davigo nel cortile del Csm informò diversi colleghi peraltro in assenza di una ragione ufficiale, del contenuto per metterli in allarme dal “frequentare i consiglieri Ardita e Mancinetti“, mostrando e facendo leggere quei documenti su cui la Procura di Milano manteneva il più stretto riserbo. Il vicepresidente del Csm in carica all’epoca dei fatti On. Avv. David Ermini, “ritenendo irricevibili quegli atti ed inutilizzabili le confidenze ricevute”, distrusse immediatamente la copia dei verbali che Davigo gli aveva consegnato, pur parlando della vicenda con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ancora “più grave” per l’accusa, è la rivelazione di Davigo all’ ex senatore grillino Nicola Morra: “È esterno al Csm, è un parlamentare che non ha nessun titolo per conoscere quelle informazioni. Quella rivelazione è la più grave, ma quelle antecedenti e successive sono ulteriormente illecite“. Contestata anche la rivelazione del documento E poi le successive rivelazioni di segreto ai consiglieri Csm Giuseppe Marra, Giuseppe Cascini, Ilaria Pepe, Fulvio Gigliotti e Stefano Cavanna, e persino alle sue ex segretarie Giulia Befera e Marcela Contrafatto: “Era facilissimo tenerle fuori da questo circuito informativo, si è scelto di non farlo“. E così il magistrato che per una vita si è autodefinito integerrimo sostenendo di operare in nome della legalità è stato anch’egli condannato per la prima volta.
Contestata a Davigo dai pm proprio all’ultima udienza è stata anche la sua rivelazione all’allora presidente della Corte di Cassazione, Pietro Curzio, di cui i pm hanno rimarcato la data di settembre 2020, non coerente con la dichiarata volontà di Davigo di sbloccare l’inchiesta milanese considerando che bene o male essa era stata già sbloccata il 12 maggio 2020 con le prime iscrizioni degli indagati: cronologicamente successive di pochi giorni a una telefonata dell’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi (“sollecitato” da Davigo) al capo della procura di Milano Greco, ma per Greco e Pedio (entrambi archiviati l’anno scorso a Brescia rispetto all’accusa di “omissione d’atti d’ufficio”) decise già e indipendentemente prima dalla telefonata di Salvi a Greco.
Il tribunale di Brescia ha concesso a Davigo le attenuanti generiche e lo ha condannato al pagamento delle spese processuali e a risarcire l’ex collega al Csm Sebastiano Ardita – accusato da Amara di essere aderente alla Loggia Ungheria – con 20mila euro più 5mila di spese legali. Il collegio ha fissato in 30 giorni il termine per il deposito della motivazioni della sentenza. In aula era presente anche il procuratore capo di Brescia Francesco Prete.
“Soltanto in questo Paese potevamo pensare che un reo confesso potesse essere assolto”, è stato invece il commento dell’avvocato Fabio Repici, costituitosi parte civile per conto dell’ex collega ed ex amico di Davigo, Sebastiano Ardita, a cui il collegio presieduto da Roberto Spanò ha riconosciuto un risarcimento danni di ventimila euro.
Davigo presa conoscenza della sentenza di condanna ha pronunciato poche parole al suo avvocato Francesco Borasi che lo ha informato della condanna subita, solo per annunciare: “Faremo appello“.