L’ ultimo boss delle stragi arrestato dai carabinieri del ROS il 16 gennaio scorso a Palermo, dopo una agonia di alcuni giorni è stato stroncato questa notte poco prima delle 2 a causa di un tumore al colon che nel 2020 gli aveva fatto cambiare radicalmente la sua latitanza ormai trentennale. Il 61enne capomafia trapanese è morto nell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, dove era stato ricoverato l’8 agosto per un intervento; ad inizio settembre era stato trasferito dalla terapia intensiva al reparto detenuti allestito all’interno del nosocomio, fra imponenti misure di sicurezza. Ed era iniziata la somministrazione di una cura del dolore, per far fronte ai pesanti effetti del tumore. La Procura dell’Aquila, di concerto con la procura di Palermo, ha deciso di disporre “l’autopsia sulla salma di Matteo Messina Denaro, persona notoriamente afflitta da gravissima patologia” . L’autopsia verrà eseguita nell’ospedale dell’Aquila.
La salma del boss mafioso si trova ora in uno dei sotterranei dell’obitorio dell’ospedale aquilano che dista non più di cento metri dalla camera-cella nella quale era ricoverato dallo scorso 8 agosto. I locali sono inaccessibili, dove neanche la figlia Lorenza Alagna riconosciuta recentemente e incontrata per la prima volta nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila ad aprile, e la nipote Lorenza Guttadauro (che aveva nominato quale legale di propria fiducia, le quali da giorni si erano trasferite in città per stare accanto al boss, possono avvicinarsi. Il corpo del boss dovrà infatti essere sottoposto ad autopsia prima di lasciare il capoluogo della regione Abruzzo per essere tumulato a Castelvetrano in Sicilia.
Nei 9 mesi di detenzione, il padrino di Castelvetrano era stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro. Dall’ultimo non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale. Venerdì, sulla base del testamento biologico lasciato dal boss che ha rifiutato l’accanimento terapeutico, gli è stata interrotta l’alimentazione ed è stato dichiarato in coma irreversibile.
Attento a gestire con oculatezza la propria latitanza, ed a proteggersi con una schiera di fiancheggiatori, uno dei boss più ricercati del mondo ha lasciato di sé solo l’immagine di implacabile playboy con i Ray Ban, le camicie griffate e un elegante casual. E dietro questa immagine ormai scolorita una scia di leggende: grande conquistatore di cuori femminili, patito delle Porsche e dei Rolex d’oro, maniaco dei videogiochi, appassionato consumatore di fumetti, soprattutto di uno: Diabolik, da cui ha preso in prestito il soprannome insieme a quello con il quale lo chiamavano i suoi fedelissimi. Un altro ancora glielo hanno affibbiato i suoi biografi “‘U siccu” testa dell’acqua, cioé fonte inesauribile di un fiume sotterraneo.
“Voi mi avete preso per la malattia, senza la malattia non mi prendevate”, aveva detto il boss di Castelvetrano nel primo interrogatorio di fronte al capo della procura di Palermo, Maurizio De Lucia, e all’aggiunto, Paolo Guido. Messina Denaro scoprì nel novembre del 2020 di avere un tumore all’intestino-retto, dopo cure in segreto con un’identità falsa, operazione all’ospedale di Mazara del Vallo, accertamenti nel trapanese e infine a Palermo, nella clinica La Maddalena, l’arresto e le cure in carcere, adesso la morte. Ai magistrati che lo interrogavano lo scorso febbraio Matteo Messina Denaro, a proposito dell’omicidio del piccolo Di Matteo, spiegò: “Una cosa fatemela dire: forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo, ma con l’omicidio del bambino non c’entro”. Ma per Nicola Di Matteo “Il perdono è impossibile, sono tutti imperdonabili. Tutti. Lo sono per mia madre soprattutto, ma anche per me“, dice. Oggi, come nel giorno dell’omicidio del fratello, il dolore si rinnova. “Non sono belle giornate, ancora una volta alla mente vengono quei giorni terribili. È una ferita che si riapre sempre, un segno che rimane a vita. Era un bambino, solo un bambino…”.
Matteo Messina Denaro era riuscito a restare latitante per trent’anni, nonostante dovesse scontare diversi ergastoli: era fra i mandanti delle stragi di Capaci e di via d’Amelio, delle bombe di Firenze, Roma e Milano. All’ergastolo era stato condannato anche per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del collaboratore che per primo svelò i segreti della strage di Capaci. E per il delitto dell’agente della polizia penitenziaria Giuseppe Montalto. Messina Denaro era uno dei fedelissimi di Salvatore Riina, assieme a Giuseppe Graviano componente della “Super Cosa Nostra” costituita dal “capo dei capi” di Cosa nostra per portare avanti la stagione delle stragi.
“Rifiuto ogni celebrazione religiosa perché fatta di uomini immondi che vivono nell’odio e nel peccato”: è quello che Matteo Messina Denaro aveva scritto in uno dei fogli ritrovati dai Ros nel covo di Campobello di Mazara dove aveva trascorso gli ultimi anni di latitanza. Quindi nessun funerale religioso: un’ultima volontà che, dopo la sua morte avvenuta la scorsa notte, verrà rispettata, anche perchè l’episcopato siciliano non lo ammette per i mafiosi.
La cerimonia, quindi, sarà privata e veloce al cimitero di Castelvetrano, nella cappella di famiglia dove sarà posto accanto al padre Francesco Messina Denaro, capomafia della provincia di Trapani alla fine degli anni ’80, morto d’infarto durante la latitanza. La questura di Trapani per motivi di ordine pubblico e per esigenze investigative, disporrà alcune misure anche per controllare chi parteciperà all’ultimo saluto.
| notizia in aggiornamento |