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22 Novembre 2024 02:19

La parola definitiva della Corte di Cassazione  sul clan Casamonica: “Mafia”.

Il processo ha origine dall'indagine 'Gramigna', che prende il nome dall'erbaccia difficile da estirpare, è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino e dai sostituti procuratori Stefano Luciani e Giovanni Musarò della procura romana.

Da oggi è ufficiale per la legge: il clan dei Casamonica è una struttura criminale di stampo mafioso. Lo hanno deciso definitivamente con una propria sentenza i giudici della 2a sezione penale della Suprema Corte di Cassazione nell’ambito del maxiprocesso a carico di una trentina di persone, tra cui anche i vertici della famiglia. E’ stato quindi accolto il ricorso del procuratore generale riconoscendo nei confronti di alcuni capi anche l’aggravante della natura “armata del sodalizio“. Per la terza volta viene riconosciuto ad una famiglia criminale di Roma il reato di associazione mafiosa: nelle altre due occasioni era toccato agli Spada ed ai Fasciani, i due clan che hanno “dominato” a Ostia in fasi diverse.

Nel corso della requisitoria i magistrati della DDA di Roma hanno affermato che “l’indagine della procura di Roma ha posto fine allo strapotere dei Casamonica. Un clan da anni a braccetto con Banda della Magliana e poteri forti della capitale con una forza di intimidazione impressionante”. Il clan dei Casamonica, affermarono ancora i pm, “è quella peculiare struttura dell’organizzazione che porta i diversi gruppi ad unirsi quando c’è ‘bisogno”.

A seguito della decisione degli ermellini di piazza Cavour è stato, quindi, disposto un nuovo processo di appello per la rideterminazione della pena. La sentenza ha accolto nella sostanza, il ricorso della Procura generale della Repubblica, conferma l’impianto accusatorio della Corte d’Appello di Roma, che il 29 novembre del 2022 aveva ribadito l’accusa di 416bis. La condanna più elevata decisa quattordici mesi fa dai giudici di secondo grado, era andata a Domenico Casamonica condannato a 30 anni di carcere, il quale era ai vertici del clan romano.

Il 20 settembre 2021 erano state comminate 44 condanne in primo grado, per oltre 400 anni complessivi di carcere. E’ invece, venuta meno l’aggravante di avere agito nell’interesse del clan nei confronti di alcun imputati minori. La Corte di Cassazione ha inoltre confermato l’esistenza di una associazione parallela dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, con funzione “agevolatrice” dell’ associazione mafiosa.

Il processo ha origine dall’indagine ‘Gramigna’, che prende il nome dall’erbaccia difficile da estirpare, è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino e dai sostituti procuratori Stefano Luciani e Giovanni Musarò della procura romana. In occasione del primo processo di appello le condanne più alte vennero inflitte ai vertici dell’organizzazione a partire da Domenico Casamonica (30 anni), Massimiliano Casamonica (28 anni e 10 mesi), Pasquale Casamonica (24 anni), Salvatore Casamonica (26 anni e 2 mesi), Ottavio Casamonica(17 anni), Giuseppe Casamonica (16 anni e 2 mesi), Guerrino Casamonica (16 anni e 2), Liliana Casamonica (15 anni e 8 mesi) e Luciano Casamonica (13 anni e 9 mesi).

Il pm Musarò in occasione sua requisitoria dello scorso maggio 2021, aveva citato anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Massimiliano Fazzari (ex affiliato) e Debora Cerreoni (moglie di Massimiliano Casamonica, membro di spicco del clan, che non era mai stata accettata dal clan seppur parte integrante del gruppo che descrissero la struttura e le modalità con cui agiva il clan. 

I giudici di Appello della Capitale avevano scritto nelle motivazioni della sentenza che l’istruttoria dibattimentale “ha rassegnato significativi elementi di prova della natura mafiosa del clan Casamonica operante nel quadrante est della città di Roma, identificabile nella zona di Porta Furba”. “Il gruppo criminale Casamonica operante nella zona Appio-Tuscolana di Roma, con base operativa in vicolo di Porta Furba è organizzato in una ‘galassia’, ossia aggregato malavitoso costituito da due gruppi familiari dediti ad usura, estorsioni, abusivo esercizio del credito, nonché a traffico di stupefacenti, dotato di un indiscusso ‘prestigio criminale’ nel panorama delinquenziale romano, i cui singoli operavano tuttavia in costante interconnessione e proteggendosi vicendevolmente, così da aumentare il senso di assoggettamento e impotenza delle vittime, consapevoli di essere al cospetto di un gruppo molto coeso ed esteso”.

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