La Corte d’Appello di Brescia ha confermato la condanna di primo grado a 1 anno e 3 mesi per Piercamillo Davigo l’ex pm del pool Mani pulite nel 1992-1994, poi giudice e presidente di sezione di Cassazione, e infine componente del Consiglio Superiore della Magistratura sino al pensionamento avvenuto nell’ottobre 2020, è stato ritenuto anche dalla sentenza di secondo grado responsabile del reato di “rivelazione di segreto d’ufficio” per aver fatto circolare nella primavera 2020 dentro il Consiglio Superiore della Magistratura i verbali milanesi dell’ex avvocato esterno Eni Piero Amara in relazione alla vicenda dei verbali di Piero Amara su una presunta Loggia Ungheria.
Oggetto del processo bresciano sono infatti le rivelazioni di segreto da Davigo a dieci persone. Non quella al procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, componente del Comitato di Presidenza del Csm, che nel colloquio con Davigo avrebbe per i pm evidentemente avuto l’altra «maglietta» di pg di Cassazione e dunque unico (tra tutti gli interlocutori) titolare dell’azione disciplinare verso i magistrati. Ma quella al vicepresidente del Csm David Ermini, che ricevette da Davigo anche copia dei verbali e si affrettò poi a distruggerli nel tritacarte ritenendoli irricevibili, pur se parlò della vicenda con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ma anche le successive rivelazioni di segreto ai consiglieri Csm Giuseppe Marra, Giuseppe Cascini, Ilaria Pepe, Fulvio Gigliotti e Stefano Cavanna; all’allora in carica (ora pensionato) presidente della Corte di Cassazione, Pietro Curzio; alle due segretarie amministrative di Davigo al Csm, Marcella Contraffatto e Giulia Befera; e al presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il senatore Nicola Morra (a quell’epoca esponente del Movimento 5 Stelle) , in un colloquio privato sulla tromba delle scale del Csm e senza telefonini, fuori (per i pm) da qualunque regola, e solo per motivare l’indisponibilità a comporre (come Morra era venuto ad auspicare) i contrasti insorti con il collega magistrato Sebastiano Ardita.
L’ex consigliere Csm Nino Di Matteo, ricevuti in forma anonima i verbali di Amara prese contatto con il Procuratore di Perugia Raffaele Cantone al quale era stato trasmesso per competenza il fascicolo che riguardava il collega Ardita, ritenne infine di comunicare pubblicamente che vi era un’indagine in corso durante una seduta del plenum del Csm trasmessa in diretta da Radio Radicale nella primavera 2021.
A ruota era così emerso che analoghe spedizioni anonime dei verbali di Amara fossero già stati inviate nell’ottobre 2020 al giornalista del Fatto Quotidiano Antonio Massari (il quale aveva avvisato i pm milanesi Pedio e Storari), e nel febbraio 2021 alla giornalista di Repubblica Liliana Milella (che a sua volta aveva avvisato il procuratore perugino Cantone). Ne era scaturita un’indagine tra Perugia e Roma che aveva ritenuto di individuare nella segretaria al Csm di Davigo, Marcella Contrafatto, la mittente dell’anonimo a Di Matteo accompagnato da alcune righe contro il procuratore milanese Francesco Greco: ma nei mesi trascorsi la Contraffatto è stata assolta in primo grado a Roma dall’accusa di calunnia di Greco, e a tutt’oggi incredibilmente per la giustizia le persone che distribuirono ai giornalisti i verbali non hanno un nome la persona. Indagini trascurate o occultate ? Ai posteri la sin troppo facile sentenza.
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