È stata smantellata dalla Guardia di Finanza, a seguito di un’indagine coordinata dalla Dda di Bari, un’organizzazione criminale che esportava sostanze stupefacenti, ed aveva il suo centro operativo in Puglia, nel Foggiano ad Orta Nova, operando anche a Bari, Andria, Bitonto, Canosa ed in Abruzzo. 31 le misure cautelari emesse dalla Gip dr.ssa Rosa Caramia del tribunale di Bari : 29 le persone arrestate, 15 delle quali tradotte carcere, e 14 in detenzione domiciliare, e 2 obblighi di dimora.
Disposto oltre ai provvedimenti restrittivi anche il sequestro di beni per un valore di oltre 2 milioni di euro. Il presunto sodalizio criminale secondo l’impianto accusatorio degli inquirenti, aveva una “elevata capacità organizzativa”, ma anche una “rilevante disponibilità di mezzi finanziari e strumentali”, oltre a disporre di una “cassa comune e di una vera e propria “contabilità di esercizio“come riporta il comunicato stampa della Guardia di Finanza . Contestati agli indagati i reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, oltre che produzione, traffico e detenzione illecita di droga. Tra i vari arrestati (vedi ordinanza) compare Andrea Gaeta, 53enne nipote del boss di Orta Nova Francesco Gaeta appartenente alla batteria foggiana dei Moretti – Pellegrino, già imputato per un tentato omicidio. Michele e Mariano Scuccimarra (rispettivamente 61 e 33 anni) e Michele Aghilar (40 anni).
OCC-GDF-DDA-BARI-GIU2024-compresso-1Il procuratore aggiunto coordinatore della DDA di Bari, Francesco Giannella in conferenza stampa ha spiegato che “Sono stati sottoposti sotto sequestro 28 terreni agricoli, 900 mila euro in contanti e 14 appartamenti. L’indagine riguarda capi della cittadina di Orta Nova ma la fornitura arrivava da Foggia. L’attività investigativa è partita da uno stralcio di un’inchiesta sullo spaccio a Bari vecchia: si era capito che il principale fornitore era un andriese da cui si è arrivati a questo sodalizio“. L’organizzazione era in grado di rifornire cocaina e hashish, a diverse “piazze” pugliesi e abruzzesi, utilizzando “strumenti di comunicazione criptati e a circuito chiuso, mimetizzando le attività illecite in strutture adibite ad attività commerciali ed usando nelle conversazioni un linguaggio allusivo: con ‘1p’ gli indagati indicavano un panetto da 100 grammi di droga, con una cassa da circa 30 chili”.
Il linguaggio in codice ha complicato non poco l’attività degli investigatori delle Fiamme Gialle: il generale della Scico, Antonio Nicola Quintavalle ha spiegato che “si è verificata una sorta di mutuo soccorso in un’area caratterizzata da cruenti scontri tra famiglie. Così quando un canale non poteva rifornire di droga un gruppo, quest’ultimo ci si rivolgeva al concorrente che così diventava compartecipe dell’attività di spaccio. Perché l’obiettivo era quello di fare soldi. In due episodi sequestrati in contanti circa 700mila euro, per dimostrare il potere economico che riescono ad accumulare. Il principale indagato, agi arresti domiciliari, aveva istituito una cabina di regia in un’azienda. Si è arrivata a mettere a rischio un’attività commerciale di famiglia pur di far marciare il traffico di stupefacenti. I sodali potevano contare anche su assistenza legale da parte del clan”.
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