Si attendono le motivazioni che con ogni probabilità usciranno a marzo 2025. Ma già c’è’ un fatto eclatante che costituisce una notizia che delegittima l’indagine della Guardia di Finanza : la mafia non c’era e non c’è’. E forse tutto il clamore che si è sollevato attorno a “Lady Petrolio”, Ana Bettz (all’ anagrafe Anna Bettozzi) , cantante di successo internazionale che nasce come imprenditrice e sbattuta dai rotocalchi sulle prime pagine dei tg e dei più importanti quotidiani nazionali e internazionali nella cronaca e giudiziaria, sembra destinato ad essere una tempesta in un bicchiere d’acqua. La Bettozzi è stata condannata in secondo grado a 11 anni e mezzo di reclusione. Una pena comunque ridotta rispetto a quella inflitta in primo grado, con il Gup che l’aveva condannata a 13 anni e 2 mesi in abbreviato. Ma il fatto più importante ed eclatante, è senza dubbio che i giudici della Corte d’Appello hanno escluso l’aggravante mafiosa, smontando di fatto l’ipotesi accusatoria formulata dalla Direzione Nazionale Antimafia e delle Fiamme Gialle.
Eh sì perché per il Tribunale la mafia non c’è’ ed e’ ovvio a questo punto che andrebbero e andranno riconteggiati tutti gli anni che si sono accumulati causa l’aggravante mafiosa che è decaduta e potrebbe risolversi tutto in Cassazione in una questione tributaria cioè di mancato pagamento di tasse da parte di queste società accusate di essere società “fantasma” rispetto alle quali il deposito della Made Petrol Italia ( ex Max Petroli srl ) era un semplice venditore esterno che nulla aveva a che fare con la gestione e la amministrazione di quelle società che avevano avuto l’autorizzazione da parte della Agenzia delle Entrate per acquistare il prodotto in esenzione fiscale.
Autorizzazione questa che veniva verificata puntualmente ogni volta da parte della amministrazione della Made Petrol Italia che inviava prima di procedere ad ogni vendita una e-mail ufficiale alla agenzia delle entrate via pec e attendeva prima di far uscire il camion botte col prodotto che l’ Agenzia delle Entrate rispondesse a sua volta via pec dopo aver fatto la verifica e autorizzato la compravendita. Questo era il funzionamento corretto del deposito fiscale della Made Petrol Italia il cui funzionamento era identico a quello di ogni deposito fiscale in tutta Italia, major comprese (Eni, Rapsol, Qwait, etc).
Paradossalmente i fatti contestati dagli inquirenti sarebbero dovuti avvenire in presenza della Guardia di Finanza e della Agenzia delle Dogane, la cui presenza fisica e’ prevista per legge quasi quotidianamente presso la amministrazione di ogni deposito fiscale. Come mai non erano presenti ?
Sulla base di questi accadimenti, ci si dovrebbe aspettare che questa volta ci siano dei “giudici a Berlino” che in Cassazione abbiano il coraggio e l’onestà intellettuale di uscire dalla logica e dalla tentazione del “processo mediatico” e vogliano riconoscere alla Bettz non solo la sua innocenza rispetto alla mafia – cosa già avvenuta a seguito della decisione della Corte di Appello – ma anche il fatto di “non aver commesso il fatto” rispetto alla accusa di aver partecipato ed essere connivente di una filiera di cartiere rispetto alla quale lei nulla c’entra e che incredibilmente dagli atti giudiziari visionati dal Corriere del Giorno risulterebbero non essere state nemmeno oggetto di verifica da parte degli inquirenti !
Il deposito sito in via Filippo Crispigni 10 era una eredità del marito e la Bettz (all’ anagrafe Anna Bettozzi) da vedova e da mamma si è rimboccata le maniche ed aveva cercato di dare il proprio aiuto alla figlia Virginia Di Cesare intestataria della società, per la quale aveva fornito le necessarie garanzie e le richieste fideiussioni. Legittimo e diremmo più logico, chiedersi che scopo avrebbe avuto infatti la Bettozzi e mettere a rischio il proprio patrimonio di ex immobiliarista di successo con spiccate doti per il marketing e le pubbliche relazioni – come comprovano le dichiarazioni dei redditi personali di Anna Bettozzi ed i milioni di tasse regolarmente pagate all’ Erario – per una attività lecita ma rischiosa, iper monitorata dalla Guardia di finanza e dalla Agenzia delle Entrate?
Come non definire “follia giudiziaria”, un sequestro preventivo per equivalente eccessivo e quindi ingiusto che va di molto oltre il fatturato del deposito messo sotto amministrazione controllata che ha causato alla famiglia della Bettozzi perdite per oltre 1 milione di euro al giorno e la vendita, o, meglio la svendita stessa del deposito. La prova provata della intenzione della Bettozzi di non rischiare e di non far rischiare la figlia e di attenersi scrupolosamente alla legge, e comprovata nel fatto di aver più volte bloccato la attività del deposito, ad esempio di aver stoppato nel 2017 il conto deposito e nel 2019 di aver bloccato la precedente lettera di intenti in quanto la Made Petrol Italia sarebbe diventata responsabile in solido del mancato pagamento dell’Iva da parte delle società acquirenti del prodotto.
All’epoca delle contestazioni degli inquirenti la legge entrata in vigore nel 2019 non c’era e quindi risulta stranissima questa applicazione retroattiva di una legge approvata ed entrata in vigore successivamente ai fatti contestati alla Bettozzi che comunque, a parte i consigli di buon senso dati alla figlia, non e’ mai stata amministratrice della società. Che senso ha dunque contestare ad una famiglia che lavora con soldi propri un reato come il 416 vale a dire il reato di associazione ? Finalizzato a cosa ?
Per quale motivo avendo nella disponibilità della famiglia il deposito i clienti e il prodotto e le garanzie fideiussorie bancarie personali della Bettozzi avrebbero dovuto cercare estranei con i quali fare illeciti non convenienti e spartire con altri un utile inferiore ai soldi investiti ? E’ ovvio che l’ipotesi dell’accusa non sembrerebbe reggere a meno che non si guardi da lontano la situazione e si vada alla genesi: la figlia della Bettozzi truffata insieme alla madre da abili professionisti del settore senza soldi e in cerca di autore. Tutto questo peraltro era facilmente riscontrabile dagli inquirenti se avessero guardato e letto bene tutte le carte: sarebbe bastato vedere i numerosi decreti ingiuntivi a carico dei truffatori. La Bettozzi da noi contattata, al momento non rilascia dichiarazioni e continua a confidare in Dio e nella giustizia, fiduciosa, nonostante tutto, che la verità prima poi, come accaduto in Corte d’ Appello verrà a galla.