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10 Settembre 2024 20:19
10 Settembre 2024 20:19

Custodia cautelare: stop alla pubblicazione delle ordinanze

Vietato riportare i testi degli atti finché non sono concluse le indagini preliminari. Attuata la direttiva Ue.

Diventa segreto e non pubblicabile dagli organi di stampa il testo dell’ordinanza di custodia cautelare. La norma è passata all’esame del Consiglio dei ministri che ha approvato due giorni fa il testo del decreto legislativo sulla modifica dell’articolo 114 del codice di procedura penale, prevedendo il divieto di pubblicazione del testo delle ordinanze di custodia cautelare fino a quando non si siano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. Di fatto è una limitazione della libertà di stampa prevista anche a garanzia dei cittadini e degli stessi indagati, visto che l’ordinanza è in ogni caso un atto del giudice, terzo rispetto alle parti.

La modifica era già stata decisa diversi mesi fa in Parlamento quando il Senato approvò l’articolo 4 della legge di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva europea 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

Nel comunicato stampa di Palazzo Chigi si legge cheil testo dà attuazione all’articolo 4 della legge di delegazione europea 2022-2023, con il quale il Governo è stato incaricato di adottare le disposizioni necessarie a garantire l’integrale adeguamento alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, integrare quanto disposto dal decreto legislativo 8 novembre 2021 e assicurare l’effettivo rispetto dell’articolo 27, secondo comma, della Costituzione“.

A dare il vita all’iter parlamentare è stato un emendamento del deputato Enrico Costa (Azione), durante il passaggio del testo alla Camera. Un passo indietro quindi rispetto a quanto stabilito dalla riforma del 2017 dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, che aveva reso di fatto le ordinanze pubblicabili senza porre alcun limite.

Con le nuove regole invece ad essere pubblicabile sarà soltanto il contenuto dell’atto, senza poterlo citare tra virgolette fino alla fine delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare. Fino ad ora le ordinanze si potevano pubblicare sia integralmente sia per stralci. Il capo di imputazione però potrà essere ancora fedelmente riportato per esteso. Adesso il testo adottato dal Governo verrà sottoposto alla lettura e agli eventuali suggerimenti, non vincolanti, delle due commissioni parlamentari Giustizia della Camera dei Deputati e del Senato della repubblica entro sessanta giorni, e successivamente tornerà in Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva, in seguito alla quale diventerà legge.

Il provvedimento ha scatenato le proteste delle associazioni sindacali giornalistiche.È una brutta notizia per i giornalisti e ancor più brutta per i cittadini, che non potranno conoscere per mesi fatti di rilevante interesse pubblico” dice Alessandra Costante, segretaria generale della Federazione nazionale della stampa italiana che aggiunge “Il sindacato dei giornalisti continuerà la sua lotta per il diritto di informare ed essere informati, sempre più minacciato da leggi bavaglio, conferenze stampa a senso unico, politici che parlano attraverso video autoprodotti, querele fatte per bloccare l’attività dei cronisti”. L’Usigrai, il sindacato di sinistra dei giornalisti RAI accende i fari sul paradosso: “Dopo che il decreto diventerà legge, di un arrestato si potrà pubblicare letteralmente solo il reato ipotizzato ma non le prove raccolte. Per paradosso il giornalista per raccontare i motivi di una carcerazione potrà usare tutte le parole tranne quelle che il giudice ha usato nel suo atto di accusa – si legge ancora -. La conseguenza sarà un’informazione più opaca, parziale, e meno oggettiva. Un atto che lede il ruolo di garanzia che la libera stampa riveste a tutela di tutti i cittadini, specialmente di quelli privati della libertà. giudice ha usato nel suo atto di accusa“.

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