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22 Novembre 2024 02:20

Draghi: “Cambiamento radicale, serve il doppio del piano Marshall perché l’Ue continui a esistere”

L’ex premier ha presentato il piano che gli era stato commissionato dalla von der Leyen un anno fa per una nuova strategia industriale. Tre le aree di intervento: innovazione, decarbonizzazione e sicurezza

L’ex premier italiano Mario Draghi va dicendo da tempo che “è una sfida esistenziale, e l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente“. ma lo ha ripetuto anche ieri in occasione della presentazione del suo “Rapporto sulla competitività europea” , accanto alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che gli commissionò il lavoro un anno fa . Obiettivo del piano è quello di delineare una nuova strategia industriale per l’Europa. Aumentare la produttività serve a continuare a finanziare “il nostro modello sociale”. Diversamente secondo Draghinon saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, un leader delle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale”. Economia e democrazia si saldano.

Questa sfida ha un costo: per raggiungere gli obiettivi stabiliti nel rapporto è necessario un investimento aggiuntivo annuo minimo di 750-800 miliardi di euro, in base alle ultime stime della Commissione, corrispondente al 4,4-4,7% del Pil dell’Unione nel 2023. Per fare un confronto, Draghi ha spiegato che gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948-51 ammontavano a circa l’1-2% del Pil. Non basterà quindi solo il risparmio privato.

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Certamente va completata l’Unione del mercato dei capitali, ma “saranno necessari finanziamenti comuni” per progetti chiave nell’innovazione ma anche per le infrastrutture energetiche transfrontaliere e la difesa. Per Draghiservono common safe asset“, cioè eurobond con scopi definiti. Su questo von der Leyen è stata più cauta: “Bisogna verificare la volontà politica per tali progetti europei comuni, poi definiremo se li finanzieremo con nuovi contributi nazionali o con nuove risorse proprie” (anche Next Generation Eu sarà ripagato con nuove risorse proprie).

L’ex presidente della Bce ha evidenziato tre aree di intervento: l’innovazione (bisogna colmare il divario con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate), la decarbonizzazione, la sicurezza (intesa come difesa ma anche come riduzione delle dipendenze da Paesi terzi per le materie prime strategiche). E tre “barriere“: l’incapacità Ue di perseguire i propri obiettivi con azioni politiche congiunte; lo spreco delle risorse comuni, diluite tra numerosi strumenti nazionali e comunitari; la mancanza di coordinamento tra le diverse politiche ambientali e industriali. Inoltre nelle 327 pagine del Rapporto approfondisce dieci settori industriali strategici per la competitività Ue: oltre a energia, materiali critici, digitalizzazione, tecnologie pulite e difesa anche le industrie energivore, l’automotive, lo spazio, la farmaceutica e i trasporti.

Draghi punta anche il dito contro “i processi decisionali dell’Europa” e propone un uso più esteso del voto a maggioranza qualificata e dove vi sia l’interesse tra i Paesi Ue una cooperazione rafforzata o attraverso trattati intergovernativi. La via indicata dall’ex premier non è solo quella di una maggiore integrazione. Infatti se in alcuni settori è necessario “fare pochi passi ma più ampi”, delegando al livello dell’Ue compiti che possono essere svolti solo in tale ambito, in altri settoril’Ue dovrebbe fare un passo indietro, applicando in modo più rigoroso il principio di sussidiarietà e riducendo l’onere normativo che impone alle imprese dell’Ue“.

In ogni settore non partiamo da zero, ha detto Draghi: L’Ue dispone ancora di punti di forza generali — come sistemi educativi e sanitari forti e Stati sociali solidi — e di punti di forza specifici su cui costruire. Tuttavia, collettivamente non riusciamo a convertire questi punti di forza in industrie produttive e competitive“.

Per Draghi l’Ue è già in una situazione di crisi. Non c’è tempo da perdere. E l’opzione è “intervenire o sarà una lenta agonia”. Soprattutto “dovremmo abbandonare l’illusione che solo procrastinare possa preservare il consenso. Anzi, la procrastinazione non ha prodotto altro che una crescita più lenta, e di certo non ha generato più consenso”. Gli Stati membri devono tenere presente soprattutto che “mai in passato le dimensioni dei nostri Paesi sono apparse così piccole e inadeguate rispetto alle dimensioni delle sfide”.

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