Diventa sempre più realtà l’ammissibilità delle conversazioni tramite app dedicate le quali si stanno affiancando agli scambi di raccomandate, fax con ricevuta di ritorno e Pec. I messaggi su Whatsapp quindi sono prove valide nei processi. Già nel 2019 la Corte di Cassazione aveva definito i servizi di messaggistica via Whatsapp ai sensi dell’articolo 2712 del codice civile una “piena prova” che “contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” .
Ancora prima, peraltro, del 2017 c’era stata una sentenza del Tribunale di Ravenna che ne aveva certificato il “rilievo probatorio”. Nuove conferme arrivano da un’ordinanza emessa lo scorso 7 giugno dal Tribunale di Urbino all’interno della si aggiunge un dettaglio non da poco: una consulenza tecnica d’ufficio (Ctu) sugli smartphone da parte di un ingegnere esperto in informatica forense. Cioè, una verifica dell’autenticità e della collocazione temporale degli scambi di messaggi.
La vicenda giudiziaria riguarda il saldo di un debito. Oltre 20mila euro di forniture agricole, tra coclee e materiali per una stalla, che risalgono al 2010. A doverli restituire a una ditta marchigiana, di Urbino doveva essere un fattore della provincia di Arezzo . Nel corso degli ultimi 14 anni si sono accavallate procrastinazioni e varie giustificazioni per non pagare sino a quando tutto non è finito nelle aule di tribunale.
Le prove a quel punto offrono una visione più nitida. A luglio 2019 parte un messaggio da un dipendente della ditta: “Ti ho mandato estratto conto via mail” a fronte del quale il debitore, ammette problemi di liquidità. Da qui la proposta di farsi assistere e finanziare da un’agenzia di prestiti per saldare il debito insoluto. A gennaio del 2020, un altro scambio di messaggi : “È un po’ che cerca di contattarti un responsabile di Finagros per provare a finanziare il tuo debito ma tu non gli rispondi”.
Dieci minuti dopo, arriva la risposta su Whatsapp. “Ho un problema al cellulare, che non squilla”. Il fattore infatti sembra non aver mai alzato la cornetta di fronte ai tentativi del consulente di contattarlo. Passano i mesi clou della pandemia da Covid-19. È fine giugno del 2020 ed arriva un nuovo messaggio dal creditore. “Visto gli anni li vorrei tutti subito, in questo caso non ti farei pagare interessi“.
“Tutti e subito come faccio?”, risponde il giorno stesso. A metà luglio un’apertura del debitore: “Fammi una proposta di rientro in 3 o 4 anni. A voi non cambia niente, sono fatture del 2010” frasi queste che sanno tanto di conferma. A cui segue un’offerta immediata: “10.000 subito” e la parte restante a ottobre, “così chiudiamo“. Macchè, niente da fare. “Come faccio a darti 20.000 euro in due mesi?“, risponde il debitore, che aggiunge: “Ti firmo 4 o 5 cambiali dilazionate in 12 o 18 mesi, sennò non ce la faccio”
lIl procedimento è ancora aperto. La prossima udienza è stata fissata per il prossimo 28 novembre. Il debitore non ha disconosciuto la paternità dei messaggi depositati e quindi la giudice ha ammesso queste prove. che devono passare da una perizia che ne certifichi l’autenticità. Come si legge nel decreto che fissa l’udienza del 7 giugno, “i messaggi Whatsapp depositati possono assumere la veste di prova in quanto, con l’avvento delle nuove tecnologie, sempre più persone si affidano, anche per le pratiche commerciali, a short messages“.
Le basi giuridiche sono gli articoli 2712 e 2719 del codice civile. Il primo evidenzia che “ogni rappresentazione meccanica di fatti e cose forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate”, mentre il secondo indica che “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente, ovvero non è espressamente disconosciuta”.
E’ sicuramente una decisione innovativa in materia in quanto il codice civile è ancora fermo all’espressione “riproduzioni meccaniche” nella corrispondenza. Ma la giurisprudenza si sta evolvendo e uniformando progressivamente ai sistemi di messaggistica istantanei e contemporanei. Quali sono i pro ed contro? Sicuramente è un’arma in più che può generare molta più attività sul piano delle consulenze . Va evidenziato che non in tal caso viene invasa la sfera della privacy e che, in ogni caso, i contenuti devono essere comprovati dall’utenza telefonica e dalla stessa consulenza tecnica.