E’ Frank Cimini un vecchio esperto giornalista giudiziario da sempre in attività presso il Tribunale e la procura di Milano, a rivelarlo con un post. Lo riprendiamo integralmente anche per evitare la puntuale querela “facile” dei magistrati di sinistra che si sentono intoccabili e sopratutto impuniti. Il commento di Cimini la dice tutta senza tanti giri di parole inutili: “Buongiorno stocazzo….nonostante il suo nome abbia diviso il Csm l’ex segretario dell’ Anm Eugenio Albamonte alla fine ce l’ha fatta ad entrare alla Direzione Nazionale Antimafia“.
“La sua candidatura era stata divisiva perchè tra le sue esperienze mancava proprio la distrettuale antimafia. Ma a suo favore ha giocato la parolina magica: Moro. Aveva indagato sui misteri inesistenti del caso Moro senza risultati. Tutto archiviato“.
Continua il commento bene informato di Frank Cimini: “Ha perseguito e perseguitato il ricercatore storico Paolo Persichetti sconvolgendone la vita a partire dalla perquisizione dell’8 giugno 2021 sequestrando pure le carte mediche del figlio disabile. Ha chiesto l’ archiviazione dopo non essere riuscito a trovare nemmeno un reato. Deciderà il Gip che tre anni fa aveva profetizzato “qui non c’è un un reato e chissà se mai ci sarà“.
Comportamenti privi di rilevanza penale
Il pm Albamonte che ha condotto l’indagine avviata dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione nel 2019, scrive che «non è possibile qualificare penalmente la condotta del Persichetti», in relazione al reato di violazione del segreto d’ufficio (326 cp) e che «tanto meno si può ritenere probabile» in base agli elementi raccolti «l’esito positivo di un eventuale giudizio». Quanto invece all’ipotizzato favoreggiamento (378 cp), Albamonte lascia intendere che molto più semplicemente il reato non sussiste poiché “la natura delle informazioni” (alcune pagine della bozza della prima relazione della commissione Moro 2 del dicembre 2015), che l’8 dicembre 2015 Persichetti aveva inviato ad Alvaro Baragiola Loiacono, ex brigatista coinvolto nel sequestro Moro, riparato in Svizzera dove ha acquisito la cittadinanza e da questi trasferite a una altro ex, Alessio Casimirri, anch’egli da decenni riparato in Nicaragua, “non appare avere rilievo sulle rispettive responsabilità e non comporta ulteriori incriminazioni rispetto a quelle già comprovate“. Detta in parole più chiare per tutti, quelle informazioni erano neutre, prive di rilevanza penale, per altro rese pubbliche appena 48 ore dopo dalla stessa commissione.
Nella richiesta di archiviazione di Albamonte non viene citata una quarta imputazione: l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo (270 bis cp) che pure era stata utilizzata nel decreto di perquisizione dell’8 giugno 2021 e firmata dallo stesso sostituto Albamonte e dall’allora procuratore capo Prestipino (incarico poi dichiarato illegittimo dal Tar del Lazio e dal Consiglio di Stato – leggi qui). Capo d’imputazione passe-partout, strumento perfetto per implementare la scenografia investigativa e avvalersi di strumenti di indagine altamente invasivi. A dire il vero l’ipotesi d’accusa associativa non aveva retto alla prima verifica: bocciata dal tribunale del riesame già nel luglio 2021, perché priva delle necessarie condotte di reato, e successivamente lasciata cadere dallo stesso pm. La procura, infatti, si era limitata a enunciare le accuse senza riportare circostanze, modalità e tempi in cui esse si sarebbero materializzate. Come se non bastasse, nella indagine aveva fatto capolino anche una quinta imputazione suggerita dallo stesso Tribunale del riesame che al posto del «favoreggiamento», aveva proposto – senza successo – la «rivelazione di notizia di cui sia stata vietata la divulgazione» (262 cp). Cinque capi d’imputazione per una inchiesta che alla fine si era trasformata in una caccia al tesoro alla affannata ricerca del reato che non c’era.
Albamonte quindi ha fatto carriera sull’aria fritta. “Due conclusioni: – scrive Cimini – uno, il Csm è una fogna. Due aveva ragione Fritz nel dire “il mio sangue ricadrà su di voi”….Amen”
La decisione finale del Gip
Spetta ora al Gip Valerio Savio pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione. Lo stesso gip che già in passato aveva anticipato l’esito dell’indagine sottolineando come mancasse «una formulata incolpazione anche provvisoria» e non si capisse quale fosse la condotta illecita contestata che – scriveva – «ancora non c’è e addirittura potrebbe non esserci mai». Il giudice dovrà decidere anche sulla sorte della copia forense di tutto il materiale digitale sequestrato e tuttora non si capisce bene a chi, se alla procura o alla stessa polizia di prevenzione.
Come non riflettere a questo punto sull’inutilità della Direzione Nazionale Antimafia che ormai è diventato un trampolino di lancio delle ambizioni e carriere dei magistrati ? La Dna non è più ormai quella pensata, progettata e voluta dall’indimenticabile Giovanni Falcone, ed oltre Albamonte, il “caso Laudati” e le “spiate” a favore dei giornalisti amici beneficiari dei dossier che uscivano dalla Dna ne sono la conferma. Qualcuno dalle parti di largo Arenula prima o poi dovrà capirlo e fare qualcosa.