Il business delle RSA è a serio rischio. I parenti dei malati di Alzheimer si rifiutano di pagare le rette mensili e chiedono i rimborsi di quelle già versate. Nel frattempo le direzioni delle strutture, vengono sommerse da valanghe di ricorsi e cominciano ad avere seri problemi di bilancio, al punto tale che, se la situazione va avanti in questa direzione, potrebbero rischiare a breve di non avere nemmeno la necessaria liquidità per pagare per gli stipendi del personale.
Serve una riforma per alleggerire la spesa mensile delle famiglie (troppo alta) ma pensare di rendere gratuite le Rsa è a dir poco impossibile. Un circolo vizioso in atto che rischia di trasformarsi in un diritto impossibile.
La sentenza della Corte di Cassazione
Tutto ha origine da una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso presentato da un cittadino milanese, e gli ha riconosciuto il diritto a non pagare la retta della Rsa in cui la madre, malata di Alzheimer (ora deceduta), si trovava ricoverata. Un precedente importante che ovviamente ha acceso non solo le famiglie degli anziani affetti da Alzheimer ma anche i parenti di tutti gli ospiti delle Rsa. Giudici e famiglie sostengono che “le rette devono essere a carico del Sistema sanitario“. Stiamo parlando di circa 360mila ospiti e di un impoorto complessivo di rette pari a qualcosa come 13 miliardi all’anno. Un business in cui sono entrati molti speculatori che fanno affari sulla pelle degli anziani e delle loro famiglie. E’ difficile ipotizzare che il Governo possa reperire nel proprio bilancio una fondo di spesa utilizzabile così pesante.

Le varie sentenze
Quella della Cassazione non è l’unica sentenza “elimina rette”. Esemplare la sentenza del 2012: la Suprema Corte ha valutato con appena 20 anni di ritardo… il caso di un paziente del 1990 ed applicato la legge che vigeva in quell’anno, la L. 833/1978 (con un passo indietro di altri 12 anni), che prevede Rsa e ospedali gratuiti per tutti. In seguito arriva la riforma sanitaria che garantisce “tutto a tutto in base alle disponibilità”, e poi ancora la riforma dei Lea, che assicura i livelli essenziali di cura, come oggi. Ma ci sono stante anche la sentenza del Tribunale di Milano nel 2015 e del Tribunale di Treviso, stesso anno, seguite nel 2016 dalle sentenze del Tribunale di Verona , e di quella del Tribunale di Brescia .

Le rette mensili di ricovero esagerate
Tuttavia qualcosa va fatto: le rette sono troppo alte, oscillando in media fra i 2.500 e i 3.200 euro al mese per ogni paziente. Una spesa insostenibile per molte famiglie. Al momento il sistema funziona così: il 50% della retta (la quota sanitaria) è già a carico del Ssn, l’altra metà (la quota alberghiera o sociale) è compartecipata tra Comune e il cittadino in base al suo reddito Isee. “Se si fa largo l’idea della quota esclusivamente sanitaria e quindi a carico del Sistema sanitario, si arriverà al collasso del Ssn – dichiara l’ avvocato Andrea Lopez, esperto del settore socio sanitario – Consideriamo che tra dieci anni avremo da gestire l’onda anomala dei “baby boomers” e questo renderà la spesa ingovernabile. Il punto è un altro: le Regioni rispettano la quota di compartecipazione del 50%? La risposta è no“.
Rimborsi a forfait
In poche parole, accade questo: le Regioni, anziché compensare la quota del cittadino in modo proporzionale, caso per caso, pagano le strutture con un “forfait” calcolato con il criterio della spesa storica in base al numero di posti letto accreditati e a contratto. Ma le quote sono bloccate ad oltre un decennio fa e quindi non corrispondono alla richiesta di cure di ospiti sempre più compromessi, che oggi hanno una necessità e una qualità più alte. Insomma la “compartecipazione” delle Regioni è ben lontana da quel che dovrebbe essere.
“Rispettare le previsioni dei Lea (livelli essenziali di cura) e correggere questo aspetto – aggiunge l’ avvocato Lopez – sarebbe estremamente utile, anche ad alleggerire la spesa a carico delle famiglie, a rendere tutto più proporzionato. Sarebbe auspicabile che le istituzioni intervengano per garantire il rispetto dei Lea“.
Poi ci sono i “furbetti”, quelli che svolgono un’attività di tipo alberghiero, e che quindi non sono delle RSA, che applicano come nel caso della struttura Elisir-La Madonnina di Bari, riconosciuta dalla Regione Puglia, tariffe che partono dai 2.800 euro per posto letto in camera doppia e superano i 4.000 euro per una stanza singola, con un’ assistenza sanitaria pressochè inesistente ed infermieri spesso e volentieri tirocinanti e con poca esperienza. Incredibilmente senza avere in struttura neanche un medico ! Sarebbe da capire su quali basi la Regione Puglia riconosca certe strutture in cui si pensa solo al “fatturato” ed al “lucro” piuttosto che assistere i pazienti ricoverati.

Le ASL della Regione Puglia spesso e volentieri mandano i malati di Alzheimer, ma anche quelli psichiatrici, dagli ospedali di primo ricovero, nelle RSA convenzionate, le quali si vedono costrette a farli convivere con i pazienti che non sono affetti da tali patologie, così creando grossi problemi di convivenza, spesso e volentieri problematiche
Capire la differenza tra Casa di riposo e RSA e tra altre strutture socio-sanitarie è importante per capire meglio la natura di queste residenze per scegliere il luogo più adatto ai bisogni del proprio caro. La differenza tra Casa di riposo e RSA non si esaurisce solo nei metodi di pagamento o nella tipologia di Ospite accolto; è necessario fare un po’ di chiarezza per distinguere le diverse residenze per anziani.
Le caratteristiche delle RSA
Le RSA– Residenze Sanitarie Assistenziali sono strutture socio-sanitarie rivolte ad anziani non autosufficienti, che necessitano di assistenza medica, infermieristica o riabilitativa, generica o specializzata. La vera differenza tra Casa di Riposo e RSA consiste nel personale sanitario. È prevista la presenza di un medico 24 ore su 24, un terapista ogni 40 Ospiti e un infermiere ogni 5. Proprio perché gli Ospiti della Rsa non sono autosufficienti, è necessaria la costante presenza medica ed infermieristica, oltre che un aiuto continuativo per garantire lo svolgimento delle attività quotidiane, come per l’igiene personale. Ma nel nostro giro fra diverse RSA, non abbiamo trovato alcun riscontro a queste presenze previste. Ed il NAS dei Carabinieri nella stragrande maggioranza dei casi fa bene il proprio dovere e sanziona.
Per quanto riguarda la retta, nel caso l’RSA sia privata, il pagamento è totalmente a carico dell’Ospite o dei familiare; nel caso di struttura pubblica, invece, è possibile concordare l’accesso con l’Ufficio dei Servizi Sociali del Comune.
Casa di Cura
Una spiegazione sulle differenza tra Casa di Riposo e RSA va data anche sulle Case di Cura. che sono strutture che ospitano anziani parzialmente autosufficienti affetti da patologie acute. Nelle Case di Cura vengono dichiarate attività ricreative e di momenti di condivisione fra gli ospiti, che verificandole a volte sono a dir poco Imbarazzanti. In queste strutture gli anziani dovrebbero contare su personale sanitario “specializzato” (ma che nella stragrande maggioranza dei casi non è tale) e su OSS cioè gli operatori socio-sanitari. Trattandosi queste di residenze sempre private, il pagamento delle Case di Cura è sempre a carico dell’Ospite o dei suoi familiari.
Le varie proteste
Oltre ai ricorsi delle famiglie che rischiamo di comportare peraltro, oltre alla retta, anche una spesa legale che non verrà rimborsata, la sentenza della Cassazione ha causato una luna serie di reazioni e proteste. La Legacoopsociali ha firmato insieme ad Aiop, Anaste, Ansdipp, Airs, Aris, Confapi, Diaconia Valdese, Uneba e Uripa una richiesta di incontro al ministro della Salute Orazio Schillaci, alla viceministra Maria Teresa Bellucci e al presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga “per avviare un tavolo tecnico per la definizione delle soluzioni più idonee per il contenimento della spesa e la limitazione dei contenziosi”.