Cinquanta minuti di tempo massimo per intervenire in ogni posto da cui provenga l’emergenza: sequestro di ostaggi e conflitto a fuoco. Il territorio italiano diviso in quattro grandi aree. Ciascuna “affidata” ai nostri quattro reparti di teste di cuoio: i Nocs della Polizia di Stato , i Gis dei Carabinieri, il Col Moschin dell’Esercito Italiano e il Comsubin della Marina Militare. E’ la sintesi del “livello 2″ di sicurezza scattato in Italia venerdì notte, dopo che Parigi veniva messa a ferro fuoco dai jihadisti. Il piano predisposto da Viminale e Difesa prevede l’impiego più immediato possibile dei nostri commandos. Che tra l’altro, in questi mesi dopo l’attacco di gennaio a Charlie Hebdo e al market kosher, hanno aumentato la collaborazione operativa – in termini di addestramento comune e di scambio di informazioni su tecniche d’intervento – con gli omologhi europei. Vediamo di seguito quali sono, e quali, anche, i protocolli operativi in vigore in Italia da poche ore.
Il recentissimo piano anti terrorismo coordinato dal Ministero dell’ Interno e dal Ministero della Difesa ha suddiviso il territorio nazionale diviso in quattro “macroregioni”. Affidate ciascuna ai quattro reparti speciali che devono essere in grado di intervenire nel giro di 50 minuti dall’allarme. Trasportati da velivoli – in parte delle singole armi e in parte forniti dall’Aeronautica – destinati espressamente a quest’unico impiego. Non basta: il livello 2 dell’allerta scattato da venerdì notte prevede, per ciò che riguarda la polizia, anche l’impiego di nuove squadre anti-terrorismo: esattamente si chiamano “Unità operative di pronto intervento“. Addestramento ed equipaggiamento specifico: una via di mezzo tra Nocs e personale delle Volanti. Dispiegati – sinora – nelle 20 maggiori città. Ma il loro impiego verrà esteso. Auto blindate, armamento più sofisticato, esercitazioni condotte assieme alle “teste di cuoio”. Reparti creati dal Viminale all’indomani dell’assalto a Charlie Hebdo che vide la polizia francese fronteggiare la ferocia jihadista tra coraggio e evidente impreparazione. È il caso dell’arrivo in bicicletta di uno degli agenti, Ahmed Merabet, freddato a sangue freddo dai fratelli Kouachi. E poi quell’auto di polizia costretta a indietreggiare perché priva della blindatura necessaria per fermare i proiettili dei kalashnikov. Senza contare la riflessione più solare: i jihadisti sparano per uccidere. Il criminale comune – anche se non sempre – prima di premere il grilletto ci pensa. Ecco perché bisogna cambiare le strategia di difesa.
Negli anni di piombo l’ Italia doveva fronteggiare l’eversione armata. In prima fila c’erano i Nocs della Polizia e i Gis dei Carabinieri. I commandos delle forze dell’ordine italiane. Il «copyright» dell’idea fu dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga dopo aver visto all’opera le “teste di cuoio” tedesche nell’intervento all’aeroporto di Mogadiscio dove annientarono un commando di 4 terroristi della Raf (Rote Armee Fraktion) che aveva sequestrato un Boeing 737 della Lufthansa. Per ciò che concerne i Nocs, l’impiego è su tutti i fronti: anti-terrorismo, anti-mafia. Contro la criminalità comune. Azioni destinate a restare nella memoria: la liberazione del generale americano James Dozier (era il 1982) rapito dalle Brigate Rosse e l’arresto del boss dei boss Bernardo Provenzano (2006)
I Gis furono istituiti ufficialmente il 6 febbraio 1978. Dopo, è un susseguirsi di operazioni di successo. Molte non sono note perché sul loro fascicolo c’è scritto “operazioni riservate”. L’Italia scopre la loro esistenza il 28 dicembre 1980. Rivolta al carcere di Trani. Per sedarla, il governo decide l’invio dei Gis. E l’Italia per la prima volta scopre l’esistenza di questi reparti speciali. All’interno dell’istituto penitenziario detenuti comuni e brigatisti rossi prendono in ostaggio 18 agenti di custodia. Al termine di un lungo conflitto a fuoco le guardie carcerarie vengono liberate. Molti coinvolti nel blitz vengono feriti, ma nessuno viene ucciso nello scontro. E poi: raid per liberare ostaggi nelle mani dell’Anonima Sequestri (come Patrizia Tacchella, 1990, e Rosa Laura Spadafora, 1995) blitz contro boss della criminalità organizzata armati sino ai denti
Uno dei quattro quadranti-sicurezza è affidato ai “commandos” del Col Moschin. Gli eredi degli «Arditi» della prima guerra mondiale. Tra i primi, se non il primo, reparto speciale europeo della storia recente. Dal 1953, anno della loro costituzione, schierati praticamente ovunque, Libano, Somalia, Balcani, Iraq, Afghanistan, Ruanda, Libia. Sovente in operazioni «top secret». Selezioni durissime. Tirocini micidiali tra prove atletiche che spaventerebbero atleti olimpici e corsi a livello ingegneristico per l’impiego di armamenti sofisticatissimi.
Dire che i commandos della Marina militare (il Comsubin: Comando subacquei e incursori) siano i migliori al mondo, forse migliori dei Navy Seals, non è un azzardo. Di certo i loro raid restano nella leggenda. Quelli dei Mas e delle torpedini impiegate nella prima guerra mondiale. Dei «maiali» nella seconda. Quando le truppe Alleate sbarcarono in Italia e raggiunsero Taranto, era il 1943, per prima cosa – parliamo dei britannici – si diressero verso la base degli incursori di marina. E letteralmente si misero a seguire le «lezioni» degli istruttori «cobelligeranti» per imparare tecniche all’avanguardia sull’impiego dei siluri a lunga corsa, barchini esplosivi e raid anfibi. Nel piano sicurezza coordinato da Difesa e Interni, uno dei quadranti spetta al Comsubin. Ma in caso di sequestro ostaggi in mare aperto – genere Achille Lauro – loro sarebbero comunque i primi a intervenire.