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29 Novembre 2024 18:28

At-tenti! La “naja” non c’è più ma le condanne per renitenza restano…

Schermata 2016-01-12 alle 14.12.11a cura dello Studio Legale Campanelli

La sospensione della chiamata alla leva non ha abolito il servizio militare obbligatorio ma ne ha fortemente ridotto l’operatività.

Di conseguenza, la condotta di rifiuto del servizio militare per ragioni di coscienza non costituisce più reato.

La norma migliorativa, però, pur avendo efficacia retroattiva – a norma di codice penale – non si applica ai casi già decisi con sentenza irrevocabile di condanna.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Presidente: Cortese Arturo

Relatore: Centonze Alessandro

Ha pronunciato la seguente:

Sentenza n. 517 dep. l’8 gennaio 2016

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa il 02/12/2014 la Corte di appello di Bologna rigettava la richiesta di revoca della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, il 13/11/2003, divenuta irrevocabile il 16/11/2014, con la quale S.E era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione per la commissione del reato di renitenza alla leva militare obbligatoria. Tale richiesta era stata presentata in conseguenza della sospensione della leva militare obbligatoria che era stata disposta dall’art. 7, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 231, che imponeva l’applicazione alla fattispecie in esame dell’art. 2, comma 4, cod. pen. in materia di successione di leggi penali in senso favorevole al reo.

Nel caso di specie, il provvedimento di rigetto veniva adottato sul presupposto che, al contrario di quanto dedotto dall’S.E, le modifiche normative in tema di leva militare obbligatoria non avevano comportato la totale abolizione del servizio militare di leva obbligatorio, ma solo limitato la sua operatività a situazioni specifiche e a casi eccezionali, di cui occorreva tenere conto nella valutazione delle condotte delittuose in corso di valutazione giurisdizionale.

2. Avverso tale ordinanza, il condannato ricorreva per cassazione, a mezzo del suo difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della richiesta proposta in sede di esecuzione, in relazione al reato di renitenza alla leva militare obbligatoria contestato all’S.E, che erano stati valutati dalla Corte di appello di Bologna, con un percorso motivazionale contraddittorio e manifestamente illogico.

Si deduceva, in particolare, che le norme relative al servizio militare di leva obbligatorio, contenute nel d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 e nella legge 24 dicembre 1986, n. 958, erano state abrogate dalla legge 231 del 2000, con conseguente applicazione del principio di successione di leggi penali in senso favorevole al reato previsto dall’art. 2, comma 4, cod. pen. Né valeva in senso contrario, l’argomento secondo cui l’istituto in esame era stato soppresso in maniera graduale, atteso che, essendo stata abrogata la leva militare obbligatoria, non poteva ritenersi operante la fattispecie di reato tesa a sanzionare la condotta elusiva di tale comportamento, non più imposto dalla legge.
Per queste ragioni processuali, l’ordinanza impugnata doveva essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Deve, in proposito, rilevarsi che, nel caso di specie, deve farsi applicazione dell’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui la sospensione della chiamata obbligatoria alla leva militare, così come introdotta dall’art. 7, comma 1, della legge 231 del 2000, non ha abolito tale servizio di leva, ma ne ha limitato l’operatività a specifiche situazioni e a ipotesi eccezionali, rilevanti sia in tempo di guerra che in tempo di pace (cfr. Sez. 1, n. 43709 del 06/11/2007, Almavera, Rv. 238685).

Né potrebbe essere diversamente, atteso che una simile interpretazione, oltre a formare oggetto di una posizione ermeneutica da tempo consolidata, si porrebbe in contrasto con la previsione dell’art. 52, comma 2, Cost., che risulterebbe indubbiamente violata in caso di definitiva e totale soppressione dell’obbligatorietà della leva militare. Ne consegue che la nuova disciplina sul reclutamento militare, non avendo integralmente soppresso l’istituto del servizio di leva obbligatorio, non ha comportato una aboliti° criminis totale della relativa fattispecie, ma soltanto una riduzione della possibile sfera di operatività dell’illecito penale (cfr. Sez. 1, n. 24270 del 18/05/2006, Lampedone, Rv. 234839).

Ne discende che sussiste l’ipotesi di cui all’art. 2, comma 4, cod. pen. per i fatti di renitenza alla leva commessi anteriormente all’intervenuta modifica legislativa, sempre che non sia stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, che comporta al soggetto renitente l’inapplicabilità delle nuove e più favorevoli norme. Tale condizione ostativa sussiste certamente nel caso in esame, atteso che la richiesta formulata nell’interesse dell’S.E riguarda la revoca della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, il 13/11/2003, divenuta irrevocabile il 16/11/2004. Sul punto, si ritiene utile richiamare conclusivamente il principio di diritto affermato da questa Corte, che occorre ribadire, secondo cui: “La sospensione della chiamata obbligatoria alla leva, introdotta con L. n. 331 del 2000 e successive integrazioni, non ha abolito il servizio di leva militare obbligatoria, ma ne ha limitato l’operatività a specifiche situazioni e a casi eccezionali riferiti anche al tempo di pace, sicché il reato di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza non è stato abrogato, ma è stato modificato il contenuto del precetto penale. Sussiste, pertanto, l’ipotesi di cui all’art. 2, comma quarto, cod. pen., con la conseguenza, che per i fatti anteriormente commessi, sempre che non sia stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, deve farsi applicazione delle nuove più favorevoli disposizioni, per le quali la condotta di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza non è più reato (cfr. Sez. 1, n. 10424 del 24/02/2010, Negro, Rv. 246396).

2. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di S.E deve essere rigettato, con la sua condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 novembre 2015
Depositata in cancelleria l’8 gennaio 2016

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