Un atto di citazione è stato depositato nei giorni scorsi dinnanzi al Tribunale di Milano dai commissari dell’ILVA Corrado Carruba,Piero Gnudi ed Enrico Laghi con contestuale richiesta di due miliardi di euro di danni alla famiglia Riva, ed alla Riva Fire in veste di soci di controllo di ILVA, i quali invece di avviare la società ad un ormai inevitabile percorso di risanamento ambientale, hanno prima svuotato L’ILVA delle risorse finanziarie necessarie per attuare gli ingenti investimenti a ciò necessari e successivamente “isolato ILVA” dal resto del gruppo Riva attraverso una scissione della capogruppo Riva Fire, e guarda nello stesso periodo contemporaneamente i membri della famiglia Riva rassegnavano via via le dimissioni dalle varie cariche detenute in ILVA .
I commissari quantificano la somma di due miliardi , sulla base di uno studio della società internazionale di revisione Price Waterhouse che ha calcolato il valore che l’ILVA avrebbe avuto, se la società avesse potuto disporre di una somma pari a 1,13 miliardi derivante dalla dismissione delle partecipazioni detenute in due casseforti del gruppo per attuare il piano industriale e il risanamento aziendale. Una somma, invece, che è stata utilizzata per il rimborso anticipato di finanziamenti concessi da STAHL (società controllata da Riva Fire) all’ ILVA.
Era quindi ben noto alla Riva Fire “e ai suoi esponenti apicali la necessità di realizzare con urgenza ulteriori interventi di adeguamento che avrebbero comportato un rilevante esborso finanziario, pena la impossibilità di proseguire la propria attività produttiva. Ebbene proprio in questa situazione si assiste non solo al defilarsi dei signori Riva – gli stessi che – si legge nell’atto di citazione dei commissari – attraverso un complesso schermo di società fiduciarie ad essi facenti capo e la costituzione di otto trust si erano, negli anni, distribuiti dividendi, emolumenti e flussi finanziari variamente titolati per miliardi di euro – ma addirittura all’impiego delle risorse finanziarie di cui Ilva aveva la disponibilità non già per sostenere i piani di investimento via via approvati dal cda di ILVA, bensì per ripianare l’esposizione debitoria di quest’ultima verso le altre società del gruppo».
Secondo l’atto depositato dai commissari al Tribunale di Milano, “il disegno, articolato in più fasi”, è stato “ideato e attuato con lucida determinazione nell’arco di sei mesi, esattamente nel momento in cui la società era chiamata ad un consistente impegno finanziario per adempiere all’Aia adeguando gli impianti produttivi alle sue stringenti prescrizioni, ed ha avuto effetti rovinosi per ILVA, la quale, proprio a causa del mancato adempimento alle prescrizioni dell’Aia, si è vista dapprima (a partire da luglio 2012) oggetto di provvedimenti restrittivi da parte dell’Autorità Giudiziaria di Taranto, e poi sottoposta ad una speciale forma di commissariamento; infine, stante l’impossibilità di fare fronte ai propri debiti, ammessa alla procedura di Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza”.
Una serie di operazioni societarie, realizzate in realtà solo per “separare la sorte di ILVA dal resto del gruppo facendo sì che la “polpa”, e cioè STAHL e le altre società (Riva Acciaio) non toccate dalla crisi di ILVA, fossero poste sotto il controllo di società, sempre direttamente riconducibile ai Riva ma definitivamente separata dalla vicende di ILVA e dalle connesse responsabilità ed oneri”. “In altri termini – è la considerazione finale dell’atto di citazione – nel momento in cui ILVA avrebbe avuto più bisogno di fare ricorso a tutte le risorse finanziarie disponibili a livello di gruppo, Riva Fire e gli esponenti della stessa società, invece di destinare ad ILVA tali risorse, decidevano di lasciare quest’ultima in una situazione di crisi“.