Proprio giorno in cui la Cassa depositi e prestiti tramite il proprio amministratore delegato Fabio Gallia in audizione alla Commissione Attività produttive della Camera dei Deputati ha reso noto ufficialmente di aver “dato disponibilità” alla propria partecipazione con “un ruolo di minoranza” a “un progetto che che renda possibile all’ILVA di tornare competitiva“, la Procura della repubblica di Milano ha iscritto nel registro degli indagati per bancarotta sette componenti della famiglia Riva, oltre l’ex prefetto di Milano, Bruno Ferrante che era stato nominato presidente del siderurgico nel 2012 per dare un segnale forte e chiaro di lontananza con il “modus operandi” dei precedenti manager e offrire una garanzia di trasparenza nella gestione, ricoprendo l’incarico sino al maggio 2013, allorquando il gip di Taranto Patrizia Todisco dispose un maxi sequestro da 8,1 miliardi sui beni del gruppo Riva e lo stesso Ferrante finì nel mirino della magistratura tarantina per reati ambientali. Fu allora che Ferrante diede le le dimissioni dal suo incarico , insieme ai consiglieri Enrico Bondi e Giuseppe De Iure. L’ex prefetto di origine leccese, prima dell’ILVA aveva guidatola Fibe Campania, una società del gruppo Impregilo rimasta invischiata nell’emergenza rifiuti.
La nuova indagine della procura meneghina, sarebbe stata aperta nel giugno 2015, cinque mesi dopo l’avvenuta dichiarazione di insolvenza da parte del Tribunale fallimentare di Milano propedeutica all’ammissione del gruppo alla procedura di amministrazione straordinaria. Insieme a Ferrante sono indagati Adriano, Fabio, Angelo Massimo, Claudio, Cesare Federico, Daniele ed Emilio Massimo nipote del defunto “patron” Emilio Riva.
A presentare l’istanza era stato il commissario, Piero Gnudi. Secondo il Tribunale, l’azienda non aveva “né mezzi propri né affidamenti da parte di terzi” che consentivano di soddisfare “regolarmente e con mezzi normali le obbligazioni e di far fronte, contestualmente, all’attuazione degli interventi previsti dal Piano Ambientale” delineato nel marzo del 2014. Il 28 febbraio i giudici fallimentari hanno rilevato un indebitamento dell’ILVA pari a oltre 2,9 miliardi di euro, un capitale circolante negativo per circa 866 milioni di euro e una posizione finanziaria netta negativa per quasi 1,6 miliardi di euro. La decisione era stata impugnata dalla famiglia Riva e dagli azionisti di minoranza (10.1 %) Amenduni, secondo i quali lo stato di insolvenza è imputabile alla gestione commissariale e non all’ILVA come azienda.