Con un comunicato stampa che la Lumsa si è ben guardata dall’inviarci, l’università cattolica difende l’operato don Antonio Panico che dirige la sede di Taranto e la sua “fida” professoressa Marinella Sibilla. Non è la prima volta che accade. E’ successo infatti alcuni anni fa in Tribunale a Taranto per una Vicenda che abbiamo già pubblicato ma che è bene ricordare nuovamente, per capire i comportamenti della Lumsa, di don Panico e della Diocesi tarantina
Don Antonio Panico nel 2008 venne denunciato per “stalking” da una segretaria della Lumsa , Cosima Matichecchia, la quale dipendente dell’università cattolica per 18 anni, sosteneva di aver subito continue vessazioni in particolare da don Panico, direttore dell’università tarantina, e dalla professoressa Marinella Sibilla (cioè le stesse persone che non hanno voluto e consentito che Greta potesse studiare alla LUMSA) i quali avevano assunto dei comportamenti sulla segretaria, le cui conseguenze sono state comprovate anche da alcune relazioni mediche presentate nella fase istruttoria dai legali della dipendente, a cui si aggiunse anche il parere di un consulente nominato dal Tribunale che conferma che “tutti i sintomi riscontrati alla donna sono attribuibili ad un fenomeno di mobbing”. Quando la segretaria denunciò gli episodi a monsignor Papa (l’ex Vescovo della Diocesi di Taranto) ed a monsignor Di Comite che erano ai vertici del consiglio di amministrazione dell’Edas-Lumsa chiedendo di essere tutelata, la Matichecchia invece di essere convocata, ascoltata, su proposta di don Panico venne licenziata in tronco, perché con le sue denunce all’ Inail ed all’ Ispettorato del lavoro “aveva danneggiato l’immagine dell’Ente“.
Venne denunciato e quindi indagato anche l’ex-vescovo di Taranto Monsignor Benigno Papa su cui si era accentrata nel corso delle indagini l’ipotesi di una condotta omissiva nella vicenda lamentata dalla donna che si era rivolta ai giudici raccontando maltrattamenti sul posto di lavoro. A seguito della denuncia il magistrato iscrisse nel registro degli indagati quattro persone: don Panico, Monsignor Papa, monsignor Di Comite e la professoressa Sibilla . Il vescovo mons. Papa venne coinvolto essenzialmente per non essere intervenuto ed aver sottovalutato la vicenda, macchiandosi anche lui, secondo l’accusa della Procura della Repubblica, del reato di “mobbing”. Alla luce di quanto emerso, tuttavia nel corso delle indagini condotte dal pm Vincenzo Petrocelli, (successivamente deceduto) si giunse all’ archiviazione dell’accusa nei confronti del vescovo Mons. Papa, assistito dall’avvocato Egidio Albanese, con una sentenza di proscioglimento che in realtà fu molto “dura” che stiamo acquisendo nelle sedi competenti e che pubblicheremo nei prossimi giorni.
La richiesta di archiviazione in favore di Mons. Papa venne però opposta dalla denunciante e parte civile rappresentata dall’avvocato Giancarlo Catapano, e quindi tutto finì all’attenzione e competenza decisionale del giudice delle indagini preliminari. Il 18 aprile del 2008 si svolse la Camera di consiglio per decidere sull’opposizione all’archiviazione, ma l’udienza venne rinviata al successivo giugno 2009, per l’assenza del legale della parte lesa. Nel frattempo i legali degli indagati e della parte civile le due parti provarono diverse volte di trattare per arrivare ad una transazione stragiudiziale, cioè arrivare ad un accordo economico con il pagamento di un risarcimento che consentisse di chiudere definitivamente il caso. I primi tentativi andarono a vuoto poiché dalla Matichecchia era arrivata la richiesta di un risarcimento di un milione ed ottocento mila euro, somma che veniva considerata esagerata dalla difesa della Curia che era disponibile ad arrivare ad un accordo, a condizione che la richiesta venisse notevolmente ridimensionata e quindi la vicenda giudiziaria si sarebbe chiusa senza affrontare un possibile processo.
Nel corso dell’udienza che si tenne nel febbraio 2010 la pubblica accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Pietro Argentino, invocò incredibilmente la nullità del procedimento sulla base di valutazione di norme di attuazione del codice di procedura penale, asserendo in sostanza che il Gup avesse richiesto erroneamente alla Procura le ulteriori indagini e che quindi il pubblico ministero Vincenzo Petrocelli avesse sbagliato a comporre il capo d’imputazione eccedendo con le accuse contro i prelati. Ma dopo una lunga camera di consiglio, il giudice Pompeo Carriere respinse le eccezioni proposte dalla pubblica accusa, cioè dell’attuale procuratore aggiunto di Taranto dr. Pietro Argentino , il quale si era peraltro “schierato” con i difensori degli imputati richiedendo che non venisse accolta la costituzione delle parti civili.
Il processo si interruppe con una transazione economica, con cui la signora Matichecchia venne risarcita dei danni morali e professionali subiti. E quindi prevalse l’interesse da parte della Diocesi e della Lumsa di pagare e mettere tutto a tacere, salvando don Panico da una pressochè certa condanna. Una linea processuale molto simile a quella che ha visto patteggiare in Tribunale davanti al Gip il parroco della Chiesa del Carmine don Marco Gerardo, condannato nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto” , pur di salvare e non coinvolgere nel processo l’ex-vescovo Mons. Benigno Papa.
E’ semplicemente a dir poco vergognoso leggere nel comunicato della Lumsa che “la candidata avrebbe potuto incontrare alcune difficoltà per il contatto diretto con l’utenza” dimenticando tutte le normative di Legge che prevedono l’abbattimento delle barriere architettoniche. Immediatamente tutti i “sodali-amici ” di don Panico sono scesi in campo su Facebook a difendere il loro amico, beccandosi la controreplica della signora Maria Grieco, la mamma di Greta, che ha chiarito molto signorilmente che non ha alcuna intenzione di fare causa alla Lumsa.
Le “notizie infanganti e sopratutto mendaci” sono quelle che cerca di propagare con i suoi comunicati stampa l’università diretta da don Antonio Panico. Ma all’attitudine alla menzogna di certi preti, come le inchieste giornalistiche dei nostri colleghi Fittipaldi e Nuzzi hanno documentato e comprovato non c’è mai limite. Anche a Taranto.