Pubblichiamo di seguito un intervento di un dirigente dell’ ENI di Roma, che lasciamo nell’anonimato (non richiesto) proprio per evitare strumentalizzazioni di qualsiasi genere. Non è quindi un appello o qualsiasi tipo di voto sul referendum, ma solo e soltanto qualcosa che tutti noi dovremmo sapere prima di parlare a vanvera.
“Lavoro all’Eni ed ho sotto mano ogni giorni i dati di produzione sia di gas che di acque si strato ma cercherò di non essere di parte, solo di dare informazioni oggettive.
1) In Italia non abbiamo petrolio. Ce n’è un piccolo giacimento nella Val D’Agri in Basilicata (ampiamente nell’entroterra) ma non c’è nulla nei nostri mari: tutte le piattaforme sono a produzione di gas, quindi gli spauracchi di macchie di petrolio lungo le nostre coste non esistono.
2) Le piattaforme esistono in Adriatico dagli anni 60 e stanno già terminando la loro vita, in pratica estrarranno al massimo per un’altra decina d’anni, anno più anno meno, tutto l’inquinamento o la subsidenza o i danni che potevano fare li hanno già fatti, chiuderle ora non cambierà di una virgola questo stato di cose.
3) L’Adriatico è un mare inquinato perché non ha ricambio di acqua e perché è una discarica a cielo aperto delle industrie della costa e del Po. L’inquinamento registrato vicino alle piattaforme è il medesimo (se non più basso) di quello alla foce del Po (dove non vi sono piattaforme per decreto Cacciari).
4) le Acque di strato vengono reiniettate nel giacimento o trattate a terra secondo le rigidissime leggi vigenti (e vi assicuro che Eni ci sta molto attenta perché sa bene di avere l’attenzione dei media addosso; ti basti pensare che l’ufficio HSE è più grande ed ha più risorse dell’ufficio perforazione) per cui non vi è spargimento di acque di strato in mare.
5) Già adesso col decreto Prestigiacomo non è possibile perforare entro 12 miglia dalla costa (quindi metà del referendum dice fuffa).
6) Le piattaforme finiranno la loro “vita” molto prima della scadenza delle concessioni e, come ho già scritto, sarà circa di 10 anni.
7) Lo Stato non ha denaro da investire nella ricerca delle energie rinnovabili se non quello delle Royalty che pagano le società energetiche; le ricerche sul rinnovabile sono per lo più finanziate dalle stesse (perché una società energetica come Eni sa meglio di chiunque altro quando rimarrà a secco di idrocarburi e si stanno già preparando al futuro, perché non chiuderanno quando finirà il petrolio ma continueranno a produrre energia).
8) Eni non vede l’ora di andarsene dall’Italia in quanto la produzione di gas in Italia è fortemente sconveniente per le ditte a causa delle regole molto restrittive (e giuste) in merito allo sfruttamento dei giacimenti sia in merito alla gestione del personale.
Questo referendum farebbe il suo gioco e gli darebbe la possibilità di lasciare a casa 6000 persone sventolando un semplice risultato referendario.
9) Il gas italiano è puro metano al 99,4%, sono sciocchezze quelle che dicono che i costi di purificazione sono più elevati in Italia che non all’estero: i costi più elevati in Italia (ma sono comunque costi per le aziende energetiche, non per lo Stato) sono appunto per rispettare le regole ambientali e sindacali.
10) Le piattaforme, una volta terminata l’estrazione, verranno riconvertite in centrali eoliche o solari (dato che in mare aperto tira un vento della madonna, ve lo posso confermare ^^) non verranno smantellate in quanto il costo di bonifica è qualcosa di talmente elevato che nessuno se lo può sobbarcare, senza contare che attualmente sono il miglior “tappo” che possa esserci per i giacimenti.
11) Non è vero che le piattaforme rovinano la vita marina, vi invito a googlare “piattaforma Paguro” e vedere cosa è diventata una piattaforma che è esplosa negli anni 60 ed è caduta sul fondo del mare: è un parco naturale subacqueo patrimonio comunitario. Il ministero dell’ambiente ha chiesto ad Eni di “buttare lì‘” altre piattaforme in disuso per allargare il parco!
12) Al lato pratico, come avrete già ben capito anche voi, questo referendum non cambia granché per quanto riguarda l’ambiente; essenzialmente è un braccio di ferro tra le regione PD e lo Stato PD: l’ennesima guerra interna a questo partito; quindi un referendum politicizzato che serve a dare più discrezionalità alle regioni o allo Stato in materia di sfruttamento dei giacimenti, come dice il Latella è ridicolo che un braccio di ferro del genere costi così tanto alle casse dello Stato e soprattutto ne vada della pelle di 6000 lavoratori (+ tutti quelli dell’indotto perché assieme ad Eni salteranno anche tutte le aziende italiane che vi lavorano) per un voto meramente politico.
Per questo l’astensione a mio avviso sarebbe il voto più sensato a questo referendum (ma questo è ovviamente il mio parere, il resto delle cose che ho scritto sono dati oggettivi dati dalla mia esperienza lavorativa con Eni)“