di Paolo Bricco *
La scelta del Governo di affidare a un comitato di esperti la prima valutazione dei piani ambientali elaborati dalle cordate in corsa per l’Ilva allunga i tempi dell’operazione, con ricadute sulla già compromessa finanza di impresa e sulla ormai sfibrata tenuta emotiva e sociale di Taranto. È l’ennesimo rinvio in un “affaire” che soffre di due problemi strutturali: non riesce a trovare una vera quadratura del cerchio finanziaria e non sa come uscire dal vicolo cieco.
Questo ennesimo rinvio – in una vicenda che ormai dura da quattro anni – contiene degli elementi di criticabilità, anche perché mostra alle dieci imprese straniere in lizza per l’Ilva (o per una parte di essa) quanto ogni percorso – regolamentare e giuridico, perfino quello di un’asta pubblica – sia da noi rinegoziabile e modificabile in ogni momento.
Questa criticabilità verrebbe mitigata se invece l’intera operazione fosse in realtà un cassetto a doppio fondo: in apparenza un ulteriore impulso a garantire l’aspetto green del turn-around, in realtà una tecnica politico- amministrativa per dare più tempo alle varie cordate che si stanno organizzando, così da avere un maggior numero di offerte fra cui scegliere.Restiamo però a quello che si vede a occhio nudo e che si legge nei documenti del Governo: la priorità a una attenta e approfondita analisi del piano ambientale dei concorrenti. A questo proposito, nessuno mette in dubbio la legittimità di ogni scelta che miri a porre in primo piano la risoluzione della questione della salute pubblica, che rappresenta il vulnus principale – per i lavoratori dell’acciaieria e gli abitanti di Taranto – da cui tutto ha avuto origine. Tuttavia, in una vicenda che ha visto il tema ambientale assumere le fisionomie più diverse, a questo punto non si possono sottovalutare le conseguenze pratiche dell’attuale procrastinazione. Allungando in prima battuta di quattro mesi i tempi per consentire le deduzioni degli “esperti” e le controdeduzioni delle aziende, si rischia di spostare alla fine del 2016 la scelta del miglior offerente.
Non male, per una impresa commissariata che, negli anni scorsi, ha perso fra i 15 e i 50 milioni di euro al mese. Per fortuna che, negli ultimi tempi, il mercato italiano ha ripreso un poco di vigore e la marginalità sulle singole unità di prodotto – per Taranto come per il resto della siderurgia italiana – è tornata a crescere. In ogni caso, altri soldi si perderanno: ma queste nuove perdite semplicemente si inseriranno in un contesto strutturale che ha avuto nei sequestri e nel commissariamento, con l’uscita dal mercato dell’Ilva, i peccati originali. Nuove perdite, su una montagna di erosione del valore.
C’è, poi, un tema di credibilità internazionale dell’Italia. ArcelorMittal, i turchi di Erdemir, il gruppo Bolloré, i cinesi del P&C Shenzen Fund, il fondo americano Erp Compliant Fund e i brasiliani di Csn Steel sono alcune delle imprese straniere che hanno manifestato interesse per l’Ilva in amministrazione straordinaria, nella sua totalità o in una qualche sua parte. Senza stare a sindacare a chi, fra questi gruppi, potrebbe andare bene un allungamento dei tempi, appare evidente che il messaggio espresso – in una gara a connotazione volutamente internazionale – è quello di una rinegoziabilità continua dei termini delle questioni. Resta, sullo sfondo, la domanda sul perché il Governo abbia scelto, a un mese dalla conclusione di un iter avviatosi alla fine dell’anno scorso, di buttare la palla – temporalmente parlando – in avanti.
Se avesse consistenza l’ipotesi che tutto questo servirebbe ad aumentare il numero di cordate dando il tempo necessario a tutte di organizzarsi con una fisionomia finanziaria adeguata, non scaricando così su un sistema bancario provato dalla crisi la necessità di finanziare in toto il circolante, sarebbe poi auspicabile che il Governo fosse fino in fondo super-partes, valutando nel merito tutte le offerte, senza decisioni pregiudiziali o scelte con il pilota automatico. Anche se, davvero, in questa vicenda il profilo strutturale – formato da sequestri, commissariamenti e perdite enormi – ha creato un triangolo nero da cui sarà molto difficile uscire. Per l’Ilva, per l’economia italiana, per il Paese
*giornalista del Sole24Ore