di Elisabetta Reguitti
Il corpo del reato in questione è il film-documentario ‘Nei secoli fedele – il caso Giuseppe Uva‘ proiettato a Roma al centro sociale Auroemarco di Spinaceto forse per l’ultima volta, se la notifica e la richiesta di sequestro pervenute in questi giorni agli autori verranno accolte. Gli esposti per la verità sono diversi a cominciare dalla denuncia per diffamazione nei confronti della sorella di Giuseppe per le dichiarazioni rilasciate alla trasmissione Le Iene. Ma ora sotto accusa sono finiti anche Adriano Chiarelli e Francesco Menghini che, secondo i querelanti, con la loro opera avrebbero leso il “prestigio e la reputazione” dei carabinieri autori dell’ arresto di Giuseppe Uva avvenuto a Varese la notte tra il 13 e il 14 giugno 2008.
Come un brutto déjà vu torna alla memoria la richiesta di sequestro di un altro documentario, quello su Federico Aldrovandi 18enne massacrato da poliziotti a Ferrara. Il torto è sempre lo stesso: aver ricostruito sulla base degli atti processuali una brutta storia ancora tutta da scrivere. “Usano la parola allusione come se il nostro film fosse di per sé un processo. Noi ci siamo invece limitati a tradurre in immagini le parole e le descrizioni riportate nel processo. Compresi i nomi e le diverse testimonianze a cominciare da Lucia Uva e l’amico Alberto Biggioggero che condivise l’ultima notte dentro la caserma di Varese dove furono condotti per schiamazzi” commenta Chiarelli autore, tra l’altro, del saggio-inchiesta Malapolizia edito da Newton Compton anche questo oggetto di una querela per diffamazione aggravata presentata giusto un anno fa alla Procura di Varese, testo citato anche in questo ultimo atto giudiziario sul film in cui si legge: “Risulta travalicato, da parte dell’autore e del regista del documentario, il legittimo esercizio del diritto di cronaca, con conseguenti effetti diffamatori in danno ai querelanti”.
Per il senatore Pd Luigi Manconi dell’ associazione A buon diritto il fatto inquietante è che un fascicolo che porta la scritta “atti relativi alla morte di Giuseppe Uva si traduca in un’azione giudiziaria solo per diffamazione aggravata contro la sorella della vittima e giornalisti e scrittori che hanno voluto dare voce alla richiesta di giustizia e verità”.
Rimane da stabilire di cosa sia morto Giuseppe. Non certo a causa dell’intervento (o errore) sanitario, come peraltro stabilito dalla sentenza dell’aprile di un anno fa in cui il dottor Fraticelli è stato prosciolto dall’accusa di omicidio colposo perché “il fatto non sussiste”. Il giudice in quella stessa sede aveva poi imposto di restituire gli atti alla Procura di Varese obbligandola ad indagare su quanto avvenuto prima dell’arrivo di Uva all’ospedale, nel lasso di tempo intercorso tra l’arresto in strada e le tre ore di fermo all’interno della caserma.
Ma tutto si è fermato alla diffamazione e al sequestro di un film.
*blogger del Fatto Quotidiano