“Comincia a far freddo in cella, chiusi si sente ancora di più. Sono come svuotato, credimi ormai indifferente a quello che di nuovo, di infame, hanno detto“… E’ solo un passaggio di una delle lettere scritte da Enzo Tortora dal carcere alla compagna, Francesca Scopelliti e letta da Enzo De Caro che ha preso parte alla fiction “Il caso Enzo Tortora” su Rai1. Lettere raccolte nel libro “Lettere a Francesca“, Pacini editrice, presentato a Roma alla Camera di Commercio dall’Unione delle Camere Penali Italiane e dalla Fondazione internazionale per la giustizia “Enzo Tortora”, nel 33esimo anniversario dell’arresto del conduttore, il 17 giugno 1983.
Sette infiniti lunghissimi mesi che travolsero la vita di Enzo Tortora. Dal 23 giugno del 1983, il giorno dell’arresto, il fino al gennaio del 1984 quando il noto presentatore televisivo, accusato di avere legami con la camorra, cominciò a scrivere una serie di lettere alla sua compagna Francesca Scopelliti che oggi vengono pubblicate nel libro “Lettere a Francesca”. Sono lettere – scrive il quotidiano Repubblica – inedite da cui trapela tutta l’umanità di Tortora. “Guarda per me il mare”, le scriveva e ancora: “Ci si sente umiliati fino al midollo”. Nelle lettere c’è tutta la rabbia, lo sgomento e anche il dolore fisico per la grossa ingiustizia che ha subito dalla giustizia italiana. Tortora non si dà pace. “La lotta fra me, innocente, e l’accusa, impegnatissima a dover dimostrare il contrario (un altro aspetto di questa farsa italiana), durerà a lungo” scrive. “Non hanno niente in mano” e poi l’accusa ai magistrati “Solo tre categorie di persone (ho scoperto) non rispondono dei loro crimini: i bambini, i pazzi e i magistrati“.
Per Scopelliti, presidente della Fondazione Enzo Tortora, il libro è un documento di denuncia sul sistema giudiziario di 33 anni fa, ed è purtroppo molto attuale. Non vuole celebrare Tortora, ma è come il nuovo inizio di una battaglia per una giustizia giusta. Nel libro sono racchiuse quasi tutte le lettere che le ha scritto Tortora. “Non saprei dire qual è la lettera più bella, certo dove ha delle parole dolci per me mi tocca di più il cuore, ma ce ne sono alcune in cui racconta in diretta, mentre scriveva, il terremoto a Bergamo e dice: credo di aver vissuto tutto, in carcere, innocente, il terremoto. E più che delle frecce al cuore, queste sono pugni nello stomaco“.
Le condizioni tremende. Scrive frasi come: “Sto pensando di chiedere il cambio di cittadinanza, questo Paese non è più il mio”. E non risparmia la sua rabbia verso i colleghi, quelli che in teoria avrebbero dovuto dargli sostegno: “Non mi parlare della Rai, della stampa, del giornalismo italiano. E’ merda pura“. C’è molta dell’umanità di Tortora. Lui chiama Francesca “mio caro amore”, oppure: “Cicciotta”. Poi descrive le condizioni aberranti del carcere: “Ci pigiano in sette in pochi metri”, “Chissà perché si dice ‘al fresco’ io muoio di caldo in cella“. Sei al cesso, “un buco apposito consente loro di vederti“.
Ne emerge la lucidità di Tortora: “Il fatto di aver capito dall’inizio che la storia non sarebbe finita presto ma per salvare l’inchiesta, il maxi-blitz, i magistrati avrebbero dovuto ‘fottere lui’. Questa è la sua parola“. A spingerla a pubblicarle – ha raccontato – sono stati gli avvocati dell’Unione Camere penali e il presidente Beniamino Migliucci che fin dall’inizio ha intrapreso una battaglia per la giustizia in nome di Tortora, ritenendo il suo non solo un episodio di “mala-giustizia“. “Il processo mediatico, la condizione delle carceri, la separazione delle carriere, la presunzione d’innocenza, tutti temi d’attualità che non hanno trovato una soluzione adeguata“.
Presenti anche Giuliano Ferrara, che ne ha scritto la prefazione ed Emma Bonino che ha ricordato l’elezione di Tortora a eurodeputato del Partito Radicale, il suo rapporto con Marco Pannella ed ha promesso che continuerà a combattere le sue battaglie per la riconquista di uno Stato di diritto decoroso nel Paese. “Questo libro è un regalo per la memoria, mi piacerebbe che lo leggessero i ragazzi“.