Non vi è alcuna prova che Emanuele Degennaro (per gli amici Lello), abbia riciclato il denaro sporco del clan malavitoso barese che fa capo al “boss” Savinucco Parisi. Il rettore della Lum (Libera Università Mediterranea) e Vincenzo La Gioia ritenuto un prestanome del clan Parisi sono stati prosciolti dall’accusa di concorso in riciclaggio con l’aggravante di aver agevolato un’associazione mafiosa. La sentenza al termine dell’udienza preliminare, è stata emessa dal gup del Tribunale di Bari Francesco Agnino.
Le accuse iniziali ipotizzavano che Michelangelo Stramaglia il defunto boss di Valenzano avrebbe affidato il denaro a Michele Labellarte ritenuto il cassiere del suo clan (ed anche lui deceduto), perché lo trasformasse in euro. I 3,8 milioni di euro sarebbero quindi stati riciclati attraverso un fittizio contratto preliminare di compravendita di immobili fra una società del gruppo Degennaro e La Gioia, a sua volta prestanome di Labellarte.
Secondo la Procura barese, che inizialmente contestava l’acquisto nel 2002 di un appartamento al Baricentro che avrebbe consentito di riciclare 6 miliardi di vecchie lire, così come per i difensori degli imputati e il giudice, le indagini “non sono riuscite ad accertare quando e come sia avvenuta l’immissione dei sei miliardi di lire nel Gruppo Degennaro”. Secondo il Gup “il fatto non sussiste” per Degennaro e La Gioia a carico del quale “l’attività di indagine non ha consentito di appurare alcun collegamento dell’imputato con la criminalità organizzata facente capo a Savino Parisi” , mentre per Parisi la vicenda è già oggetto del “processo Domino” in cui il boss è imputato e quindi non può essere processato e giudicato due volte per lo stesso fatto.
Il non luogo a procedere a carico dei tre imputati era stato richiesto dallo stesso pm di accusa, il procuratore aggiunto Pasquale Drago, che ha ereditato il fascicolo processuale dalle ex pm antimafia Elisabetta Pugliese e Francesca Pirrelli.