I finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria dalla Guardia di Finanza di Milano hanno eseguito ieri un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti undici persone, tra cui un avvocato, sono state arrestate ieri nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Milano con al centro reati tributari, riciclaggio e associazione per delinquere con l’aggravante della finalità mafiosa. Agli arrestati erano riconducibili alcune aziende a cui erano stati affidati appalti per l’Expo. Al centro dell’inchiesta c’è il consorzio di cooperative Dominus Scarl specializzato nell’allestimento di stand, il quale ha lavorato per la Fiera di Milano dalla quale ha ricevuto in subappalto l’incarico di realizzare alcuni padiglioni per Expo tra cui quello della Francia e e Guinea equatoriale.
Allarmati dal pericolo di vedere sfumare la proroga del redditizio contratto tra il consorzio Dominus e Nonsolostand spa che garantiva lavori in subappalto alle manifestazioni fieristiche e a Expo, Giuseppe Nastasi, il titolare di fatto del consorzio e il suo socio e stretto collaboratore Liborio Pace, due tra gli arrestati nell’operazione di ieri della Dda milanese, erano anche riusciti nel luglio del 2015 ad ottenere un incontro con Corrado Peraboni il nuovo amministratore delegato di Fiera Milano spa.
Lo riporta il provvedimento con cui la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano ha commissariato la controllata del Gruppo Fiera. Come si legge nell’atto il 29 luglio 2015 Nastasi e Pace interrompono la vacanza estiva per fare rientro a Milano allo scopo di partecipare ad un importante incontro con il nuovo ad di Fiera Milano “per ottenere l’assicurazioni circa il prolungamento del contratto di collaborazione del Consorzio Dominus all’interno del polo fieristico meneghino“. Intercettati dicevano: “Allora, se questo capiamo che non è… bene..se no Borù..la prendiamo nel c… tanto stamattina lo capiamo noi altri se… lo capiamo… vediamo che tempo è… C’e’ da capire con Pilello che rapporto hanno“. Dalla ricostruzione fatto l’incontro avviene grazie all’intercessione del commercialista Pietro Pilello e lascia soddisfatto Nastasi che la sera stessa al telefono dice “oggi mi è andata bene.. ho fatto l’appuntamento con… amministratore delegato (Fiera Milano)… e sicuramente ci proroga il contratto fino al 2022… sono contentissimo… siamo stati lì un paio di ore..”.
La “famiglia mafiosa degli Accardo di Partanna”, in provincia di Trapani, a cui sarebbe legato Giuseppe Nastasi, il presunto promotore dell’associazione per delinquere smantellata nel blitz di stamani contro le infiltrazioni mafiose in Lombardia, ha notevole “importanza” nel panorama dei clan anche per “la forte vicinanza con la famiglia di Castelvetrano Messina Denaro”. Come scrive nell’ordinanza di custodia cautelare il gip di Milano Maria Cristina Mannocci che riporta una serie di intercettazioni per dimostrare “la profonda conoscenza della storia mafiosa” da parte di Nastasi, ma “anche il riconoscimento di un profondo rispetto verso” lo stesso clan Accardo, “tanto da sentirsi in dovere di portare un regalo ai figli di Accardo Nicola“. In altri passaggi dell’ordinanza, tra l’altro, viene evidenziato il rapporto tra il “superlatitante” Matteo Messina Denaro e la famiglia Accardo.
E’ “chiaro”, scrive il gip Mannocci nell’ordinanza di custodia cautelare, che un “meccanismo quale quello emerso dalle indagini è stato reso possibile da amministratori di aziende di non piccole dimensioni, consulenti, notai e commercialisti che in sostanza ‘non hanno voluto vedere’ quello che accadeva intorno a loro”. Il giudice parla di “gravi superficialità“, ma “certamente anche grazie a convenienze”, da parte di “soggetti appartenenti al mondo dell’imprenditoria e delle libere professioni”. E per “alcuni” di loro “si profila peraltro un atteggiamento che va oltre la connivenza”
Sequestrato circa 1 milione di euro in contanti, di cui 400mila trovati su un camion diretto in Sicilia e fermato a Napoli, 300mila nella disponibilità all’avvocato di Caltanissetta Danilo Tipo e altri 300 mila euro in contanti trovati in casa di Giuseppe Nastasi nell’ottobre scorso, come hanno spiegato il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e i pm Paolo Storari e Sara Ombra nel corso della conferenza stampa sul blitz antimafia . Il pm Storari ha aggiunto anche che le indagini stanno approfondendo altri aspetti, come il fatto che “la struttura societaria di Nastasi ha costruito anche impianti fotovoltaici in Sardegna e Sicilia“.
Il procuratore aggiunto Boccassini, inoltre, ha chiarito che “una squadra della Gdf sta sentendo una serie di persone, tra cui alcuni operai che hanno creato dei ‘doppi fondi’ nei quali Nastasi teneva nascosti i contanti“. Operai che, peraltro, ha aggiunto il magistrato, “stanno facendo ammissioni sul punto“. Sempre la Boccassini ha raccontato che quando all’avvocato Danilo Tipo ex presidente della Camera penale di Caltanissetta è stato chiesto conto dei soldi trovati nella sua disponibilita’, “lui ha risposto che erano ‘il nero’ di un cliente'”. Dall’inchiesta, poi, è emersa anche una fitta rete di conti esteri, dalla Slovenia al Liechtenstein passando per altri Paesi. Conti che sono stati tutti sequestrati.
Il procuratore capo di Milano Francesco Greco in conferenza stampa l’ha definita una “vicenda inquietante”: “Le organizzazioni criminali sono riuscite a inserirsi nelle partecipate pubbliche. L’indagine ha messo alla luce una rete di riciclaggio all’estero, che puntiamo a svelare completamente attraverso rogatorie con altri Paesi”. Gli arresti ha aggiunto, dimostrano ancora una volta “una stretta interconnessione tra organizzazioni criminali mafiose e criminalità economica”
Quello che molti temevano è quindi accaduto: le mani delle famiglie mafiose si sono allungate sin dentro al mega business dell’Expo milanese. Molto meno tempestiva è stata la procura di Milano che prima di disporre 11 arresti per associazione a delinquere finalizzata a favorire gli interessi di Cosa nostra, ha aspettato che l’allora commissario Expo Giuseppe Sala, candidato a sindaco di Milano (e i cui più stretti collaboratori sono da tempo finiti in carcere), vincesse la sua sfida elettorale.
Una vittoria al photo-finish che viene normali chiedersi come sarebbe andata a finire la competizione elettorale con Stefano Parisi se le manette per gli appalti sui padiglioni Expo fossero scattate 15 giorni prima del voto e non 15 giorni dopo. Un nervo scoperto per i magistrati milanesi, che ieri dopo aver convocato una conferenza stampa per descrivere le “meraviglie” della loro indagine, quando è stato loro chiesto conto della tempistica leggermente sospetta, e contestato da qualche giornalista che il “modello Milano” non ha saputo opporsi alle infiltrazioni della mafia, si sono alzati e ne sono andati seccati .
“Il solito brutto atteggiamento di magistrati” – come scrive oggi il quotidiano Il Giornale – “che non vedono come la libertà di informazione non preveda domande buone o domande cattive, ma solo buone risposte a domande comunque legittime”.
Per Expo e Fiera secondo la procura di Milano non ci sono responsabilità penali . Ma è un fatto inconfutabile che i controlli preventivi dalle infiltrazioni mafiose non abbiano funzionato e che delle responsabilità ci sono e sono evidenti, se la mafia è arrivata a costruire nel cuore dell’Expo, i suoi padiglioni più importanti come quello della Francia. Legittimo chiedersi dentro quale baratro sia finito il Paese se le cosche di Pietraperzia e Castelvetrano, quelle che dettero i natali a Giovanni Gentile e oggi ricorda i Messina Denaro, possono permettersi di movimentare “un fiume di soldi in nero” dentro l’evento più importante e più sorvegliato degli ultimi decenni, trasformando il “modello Milano” tanto millantato da Sala , Expo e Fiera Milano una sorta di bancomat per “Cosa nostra“.
Tutto ciò pone qualche ombra sulla magistratura sospettata di aver concesso all’Expo una “moratoria”, come lasciato intravedere da una recente intervista dell’ex procuratore capo di Milano Bruti Liberati, che ha congelato chissà quante e quali indagini. Tutto ciò in spregio all’obbligatorietà dell’azione penale e del famoso concetto del rito ambrosiano del “non poteva non sapere” applicato dai magistrati milanesi sin dai tempi di “Tangentopoli” . Una vera e propria moratoria protrattasi sino alla chiusura di Expo a ottobre. Forse per no disturbare la candidatura di Sala a sindaco?
E adesso legittimo chiedersi: finisce qui o ci sono altri fascicoli nel congelatore dei magistrati da tirar fuori a Milano ?