Di chi sarà quella manina anonima e sopratutto chi la manovra in Cassazione dove un giorno decide di oscurare delle sentenze imbarazzanti e qualche mese dopo, forse preoccupata del polverone sollevato da un’interrogazione parlamentare, l’ha reintegrata pubblicando i nomi dei condannati che all’improvviso sono apparsi sui documenti pubblici ? L’incredibile vicenda sta causando non poca tensione negli ambienti giudiziari romani e nel Ministero di Giustizia.
A 15 anni da quel drammatico G8 del luglio 2001 una piccola breccia nel muro di omertà eretto dalle istituzioni permette di scoprire quale sanzione disciplinare sia stata comminata agli agenti e funzionari responsabili della macelleria messicana e delle false prove della scuola Diaz: 47 euro e 57 centesimi. Qualche centesimo in meno meno delle vecchie centomila lire ! L’equivalente di una giornata di lavoro decurtata di contributi ed altro. Anche se l’assistente capo Massimo Nucera (che nel 2001 era semplice agente) venne condannato a 3 anni e cinque mesi per “falso” e “lesioni” (queste ultime prescritte) a Natale del 2013 era stato condannato dal Consiglio provinciale di disciplina della polizia ad una sospensione dello stipendio di un mese.
Ma nel marzo del 2014 neppure un anno dopo il suo ricorso venne accolto dall’allora Capo della Polizia in persona, il prefetto Alessandro Pansa diventato da pochi mesi il capo dei servizi segreti italiani, vedendosi ridotta la sanzione da 30 giorni a un solo giorno ! Nella sentenza “sterilizzate” e firmata da Pansa, Nucera venne ritenuto responsabile di un “comportamento non conforme al decoro delle funzioni… dimostrando di non aver operato con senso di responsabilità…“. L’equivalente di buffetto per aver partecipato a quegli eventi che i giudici di Appello e Cassazione hanno così descritto “L’enormità di tali fatti, che hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero“.
La vicenda Nucera è ancora una volta l’esempio di una parte dello Stato che vuole nascondere la verità. Infatti, quando Nucera viene giudicato dal Consiglio di disciplina presieduto dal dirigente Lorenzo Suraci all’epoca vice questore vicario della Questura di Roma ( il 1° gennaio 2014 è stato promosso Dirigente Superiore ed attuale Questore di Viterbo ) nel curriculum del “celerino” non c’è soltanto la condanna definitiva per i fatti genovesi del luglio 2001 relativa anche alla “bufala” della dichiarata (ma inesistente) coltellata ricevuta da parte di un occupante della Diaz . Nucera consegnò il proprio giubbotto strappato ma le indagini dei Carabinieri accertarono e svelarono che in realtà si era auto inferto la coltellata.
L’ attitudine alla menzogna. Quattro anni dopo, cioè nel 2005, a Teramo, e sempre indossando al divisa del VII Reparto Mobile di Roma, il “celerino” Nucera finisce di nuovo nei guai. Due celerini picchiano un tifoso della squadra di basket locale e questa volta Nucera viene accusato di aver coperto i colleghi raccontando, ancora una volta, tanto per cambiare delle menzogne. E viene condannato ad un anno e quattro mesi per “falsa testimonianza” . Ma la prescrizione lo salva nuovamente in Appello.
Lo Stato contro lo Stato. Fu proprio lo stesso prefetto Alessandro Pansa, un anno dopo, nel giugno 2015, a denunciare al Consiglio Superiore della Magistratura il pm del “processo Diaz”, Enrico Zucca, il quale in un dibattito avvenuto durante la manifestazione “Repubblica delle Idee” organizzata dal quotidiano LA REPUBBLICA aveva ricordato alcuni passaggi della durissima sentenza con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva condannato l’Italia per i fatti della Diaz in merito all’assenza di leggi e norme finalizzate a punire la tortura e i torturatori.
Le sentenze “sbianchettate” e successivamente ripristinate sono quelle della scuola Diaz e della prigione di Bolzaneto che condannavano definitivamente nel 2012 (come responsabilità civile chi aveva goduto della prescrizione) alti funzionari della Polizia di Stato, agenti della penitenziaria e anche diversi medici per le violenze ripetute, i falsi, gli abusi e le umiliazioni sistematiche nei confronti di centinaia di persone fermate, per altro rivelatesi in seguito tutte innocenti.
Pochi mesi dopo la pubblicazione sul registro pubblico online delle sentenze della Corte di Cassazione, ed accessibile da chiunque, quelle del G8 di Genova risultavano senza i nomi dei condannati, che contenevano nomi illustri della Polizia come quelli di prima oscurate ed ora ripristinate, come Francesco Gratteri o Gilberto Caldarozzi, rispettivamente responsabili dell’Antiterrorismo e dell’Antimafia, che erano i più stretti collaboratori del capo della Polizia all’epoca prefetto Gianni De Gennaro, attualmente presidente della società pubblica Leonardo (ex-Finmeccanica).
Ad accorgersi per primo di tale anomalia è un magistrato di Cassazione Antonio Bevere fondatore della rivista “Critica del diritto“. che nel numero di luglio segnala la vicenda accostandola a quella di altri misteri italiani come quelli relativi ai procedimenti giudiziari sul tentato golpe del “Piano Solo” degli anni ‘60. “Sembra che vi sia un disagio delle pubbliche istituzioni quando altre istituzioni vengono coinvolte in vicende gravi” dice Bevere che sarà a Genova venerdì prossimo al convegno del Ducale dedicato alla tortura , in cui per la prima volta un esponente del Governo incontrerà pubblicamente una vittima del G8.
La vicenda delle sentenze oscurate suscitò prima la curiosità e poi l’interesse del senatore del Pd Luigi Manconi il quale, il 30 marzo, ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Andrea Orlando per sapere “se nei casi di specie la procedura di oscuramento sia stata richiesta dagli interessati o avviata d’ufficio; quali fossero i “motivi legittimi” eventualmente proposti dagli interessati sulla base dei quali è stata decisa l’anonimizzazione dei dati personali ovvero l’avvio della procedura per il loro oscuramento; quali fossero le necessità di tutela dei diritti o della dignità della persona sulla base delle quali essa è stata disposta d’ufficio“.
Il senatore Manconi sino ad oggi non ha ancora ricevuto alcuna risposta alla sua interrogazione che ha indotto qualcuno, dal Ministero di Giustizia di chiedere spiegazioni al “Palazzaccio” ove ha sede la Corte di Cassazione. All’improvviso quasi per incanto un paio di settimane fa, la sentenze sono ricomparse complete nella loro integrità. Ma anche questa volta c’è una stranezza. Si leggono i nomi dei condannati ma sono stati cancellati a mano in maniera grossolana con un pennarello nero, i nominativi delle parti offese e dei testi di Polizia.
Cosa sarà accaduto? In attesa di una giustificazione ufficiale (sempre che non si sia trattato di un hacker….) l’oscuramento può essere stato deciso in autonomia da qualche dirigente della Suprema Corte di Cassazione o richiesto da qualche interessato. Ma all’ istanza di cancellazione dei dati non corrisponde automaticamente una concessione se non in particolari situazioni al momento assai rare.
Infatti sulla base del “Codice in materia di protezione dei dati personali” meglio noto come legge sulla Privacy, “l’interessato può chiedere per motivi legittimi…prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta… sull’originale della sentenza o del provvedimento un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento“.
A questo punto, per far luce sull’oscuramento, bisognerà aspettare i chiarimenti del ministro Orlando al Senatore Manconi.