Si tiene oggi in Tribunale a Milano dinanzi al gip Fabrizio D’Arcangelo, l’udienza sull’istanza firmata dal commissario straordinario dell’ ILVA, Piero Gnudi, per ottenere l’auspicato richiesto sblocco e trasferimento nelle casse del Gruppo ILVA del miliardo e 200milioni di euro sequestrati dalla procura milanese nel maggio del 2013 sui conti correnti riconducibili alla famiglia Riva. Secondo Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager, “è vitale poter disporre rapidamente degli ingenti fondi sequestrati alla famiglia Riva” dinnanzi alla “gravissima crisi finanziaria” per l’azienda, che “potrebbe decretarne a breve una fine irreversibile, con tutti i pesanti risvolti conseguenti in termini sociali ed economici“. Un pensiero che non si può non condividere.
Il sequestro dell’ingente somma in immobili, titoli e disponibilità finanziarie “bloccati nel paradiso fiscale di Jersey” avvenne con due operazioni di polizia giudiziaria, nel maggio e nell’agosto 2013 a seguito delle indagini dei pm Stefano Civardi e Mauro Clerici coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco, e della contestuale iscrizione nel registro degli indagati a Milano dei fratelli Emilio (deceduto successivamente alcuni mesi fa) e Adriano Riva, chiamati a rispondere per truffa e interposizione fittizia, mentre altri due indagati – due commercialisti – rispondono invece di riciclaggio.
Secondo quanto accertato nel corso delle indagini i Riva, mediante l’interposizione fittizia di alcuni trust costituiti in Italia e Svizzera, e di altre società, avrebbero nascosto la reale titolarità delle disponibilità finanziarie create con i soldi dell’ ILVA, facendo risultare all’estero beni che, invece, sono nella loro disponibilità in Italia. L’obiettivo, secondo l’accusa, era di rendere applicabili i vantaggi derivanti dallo scudo fiscale: secondo le prime informazioni almeno otto operazioni. Nel mirino della Fiamme Gialle anche alcuni professionisti che hanno curato appunto la pianificazione fiscale. Secondo gli investigatori della Guardia di Finanza i fratelli Riva avrebbero accumulato all’estero una somma pari a 1 milardo e 200 milioni di euro nel corso del decennio 1996-2006. creando un “danno delle varie società del Gruppo industriale di riferimento”
Per dieci anni i Riva avrebbero incassato contributi pubblici per il sostegno all’export senza averne diritto. La truffa ai danni dello Stato avrebbe fruttato oltre 100 milioni di euro e sarebbe stata architettata da Fabio Riva vicepresidente della Riva Fire, , e da altre quattro persone per le quali la procura di Milano ottenne l’arresto. A finire in carcere insieme ai fratelli Riva furono anche altri quattro indagati: si tratta di Agostino Alberti, consigliere delegato della società svizzera ILVA S.A. , Alfredo Lomonaco, e Barbara Lomonaco rispettivamente presidente e vicepresidente della finanziaria elvetica Eufintrade, e Adriana Lamsweerde presidente di ILVA S.A.
Il sistema ideato dai cinque sfruttava i contributi all’esportazione della Legge Ossola, fondi pubblici erogati dalla società pubblica Simest. Le agevolazioni servono a coprire le perdite che le società esportatrici sostengono per aver concesso dilazioni di pagamento all’acquirente estero. Il sostegno si applica solo per le esportazioni di beni d’investimento e fino all’85% del valore dei prodotti venduti. Come funzionava la truffa? Per ottenere le agevolazioni è stata costituita una società ad hoc, la svizzera ILVA S.A., che acquistava tubi per oleodotti e metanodotti dall’ILVA spa e li rivendeva, allo stesso prezzo, a società estere. A questo puntoILVA spa concedeva a ILVA S.A. una dilazione di pagamento di cinque anni, ottenuta la quale la consociata svizzera dell’ ILVA si faceva però pagare immediatamente dagli acquirenti esteri: in 90 giorni incassava sempre l’intero valore.
In questa fase della truffa entrava in gioco la Eufintrade. L’ ILVA spa portava alla finanziaria svizzera le cambiali internazionali (promissory notes) ricevute da ILVA S.A. come pagamento delle forniture di tubi e la Eufintrade le scontava: pagava cioé a ILVA il valore della vendita trattenendo una percentuale. In questo modo Eufintrade incassava sempre il 15% dei contributi erogati dalla Simest. Il sistema è andato avanti dal 2003 fino a oggi, tanto che ci sono ancora tranche di contributi in fase di erogazione da parte della Simest. Il profitto totale è stato di 121 milioni di dollari più 18 milioni di sterline: cioé oltre 100 milioni di euro.
A perderci non era solo lo Stato italiano, che erogava contributi non dovuti, ma soprattutto le altre imprese esportatrici, quelle che concedevano davvero le dilazioni ma che non hanno potuto incassare le agevolazioni perchè i fondi stanziati dallo Stato erano finiti. Questo in questione è il terzo filone della maxi inchiesta dei pm milanesi sulla famiglia Riva.
Fabio Riva venne coinvolto in qualità di consigliere delegato di ILVA S.A.e membro del consiglio di amministrazione di ILVA spa. Indagata in base alla legge 231 sulla responsabilità delle società è anche la Riva Fire.