Davide Vecchi giornalista de Il Fatto Quotidiano questa mattina si preoccupa molto e titola nel suo articolo “guai a criticare il governo. Si finisce in tribunale” sostenendo che “se sui social critichi l’operato del governo e sei pure sostenitore del Movimento 5 Stelle potresti finire sotto indagine. Sì, tu: cittadino qualunque. È successo negli ultimi giorni. E la cosa a me preoccupa molto. Perché illumina e bene quali siano le conseguenze del potere in mani incapaci di gestirlo nel rispetto dei limiti“. Ma perché rivolgere attenzione, anche giudiziaria, a quello che potrebbe essere un comune troll, o un militante anonimo?
Ieri il quotidiano La Stampa raccontava che Beatrice Di Maio “è una star del web pro M5S. Si muove nel territorio della propaganda pesante, che in tanti Paesi – per esempio la Russia di Putin, assai connessa al web italiano filo M5S – dilaga. Nella sua attività, Beatrice si è lasciata sfuggire alcuni tweet che delineano ipotesi di reati come calunnia e diffamazione; o vilipendio alla Presidenza della Repubblica“. Normale quindi che sia stata denunciata alla Procura di Firenze dal sottosegretario a Palazzo Chigi Luca Lotti, come provano alcuni documenti.
Ma chi è esattamente Beatrice Di Maio, e ha qualcosa a che fare con la Casaleggio o la comunicazione ufficiale M5S? Beatrice , continua La Stampa, “si muove dentro quella che è configurata come una struttura: a un’analisi matematica si presenta disegnata a tavolino secondo la teoria della reti, distribuita innanzitutto su Facebook (dove gravitano 22 milioni dei 29 milioni di italiani sui social), e – per le élite – su Twitter“. Il suo account twitter “pro M5S” è specializzato nella demonizzazione anti-Pd, senza disdegnare attacchi anche contro il Quirinale. L’ account Beatrice Di Maio ha 13.994 follower, è un top mediator, operando all’interno di un social network relativamente piccolo. Ma i suoi Tweet e post di account analoghi diventano virali venendo reindirizzati su Facebook attraverso un sistema di connessioni, nel caso di Beatrice dall’andamento artificiale dentro cui è inserita, alimentando un florido business pubblicitario, legato al flusso di traffico.
Quindi quello di Beatrice, contrariamente a quanto sostiene questa mattina Il Fatto Quotidiano, ormai diventato il giornale “fiancheggiatopre” di Beppe Grillo e grillini, non è un account casuale. Scrive infatti ascuse gravissime sulla presidenza della Repubblica: “Per alcuni il silenzio è d’oro… quello di Mattarella è d’oro nero!”. Inserendo la bandiera della Total, sotto una foto del Quirinale con il tricolore, con chiaro riferimento all’inchiesta lucana su Tempa Rossa.
Ma in realtà il presidente della Repubblica Mattarella non è stato minimamente lambito, neanche citato dall’inchiesta della magistratura di Potenza, Inutile quindi evidenziare che siamo in presenza di un accostamento diffamatori. L’ account “pro M5S” di Beatrice twitta “il Governo trema. Da Potenza agli aeroporti inchiesta da paura. Renzi: “Io non mi fermo”” e pubblica sotto, una foto di Charlot che scappa all’impazzata. Ma anche Matteo Renzi non è mai stato indagato in Basilicata nell’inchiesta su Temparossa. E quindi tutto ciò non rappresenta altro che una vera a propria campagna diffamatoria.
Ma la presunta Beatrice Di Maio, non si accontenta di diffamare il Capo dello Stato ed il premier alla guida del Governo. e quindi posta una foto del ministro Maria Elena Boschi su un tweet “Boschi, lezione alla Oxford University. “The amendment is on the table”. Hashtag: #Total #LaCricca #quartierino». Avvicinando quindi anche in questo caso diffamatoriamente il nome del ministro Boschi a quello della Total e a quartierino si suggerisce che la Boschi sia al centro di un giro di tangenti legate a Total e allo scandalo petrolio in Basilicata : ma anche questo in realtà è un falso. Ma per Davide Vecchi, il giornalista de il Fatto Quotidiano invece si viola “la libertà d’espressione, l’articolo 21 della Costituzione” sostenendo che la giusta denuncia presentata legittimamente da Luca Lotti – sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nonché braccio destro di Matteo Renzi sia ingiusta, inq aunto a sua opinione (legittima ma contestabile) “quei profili social non hanno minacciato o aggredito direttamente Lotti né altri esponenti dell’esecutivo“.
Secondo il quotidiano diretto dal “grillino” Travaglio, “quei profili social non hanno minacciato o aggredito direttamente Lotti né altri esponenti dell’esecutivo. Forse qualche insulto, qualche fotomontaggio per canzonare il politico di turno“. giustificando gravi affermazioni come: “#intercettazioni, Guidi: “Ho le foto di Delrio coi mafiosi”“, e sotto, nel tweet, la foto di Delrio con Renzi, Boschi, Lotti. Se le stesse cose così artefatte le scrivessimo noi o le dicessero giornali o tg, statene pur certi che finiremmo tutti in Tribunale e pagheremmoo ingenti risarcimenti per diffamazione. I tweet hanno suggerito questi false notizie, e la struttura in cui Beatrice Di Maio è interconnessa li ha diffusi, dimostrando “ciò che siamo capaci di rendere virale prima o poi diventa vero agli occhi di chi vogliamo convincere“. Twitter, nonostante le numerose segnalazioni, al momento non ha ancora ritenuto di chiudere l’account.
Ma perché rivolgere attenzione, anche giudiziaria, a quello che in realtà potrebbe rivelarsi soltanto un comune “troll”, o un militante anonimo del M5S ? La risposta che il Fatto Quotidiano non si da ( o non si vuole dare ?) è che Beatrice Di Maio agisce e diffonde diffamazioni dentro quella che è configurata come una struttura: a un’analisi matematica si presenta disegnata a tavolino secondo la teoria della reti, distribuita innanzitutto su Facebook (dove gravitano 22 milioni dei 29 milioni di italiani sui social), e – per le élite – su Twitter. Il suo “modus operandi” ha una gestione di fatto “ingegnerizzata”. Il giornalista “pro M5S” Davide Vecchi de Il Fatto Quotidiano, si lamenta che questa mattina il Pd, per iniziativa di Emanuele Fiano, ha preso l’articolo de La Stampa e ne ha fatto un’interrogazione al governo . Cioè ha fatto quello che legittimamente poteva fare. O forse doveva chiedere il permesso al Fatto Quotidiano ?
Su Facebook, spiegava ieri La Stampa, la rete “è costituita da un numero limitato di account di generali (da Di Maio e Di Battista a Carlo Martelli, figura virale importante, in giù) e – tutto attorno – da una serie di account di mediatori top e, aspetto decisivo, da pagine e gruppi di discussione che fanno da camera di risonanza”. A cascata in basso sono attivi semplici attivisti del M5S o “fake” di complemento: gli operai del web . Provate ad immaginare una mappa geografica: gli snodi (hub) sono le città e i villaggi, fortemente clusterizzati (aggregati a grappoli); i mediatori e soprattutto i connettori sono le strade. Naturalmente, una rete così recluta ed aggrega anche tanti attivisti reali, i quali però non possono vedere ed ignorano l’architettura informatica in cui operano, assorbiti dalla pura gravità dei nodi centrali: tale struttura di fatto si “mimetizza” ad arte con l’attività spontanea come un albero finto in una foresta. Le notizie false , calunnie e diffamazioni, generate ovunque, si “viralizzano”, trasferendosi dal centro alla periferia, quindi “anonimizzati”, e furbescamente meno a rischio di denuncia.
Numerosi altri account chiave sono sempre matematicamente vicinissimi, sempre ricorrenti, prevalentemente “anonimizzati”, e contemporaneamente interconnessi profondamente tra di loro, svolgendo ed adempiendo a dei ruoli ben precisi: c’è chi è anti-immigrati, chi anti-Renzi, chi pro-Putin, chi pro-Trump, chi dedito alla bastonatura. La condivisione esatta dell’andamento dei metadati, e la evidente suddivisione palese dei ruoli, algoritmicamente, non si configurano come casuali.
Esiste una “centrale informatica” che gestisce materialmente questi account? La Procura di Firenze e gli specialisti informatici delle Forze dell’ ordine si trovano ora a indagare anche su questo. Un caso analogo, anche se molto più piccolo e meno importante è oggetto d’indagine da mesi del Servizio Centrale della Polizia Postale delle Comunicazioni a seguito delle numerose querele presentate dal nostro Direttore nei confronti di alcuni “giornalisti-pennivendoli” tarantini, che sotto mentite spoglie (ma già identificati) quotidianamente ci diffamano. Poverini non hanno neanche il coraggio di firmarsi. E guarda caso anche questi diffamatori di provincia sono tutti anti-Renzi, dopo averlo osannato in passato addirittura insieme alle proprie mogli… E’ la stampa (e la politica) “monnezza” !