Ancora una volta sul quotidiano diretto da Marco Travaglio arrivano notizie inesatte da Taranto, firmate da Francesco Casula, collaboratore del Fatto Quotidiano “, ambientalista” notoriamente anti-ILVA, che due giorni fa scriveva “i soldi rientreranno in Italia – probabilmente tra gennaio e febbraio – per attuare la parte portante dell’ambientalizzazione dell’Ilva. Ma li riceverà direttamente il governo, che ha inserito un emendamento nella legge di Bilancio specificando che i soldi confiscati serviranno per le bonifiche, o quel miliardo finirà all’azienda, che a breve potrebbe passare di mano, e quindi tutto sarà demandato agli acquirenti?” mettendo in dubbio l’utilizzo dei soldi che arriveranno dalla Svizzera all’ ILVA in amministrazione straordinaria per le opere di ambientalizzazione dello stabilimento tarantino ed ipotizzando un arrivo dei fondi “probabilmente tra gennaio e febbraio“.
Per fortuna esistono dei giornalisti seri, documentati e qualificati come Angelo Mincuzzi, che lo stesso giorno (30 novembre) spiegava tutta la vicenda sul quotidiano economico milanese. “Il “tesoro dei Riva” non è ancora in viaggio verso Taranto ma ormai è solo questione di giorni. L’accordo per il rientro dei fondi, stimati tra 1,3 e 1,4 miliardi di euro, viene confermato da ambienti vicini al gruppo Riva anche se fonti giudiziarie milanesi affermano che per la firma formale dell’intesa mancano ancora alcuni tasselli e parlano di una cifra di poco inferiore a 1,2 miliardi di euro, per la precisione 1,173 miliardi“.
“Il rimpatrio dei soldi fanno notare fonti giudiziarie – come scrive Mincuzzi sul Sole24Ore – richiede l’intervento di molti attori. Occorrerà il via libera formale delle autorità giudiziarie svizzere, un pronunciamento dell’Alta Corte di Jersey, visto che i fondi sono formalmente nella disponibilità della Ubs Trustee di Saint Helier, che amministra i quattro trust proprietari dei beni. C’è poi un ruolo laterale della procura di Milano, che ha chiesto il fallimento della ex capogruppo Riva Fire e di altre società della galassia siderurgica, e del Tribunale fallimentare di Milano, che dovrà pronunciarsi su questa richiesta. A Taranto, poi, c’è un processo in corso per disastro ambientale presso la Corte d’Assise. È chiaro che lo sblocco del “tesoretto” influenzerà i fronti giudiziari, che potrebbero concludersi con un patteggiamento“.
Il disinformato Fatto quotidiano scrive: “Lo scenario: c’entrano anche i processi – Ma per comprendere a fondo l’accordo tra Riva, le società di Ilva e il governo bisogna allargare lo sguardo, arrivando alla vendita della fabbrica e soprattutto alla linea difensiva della famiglia Riva coinvolta in un procedimento a Milano per reati fiscali e nel processo Ambiente Svenduto, che di recente ha visto i pm tarantini appesantire la posizione del gruppo sotto la gestione degli ex re dell’acciaio. Il miliardo abbondante che dovrebbe permettere di chiudere la partita dell’ambientalizzazione è il tesoro nascosto in Svizzera dalla famiglia, brandito finora come uno scudo. Per quei soldi la procura di Milano aveva chiesto il sequestro, ma il Tribunale di Bellinzona ha detto ‘no’ e il patrimonio sarebbe stato difficilmente aggredibile se non con un accordo tra le parti. A quello ha voluto puntare il governo, che ci aveva già provato con due decreti legge. Ora si è seduto al tavolo con i Riva per fare cassa e provare ad accelerare la partita ambientale: risanare la fabbrica attuando l’Autorizzazione integrata ambientale che manca ancora della parte portante (e più costosa). Come e in quanto tempo, è tutto da capire. Per il momento, al di là dell’annuncio a pochi giorni dal voto, l’accordo permette di dare garanzie ai futuri acquirenti, che si ritroverebbero i fondi per ammodernare l’impianto. Si capirà nei prossimi mesi se il siderurgico più grande d’Europa finirà nelle mani del gruppo Marcegaglia-ArcelorMittal oppure alla cordata Acciaitalia, di cui fanno parte da oggi anche gli indiani di Jindal, uno dei principali gruppi nel mondo dell’acciaio”.
In realtà non è andata come scrive il solito disinformato Casula. La Procura di Milano, con in prima fila l’attuale procuratore capo Francesco Greco, all’epoca dei fatti a capo del pool milanese che si occupa dei reati economico-finanziati ha ottenuto il sequestro dei fondi della famiglia Riva depositati presso la banca svizzera UBS, ed anche il trasferimento dei fondi all’ ILVA in amministrazione straordinaria. Ad opporsi ed ottenere il blocco del trasferimento dei fondi è stato il legale della figlie di Emilio Riva (deceduto nel 2014) che si sono opposte dinnanzi al Tribunale di Bellinzona, ottenendo il blocco dei fondi (senza utilizzo in quanto sotto sequestro) in quanto le cause fiscali-tributarie ed i processi penali in Italia erano ancora in corso.
Partiamo dalla scoperta dei fondi in Svizzera. “È il 23 maggio 2013 quando trapela la notizia che Emilio e Adriano Riva sono indagati dalla Procura di Milano – racconta il SOLE24ORE – con l’ipotesi di reato di truffa ai danni dello stato e di trasferimento fraudolento di valori. Ad accusare i patron del gruppo siderurgico sono i sostituti procuratori Stefano Civardi e Mauro Clerici, che chiedono al gip Fabrizio D’Arcangelo il sequestro di 1,173 miliardi scoperti all’estero.
Nell’ordinanza di sequestro il gip D’Arcangelo usa parole durissime: i fondi – scrive Mincuzzi – “costituiscono il provento dei delitti di appropriazione indebita continuata e aggravata” da parte degli indagati «ai danni della Fire Finanziara Spa (oggi Riva Fire, ndr), di truffa aggravata, di infedeltà patrimoniale e di false comunicazioni sociali, oltre che di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di trasferimento fraudolento di valori“.
Oltre ad Emilio e Adriano Riva sono indagati anche due consulenti degli imprenditori: Franco Pozzi ed Emilio Gnech, entrambi partner dello studio Biscozzi Nobili di Milano, ed entrambi accusati di riciclaggio. Quindi il ruolo nel sequestro dei fondi svizzeri rintracciati dalla Guarda di Finanza di Milano ed il merito di averli bloccati, è esclusivamente della Procura di Milano .
Lo conferma il collega Mincuzzi sul SOLE24ORE che spiega che “Il rimpatrio dei soldi – fanno notare fonti giudiziarie – richiede l’intervento di molti attori. Occorrerà il via libera formale delle autorità giudiziarie svizzere, un pronunciamento dell’Alta Corte di Jersey, visto che i fondi sono formalmente nella disponibilità della Ubs Trustee di Saint Helier, che amministra i quattro trust proprietari dei beni. C’è poi un ruolo laterale della Procura di Milano, che ha chiesto il fallimento della ex capogruppo Riva Fire e di altre società della galassia siderurgica, e del Tribunale fallimentare di Milano, che dovrà pronunciarsi su questa richiesta. A Taranto, poi, c’è un processo in corso per disastro ambientale presso la Corte d’Assise. È chiaro che lo sblocco del “tesoretto” influenzerà i fronti giudiziari, che potrebbero concludersi con un patteggiamento“.
Ma le inesattezze del Fatto Quotidiano scritte da Casula, non hanno limiti, scrivendo : “La vendita e la strategia dei Riva – Intanto il braccio di ferro tra lo Stato e i Riva potrebbe concludersi con un sostanziale pareggio. Perché se da un lato il miliardo potrebbe permettere in futuro di ridurre l’inquinamento derivante dai processi produttivi della fabbrica, presentando alle cordate interessate alla vendita un’azienda con in pancia i soldi per risanare, dall’altro potrebbero guadagnarci anche gli ex proprietari. Dal punto di vista giudiziario. Certamente a Milano. E poi a Taranto, dove Nicola e Fabio Riva devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale. Su di loro grava anche la costituzione di circa mille parti civili tra privati, associazioni ed enti pubblici. Secondo la Reuters, in cambio del miliardo, Ilva, che in questo momento è dello Stato, “rinuncerà ad almeno due cause contro i Riva a Milano, del valore di oltre 2.5 miliardi”. Secondo la ricostruzione fatta dall’Agi – poi – nelle scorse settimane i vertici delle procure tarantina e milanese si sono incontrati nel capoluogo pugliese: “Pare che a fronte della richiesta dei legali di Riva di accedere al patteggiamento nel processo di Taranto – scrive l’agenzia – i magistrati abbiano parlato anche del rientro in Italia del miliardo e 200 milioni”. Uno scenario confermato anche da fonti vicine al gruppo Riva, secondo cui l’accordo “ha come oggetto le vicende giudiziarie di Taranto”. E’ bene sottolineare che recentemente i pm hanno alleggerito la posizione dell’ ILVA commissariata, riformulando allo stesso tempo alcuni capi d’imputazione per la gestione Riva. Se tutto dovesse filare liscio, il miliardo sarebbe una sorta di compensazione che permetterebbe di evitare il peggior scenario possibile: condanna pesante e risarcimenti miliardari allo Stato”.
Tutto copiato dalle agenzie, senza alcuna verifica e fonte diretta. “Qui nessuno del Fatto Quotidiano ci ha mai contattato“- confermano dall’ufficio stampa centrale di Milano dell’ ILVA .Alla nostra domanda specifica: “Anche Casula ? “ eloquente la risposta : “Casula chi ….?“
Anche in questo caso non è come scrive il collaboratore del Fatto Quotidiano da Taranto. E lo spiega con dovizia di particolari ed esattezza sempre il collega Mincuzzi sul SOLE24ORE il quale scrive precisando che “Il Tribunale penale federale di Bellinzona decide che quel “tesoretto” dovrà restare in Svizzera. I giudici elvetici, infatti, accolgono il ricorso presentato dalle figlie di Emilio e Adriano Riva con una sentenza di 8o pagine nella quale evidenziano «vizi particolarmente gravi» nella procedura seguita dalla procura del Cantone di Zurigo che, per conto dei magistrati italiani, chiedeva lo sblocco dei fondi. I giudici, dunque, ribaltano la decisione che aveva autorizzato Ubs a trasferire i soldi in Italia nella disponibilità del Fondo unico della giustizia.
Il Tribunale di Bellinzona spiega la sua decisione affermando che la vera motivazione dei magistrati italiani non è di natura penale ma finalizzata a raggiungere altri scopi, cioé la bonifica ambientale dell’Ilva di Taranto, mentre gli accordi di collaborazione giudiziaria con l’Italia non prevedono questa possibilità. Non solo. I giudici aggiungono che i fondi sequestrati sono solo «presumibilmente» e non «manifestamente» di origine criminale”.
Gli indagati, insomma, potrebbero essere assolti alla fine del procedimento giudiziario “ma non esiste una dichiarazione di garanzia delle autorità italiane secondo la quale le persone perseguite, se dichiarate innocenti, non subirebbero nessun danno». I conti bancari sequestrati – scrivono i giudici – «rimangono bloccati sino a quando non vi è una decisione di confisca definitiva ed esecutiva in Italia”.
Il colpo è pesante. I soldi non tornano in Italia. Ma nel frattempo inizia una trattativa sotterranea, durata mesi, che porta finalmente all’accordo raggiunto . Ed apre la strada al risanamento ambientale dell’ ILVA.
Non è quindi come sostiene il Fatto (o Falso ?) Quotidiano che da Taranto sostiene e scrive che “anche da fonti vicine al gruppo Riva, secondo cui l’accordo “ha come oggetto le vicende giudiziarie di Taranto”. Da nostre verifiche effettuate nessuna “fonte” della famiglia o del Gruppo Riva ha mai parlato con giornalisti del Fatto Quotidiano. Quello che al Fatto Quotidiano ignorano o fanno finta di non sapere è che nel gennaio del 2016 Carrubba, Gnudi e Laghi i tre commissari straordinari dell’ILVA, attraverso i legali hanno presentato dinnanzi al Tribunale di Milano un atto di citazione contro la famiglia Riva, contestando una serie di “manovre” che la stessa famiglia avrebbe compiuto nel secondo semestre 2012 con “un disegno articolato in più fasi, ideato e attuato con lucida determinazione” allo scopo effettivo di prosciugare la liquidità dell’ILVA, trasferendo ingenti somme intorno al miliardo di euro, sottraendo quindi alla la società la necessaria liquidità per effettuare gli ingenti investimenti necessari per il risanamento ambientale dello stabilimento siderurgico di Taranto.
Quello che il Fatto Quotidiano non capisce è che di fatto la famiglia Riva non ha alcun interesse a mantenere la proprietà dell’ ILVA. Quindi rinunciare ai soldi rintracciati in Svizzera dalla Guardia di Finanza e posti sotto sequestro ai fratelli Riva per reati di natura fiscale-finanziaria, non danneggerebbe minimamente il bilancio societario del Gruppo Riva. E per capirlo sarebbe bastato essere in grado di leggere e capire la relazione accompagnatoria al bilancio al 31.12.2015 firmato da Claudio Riva per scoprire che il Gruppo Riva continua a produrre e macinare utili nei propri insediamenti produttivi in Italia, Francia, Germania, Spagna e Canada, senza avere più bisogno dell’ ILVA di Taranto, conseguendo un fatturato di 3miliardi e 88 milioni di euro, con una piccola contrazione del 4% a seguito della cessione del ramo d’azienda d stabilimento di Verona, producendo 7milioni e mezzo di tonnellate d’acciaio.
Invece l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione legale fra i Riva ed il Ministero dello Sviluppo Economico , consentirebbe alla famiglia Riva di patteggiare con lo Stato ed uscire dal processo di Taranto, motivo per cui tutte le parti civili costituitesi dovranno intraprendere separate azioni civili risarcitorie. Quindi come tutti gli accordi, l’affare lo fanno in due: lo Stato Italiano che recupera soldi evasi al fisco dai fratelli Riva e li destina al risanamento ambientale dello stabilimento ILVA di Taranto. Motivo per cui la negoziazione con il nuovo acquirente pone lo Stato su una posizione di forza contrattuale che oggi non aveva. Ed i Riva di liberarsi di un impianto che negli ultimi 20anni non avevano mai ristrutturato ed adeguato ambientalmente ( mentre tutti le Autorità competenti, compresa la Procura della Repubblica di Taranto dormivano…) . Sino a quando qualche “equilibrio”… si è interrotto. I tarantini ringraziano.
Martedì 6 dicembre in Corte d’assise a Taranto la famiglia Riva (con le sue società) potranno vedere accettato un patteggiamento con lo Stato Italiano , sostenuto con vigore dal nuovo procuratore capo Carlo Maria Capristo, inviato a Taranto proprio per riportar serenità in una Procura troppo a caccia di protagonismo mediatico, il quale vuole chiudere al più presto un accordo che garantirà 242 milioni di euro, più altri 2 milioni di sanzione pecuniaria, mentre sarebbe in corso un’altra trattativa con la procura jonica che punta al patteggiamento di Riva Fire e Riva Forni elettrici. Denaro che potrà essere speso per il risanamento ambientale dello stabilimento ILVA di Taranto attualmente in amministrazione straordinaria,