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22 Novembre 2024 03:22

Una bufera di neve ha paralizzato gli aeroporti di Puglia

Ecco cosa succedeva all'interno dell'aeroporto di Bari Palese mentre all'esterno si abbatteva una bufera di neve che ha costretto Aeroporti di Puglia, la società che gestisce la struttura, a chiudere per qualche ora lo scalo: ritardi pesantissimi voli cancellati, e le inevitabili proteste dei passeggeri in attesa. Il racconto di viaggio Roma-Bari dell' avv . Michele Laforgia

Aeroporti chiusi al traffico e a Brindisi e Bari e voli cancellati a causa delle forti nevicate e raffiche di vento, ghiaccio sulle piste imbiancate dalla neve, e del cattivo tempo che imperversa sulla Puglia e le forti.

La società Aeroporti di Puglia, sta monitorando continuamente  la situazione  per consentire  una rapida ripresa dei traffici aerei. Gli aeroporti riapriranno non appena il bollettino meteo lo consentirà.

Ieri, due aerei partiti rispettivamente da Malpensa e da Praga e diretti a Bari sono stati fatti atterrare in mattinata all’aeroporto di Napoli-Capodichino a cause delle avverse condizioni meteo nel capoluogo pugliese. I viaggiatori hanno proseguito il viaggio a bordo di autobus. Nella mattinata anche mattinata il volo Napoli-Istanbul , sempre a causa  delle pessime condizioni del tempo, è stato cancellato .

La società Aeroporti di Puglia ha comunicato che  l’Aeroporto di Bari dalle ore 19.00 di ieri sera è stato riaperto mentre invece l’Aeroporto del Salento di Brindisi che era stato riaperto in tarda mattinata, a causa del peggioramento delle condizioni meteo, è stato chiuso di nuovo .  Aeroporti di Puglia svelando in tal modo di un avere un efficace servizio di informazioni al pubblico invita i passeggeri in partenza a raggiungere in anticipo gli aeroporti di Bari e Brindisi, anche al fine di evitare ritardi determinati da possibili difficoltà di circolazione e invita i passeggeri a contattare il servizio clienti della compagnia aerea o la propria agenzia di viaggi per avere informazioni sullo stato del volo e su eventuali variazioni rispetto alla normale prevista programmazione dello stesso,


Il noto avvocato barese Michele Laforgia
ha raccontato sulla sua pagina Facebook  la sua allucinante esperienza di viaggio. Incredibilmente tutto quello che leggete è accaduto realmente !

“Sono pienamente consapevole che parlare di Alitalia è un luogo comune, come pubblicare su Facebook fotografie con outfit lappone al primo apparire dei fiocchi di neve. Ma dalla ex compagnia di bandiera, come si chiamava un tempo, c’è sempre da imparare, in attesa dell’ennesimo salvataggio di Stato.

Che il 6 gennaio in Puglia avrebbe fatto freddo si sa da giorni, se non da settimane. Tuttavia è inutile chiedere notizie prima di arrivare a Fiumicino, magari per trovare un altro mezzo o regolarsi in qualche modo. Anche se si riesce a penetrare le formidabili difese informatiche del sito Alitalia o, addirittura, a parlare con il call center, irraggiungibile come il cellulare di Justin Bieber, non c’è verso di avere una previsione: con il brutto tempo il traffico aereo funziona come una gigantesca slot machine, in attesa del jackpot. Si deve andare in aeroporto e mettersi in coda, in fiduciosa attesa dell’imponderabile, altrimenti si perdono soldi e biglietto. Dispiace però che contemporaneamente lo stesso biglietto sia in vendita sul sito alla modica cifra di 426 euro per la sola andata Roma-Bari: in termini penalistici, una tentata truffa.

Il ritardo annunciato è solo di mezz’ora, ma il parco buoi viene effettivamente imbarcato dopo oltre due ore di coda, a causa – come sempre – del “ritardato arrivo dell’aeromobile”. Il ritardato arrivo dell’aeromobile per spiegare il ritardo della partenza dell’aeromobile medesimo è una purissima tautologia, come l’arresto cardiaco quale causa di morte, ma tant’è. Il volo, nel 2017, è ancora un imponderabile sortilegio, conseguenza della combinazione di forze ignote, naturalmente incontrollabili dall’uomo. Gli aerei di linea sono un po’ come i calabroni: non potrebbero volare, ma ostinatamente volano, sostenuti dall’ignoranza. Che almeno per i calabroni si tratti di una credenza del tutto priva di basi scientifiche non conta, in attesa di una apposita giuria popolare che decida sui decolli – e gli atterraggi – impossibili.

Dopo di che, finalmente, si parte. Tempo mezz’ora e il pilota annuncia che puntiamo su Bari, ma a causa delle cattive condizioni meteorologiche – chi lo avrebbe mai detto? – non è escluso che si debba deviare su un “alternato” (alternato, dice proprio così, anche se in inglese suona decisamente meglio). Informazione preziosissima, a quel punto, perchè i passeggeri potrebbero sempre decidere di scendere, saltare su uno stormo di gabbiani per cambiare direzione o planare verso casa. Arrivati su Bari, comunque, il pilota annuncia puntualmente che per la torre di controllo c’è troppo vento – non neve, vento, che pure spira incessante da dodici ore, non da qualche minuto – e, pertanto, che dobbiamo atterrare altrove: non a Brindisi perché ci sono gli spifferi pure lì, bensì a Napoli, protetta dal Vesuvio. L’aeroporto di Palese svanisce così malinconicamente all’orizzonte, ma dopo altri venti minuti di trasvolata con vista panoramica sul Golfo il pilota riprende quota e informa i passeggeri-buoi che la compagnia ci fa rientrare a Roma, per ragioni di assistenza. Pare si siano accorti che nevica anche sugli Appennini e quindi che non possono garantire la transumanza in autobus, ovvero, più verosimilmente, che non sanno cosa fare dell’aeromobile, dell’equipaggio e del bestiame nel capoluogo campano.

Tre ore dopo la partenza prevista, dunque, si torna a Roma.

A questo punto, dopo aver recuperato il bagaglio, la mandria viene dirottata in pullman sull’Holiday Inn, alla periferia dell’Eur: intorno, il nulla. Altri 45 minuti di coda per assegnare le stanze, cena alle 20, partenza successiva chissà quando. Non c’è nessuno a cui chiedere informazioni. Alle 20.15 un gentile inserviente dell’albergo smista i profughi dell’Alitalia in una sala a parte, dove sono elegantemente allestiti con tovagliette di carta alcuni tavoli da dodici posti ciascuno; i commensali sono invitati a sedersi dove capita, ma non sui tavoli liberi, per non rovinare l’atmosfera da gita parrocchiale e agevolare la socializzazione, essenziale nella gestione delle emergenze umanitarie. Quindi il cibo, a self service: un pentolone di pasta al sugo, uno di hamburger con patate e una torta alla crema divisa in fettine. Acqua corrente a volontà. A parte, birra al modico prezzo di 9 euro per 66 cl alla spina o 6.50 per le bottiglie da 33, nello stile di Piazza San Marco, a Venezia. Quindi tutti a letto, come al campeggio, con sveglia all’alba in attesa del programma del giorno dopo.

All’1.45 del mattino squilla il telefono. Informazione dall’aeroporto, dicono: navette alle 6.30 e alle 7.00, partenza prevista alle 9.50. Cosa sia successo nel cuore della notte, non è dato sapere, perché nessuno sa ancora se il volo partirà effettivamente e a che ora: nel frattempo si va, in attesa, o meglio nella speranza, che qualcosa finalmente succeda. Se non che, dopo il check-in, dalle 9.50 si passa alle 10.50, quindi alle 11.30, sino a che, alle 11.10 improvvisamente il volo per Bari svanisce dalle partenze, come un miraggio. È cancellato: tutti coloro che sono provvisti di un telefono cellulare, cioè chiunque, sa che a Bari e a Brindisi nevica e gli aeroporti sono chiusi, evidentemente lo ha scoperto anche la task force della compagnia aerea, dopo la nottata insonne a progettare nuove rotte. Problema risolto, dunque: Alitalia libera tutti perché non riprotegge più nessuno, non avendo altri voli liberi. Per il rimborso del biglietto sono previste procedure esoteriche, tante quanti sono i metodi di acquisto, mentre per trovare posto in altri orari c’è la roulette russa, magari per altre destinazioni. Qualcuno inizia a pensare a un altro viaggio, visto che il rientro è così arduo; i più, sperano nella farfalla in Brasile: magari se batte le ali adesso porta via il freddo e i cugini calabroni, in Italia, possono tornare a volare. Almeno la teoria del Caos non è una bufala, avendo ad oggetto proprio la meteorologia.

Ma prima c’è da ritirare il bagaglio, imbarcato all’alba a mò di buon auspicio, se non di preghiera. Occorre dunque recarsi nella terra di nessuno della biglietteria Alitalia, da qualche tempo il solo consolato dell’Arabia Saudita in cui le odalische, in tailleur verdone scuro con cappellino in tinta, si esprimono in romanesco. Per il bagaglio bisogna recarsi al nastro 16, dicono, ma chissà quando: le valigie risultano ancora sull’aereo. Faccio presente alla gentile bajadera che Alitalia non può sequestrare i miei bagagli e lei risponde candidamente che infatti devo aspettare e ritirarli, perché Alitalia non li consegna: non rendendosi conto, evidentemente, di aggiungere al sequestro delle cose anche quello delle persone, trattenute da 24 ore in attesa che spiova, sapendo che non spioverà.
Prendersela con il personale, anch’esso ostaggio della improvvisazione generale, è tuttavia semplicemente inutile. Romanesco per romanesco, diceva bene Petrolini quando qualcuno dal loggione lo importunava, durante lo spettacolo: “io nun ce l’ho con te, ce l’ho con quello accanto a te che non te butta de sotto”.

C’è infatti qualcosa di profondamente ingiusto, se non di perverso, in tutto questo. Prendere un aereo nel 2017 non può essere un azzardo, affidato alla buona sorte. Il maltempo, almeno quando è ampiamente previsto, è un problema che deve risolvere chi organizza il servizio, non chi paga il biglietto. E, soprattutto, spendere qualche euro in più per i propri sfortunati clienti non sarà la causa del fallimento di Alitalia. Semmai, il contrario”.

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Grazie, Antonello de Gennaro

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