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22 Novembre 2024 06:22

L’alternativa impossibile a Taranto

Ancora una volta, il trend nazionale rivela una specifica debolezza locale. Quello del centrodestra ufficiale: ancora tramortito dal crack finanziario dei tempi della giunta Di Bello. Quello della sinistra, che ha amministrato la città negli ultimi anni, venendo risucchiato nel gorgo della crisi dell’Ilva.

di Alessandro Leogrande

Al primo turno delle amministrative, dal «laboratorio Taranto» emerge una conferma del trend nazionale. Il Movimento Cinque Stelle, la cui partecipazione al ballottaggio era data quasi per certa, esce fortemente ridimensionato. Si dirà che tra elezioni amministrative e politiche c’è sempre uno iato. Tuttavia è evidente la flessione del movimento in città, rispetto alle precedenti tornate elettorali. Evidente la sua flessione, evidente la debolezza della retorica grillina sul caso Taranto (e non solo sul caso Ilva). Altrettanto evidente è la debolezza di quelle forze che hanno sostenuto la candidatura di Nevoli, appoggiando i Cinque Stelle.

Così come appare lampante l’insuccesso di Cito. Superare il 10% con la sola storica lista At6, e per di più candidando il figlio «al proprio posto», davanti a una tale frammentazione, è la prova di un radicamento reale in un settore stabile dell’elettorato. Tuttavia tale radicamento non si traduce più – e da tempo – in ampliamento elettorale.

Così, le due varianti demagogiche in salsa jonica, il protogrillismo e il grillismo, o – se preferite – il citismo originario e il citismo 2.0, non riescono ad andare al di là di una confusa opposizione. Alimentano la frammentazione politica, ma non costituiscono alcuna alternativa, almeno in questo frangente della storia della città.

Viceversa al ballottaggio ci andranno il centrodestra e il centrosinistra, ma il modo in cui ci arrivano deve far riflettere. L’area di centrodestra, coalizzata intorno alla figura di Stefania Baldassari, riesce ad arrivare prima. Ma le otto liste che sostengono il candidato sono liste civiche.

 Non c’è nella coalizione un solo simbolo di partito; i «politici» sono trasmigrati in cartelli anonimi.
Lo stesso avviene, in gran parte, per l’area del centrosinistra che ha sostenuto Rinaldo Melucci. A parte Pd e Psi, la coalizione è fatta di liste civiche. Così viene da pensare che il successo delle aree politiche tradizionali incorpori già al proprio interno la crisi di rappresentanza dei partiti, e debba ricorrere ad altro pur di arrivare al ballottaggio. Si dirà: è un fenomeno non nuovo nelle elezioni amministrative, specie a Taranto. Ma, ancora una volta, il trend nazionale rivela una specifica debolezza locale. Quello del centrodestra ufficiale: ancora tramortito dal crack finanziario dei tempi della giunta Di Bello. Quello della sinistra, che ha amministrato la città negli ultimi anni, venendo risucchiato nel gorgo della crisi dell’Ilva.
Il ballottaggio offrirà una ricomposizione (forse solo apparente) di questo quadro oltremodo frammentato, in cui solo un candidato ha superato, e di poco, il 20% dei consensi.

*editoriale tratto dal Corriere del Mezzogiorno

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