ROMA – Il comitato di Presidenza del Csm, riunitosi oggi, fra le varie pratiche in esame ha affrontato anche quella avanzata dal consigliere laico Pierantonio Zanettin, relativa alla richiesta di apertura di una pratica in 1a Commissione, a carico del Gip del Tribunale di Reggio Emilia Giovanni Ghini . Dopo aver acquisito ed esaminato il provvedimento giudiziario emesso dal Gip, richiesto la settimana scorsa al Presidente del Tribunale di Reggio Emilia, è stato deciso di trasmette il provvedimento per le valutazioni di competenza alla 1a Commissione ed al Procuratore Generale della Cassazione.
Sarà infatti la Prima Commissione del Csm a dover valutare il provvedimento con cui il Gip di Reggio Giovanni Ghini ha disposto la scarcerazione del 21enne richiedente asilo pachistano indagato per violenza sessuale su un tredicenne disabile, per decidere se ricorrono le condizioni per aprire o meno la pratica e per accertare un eventuale incompatibilità ambientale e/o funzionale, così come gli atti sono stati trasmessi al titolare dell’azione disciplinare, e cioè al Procuratore Generale della Cassazione.
La vicenda trae origine dal procedimento penale a carico di Aktar Nabeel il pedofilo pakistano di ventun anni, incensurato, con status di rifugiato, che ha violentato un tredicenne disabile nelle campagne della Bassa reggiana ed adesso si trova a piede libero dopo la decisione del giudice Giovanni Ghini che ha scatenato lo sdegno di cittadini e istituzioni.
Una pietosa storia quella del pakistano, inventata ad arte per rimanere in Italia dov’è approdato un anno fa con un barcone come rifugiato. Ma approfondendo il suo passato ed i contorni dell’abuso da lui ammesso, stanno sorgendo pesanti dubbi. La storia che ha raccontato per ottenere l’asilo potrebbe essere falsa.
E’ forte il sospetto degli investigatori che Aktar Nabeel possa aver commesso, da quando è nel nostro Paese, altri abusi sessuali su bambini. Un profilo ancora tutto da scoprire ,e le cui eventuali scoperte potrebbero rivelarsi terribili . Arrivato in Sicilia, il ventunenne aveva chiesto l’asilo politico, ma la commissione territoriale aveva bocciato la sua domanda. L’immigrato pakistano non si è arreso ed ha fatto ricorso: ma questa volta il tribunale di Caltanissetta, con sentenza del 3 luglio di quest’anno, gli ha riconosciuto una tutela più soft dell’asilo politico, cioè la protezione sussidiaria. Ed è grazie a questa misura che può restare in Italia.
L’Avvocatura dello Stato di Caltanissetta sta vagliando la posizione: “C’erano anomalie – ha spiega l’ avvocato Giuseppe Laspina –. Per farsi concedere il permesso ha raccontato che suo padre aveva un debito e che lui, per estinguerlo, lavorava per il creditore fino a ridursi in schiavitù, così è partito per l’Italia. Ma non è credibile: in Pakistan aveva libertà di movimento. E poi, quando se n’è andato, la sua famiglia non ha avuto ritorsioni dal creditore”. Ma attenzione. non è tutto qui. Infatti, Nabeel viene dal Punjab, una regione dove non si registrano conflitti.
L’avvocato Laspina ha quindi impugnato la sentenza lo scorso il 10 luglio giorno in cui per una tragica coincidenza del destino, a distanza di chilometri il pakistano, ha stuprato il piccolo. “Analizziamo tutte le concessioni di status . L’80% riguarda pakistani che, come lui, adducono motivi poco credibili. Il processo per terrorismo, nella nostra città, nel 2016, a carico di un pakistano, ci fa tenere l’attenzione alta“. Anche perché dalla Sicilia questi stranieri in regola come rifugiati, ma della cui vera storia di vota non si sa nulla di sicuro, successivamente possono recarsi dove vogliono. Aktar Nabeel un bugiardo? Lo deciderà la Corte di Appello il prossimo 14 dicembre. Nel frattempo il Questore di Reggio Emilia, Dott.ssa Isabella Fusiello ha immediatamente avanzato alla commissione di Roma la richiesta di revoca del suo asilo politico..
Il ventunenne pakistano potrebbe aver abusato anche di altri bambini. E’ questo il motivo per cui la Procura di Reggio Emilia ha disposto un approfondimento agli investigatori dei Carabinieri . Tra le voci “confidenziali” raccolte della folta comunità di connazionali pakistani sarebbe emerso più di qualche indizio a suo carico, che ha spinto gli inquirenti a investigare a 360 gradi. Un lavoro sicuramente difficoltoso, ma finora reso agevole dall’atteggiamento non omertoso e collaborativo della comunità pakistana.
Pressochè impossibile accertare se vi possano essere dei comportamenti analoghi in precedenti commessi in Pakistan, Paese in cui raramente gli abusi su bambini e donne vengono denunciati, ma purtroppo subiti in in silenzio, o risolti in modo tribale tra le famiglie. Un caso giudiziario chiacchierato quello che ha coinvolto il gip Ghini per la sua decisione, che può celare nel silenzio ancora tanti segreti.