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22 Novembre 2024 09:43

I “Due stupri due misure” di Travaglio: ma qualcuno gli ha mai spiegato il Codice Penale ?

Mai una sua vera inchiesta giornalistica, mai un'indagine, che abbiano fatto scaturire l'azione penale della magistratura. Solo e soltanto fotocopie e salotti televisivi alla conquista di una visibilità. Senza disdegnare le aule di giustizia per i vari processi penali e civili subiti. Dimenticando di raccontare quelli che perde...

di Antonello de Gennaro

ROMA – A volte mi chiedo se Marco Travaglio abbia veramente il coraggio di credere nelle sue teorie astruse. Travaglio come ben noto ha una sua personalissima visione delle cose, che in qualcosa mi ricorda l'”affarismo” giornalistico editoriale di Vittorio Feltri, che chiede agli editori la percentuale sulle copie vendute in edicola. Questa è la seconda volta che mi tocca giornalisticamente occuparmi di lui. La prima la trovate qui (clicca QUI

Il “Marchino”  ha passato un’intera vita da “gregario”, ad acquisire e fotocopiare atti processuali, intercettazioni, interrogatori ecc. necessari a confezionare  i suoi libri enciclopedici, firmando praticamente quasi  tutti i suoi libri con il collega Peter Gomez, direttore del Fatto Quotidiano.it.   Travaglio è diventato  ben noto a tutti negli ultimi anni solo e soltanto grazie alla visibilità televisiva offertagli da Michele Santoro, che stato il vero responsabile dell'”esplosione” dell’arroganza travagliana, ma intelligentemente negli ultimi tempi Santoro ha interrotto i contatti, uscendosene persino dagli accordi societari con il Fatto raggiunti tempo addietro.

nella foto Peter Gomez e Marco Travaglio

Mai una sua vera inchiesta giornalistica, mai un’indagine, che abbiano fatto scaturire l’azione penale della magistratura. Solo e soltanto fotocopie per i suoi libri, e onnipresenza nei salotti televisivi alla conquista di una visibilità. Senza disdegnare le aule di giustizia per i vari processi penali e civili subiti. Dimenticando chiaramente di raccontare quelli che perde…come per esempio quello davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo a Strasburgo.

Oggi Travaglio (insieme al suo fedele “scudiero” Marco Lillo), non sa più a che santo votarsi dopo che le procure di Milano e Roma ( a cui si è aggiunto anche “last minute” quella di Napoli) hanno chiuso i rubinetti delle soffiate, che nel codice penale si chiamano “atti d’indagine” che sono notoriamente coperti dal segreto istruttorio, previsto dal Codice Penale, la cui pubblicazione è un reato. Quello stesso Codice Penale che il suo compagno di spiaggia, l’ex-pm Ingroia deve avergli ha inculcato non completamente durante le loro vacanze in spiaggia sotto lo stesso ombrellone.

Incredibilmente ieri mattina il “Marchino” ha avuto la sfacciataggine di sostenere questa sua personalissima impressione e cioè “che esistano due codici penali, procedurali, informativi, politici ed etici: uno per i criminali “comuni”, l’altro per i colletti bianchi. L’affare si complica – aggiunge Travaglio quando lo stesso orrendo crimine – nel nostro caso lo stupro – sono accusati di averlo commesso persone di diverso status sociale: prima gli ultimi della graduatoria, cioè un gruppo di immigrati a Rimini; poi due carabinieri in uniforme a Firenze”.

Travaglio si  lamenta sul fronte giudiziario,  scrivendo e sostenendo che  “i quattro immigrati di Rimini finiscono in carcere, mentre i due carabinieri di Firenze restano a piede libero (nemmeno ai domiciliari)”. Eppure, per i primi come per i secondi, è arduo sostenere che ricorrano le esigenze cautelari previste dalle rigidissime leggi italiane per poterli arrestare prima del processo (leggi scritte apposta dai politici per non far arrestare nessun colletto bianco, dunque nessun criminale di qualunque specie, ceto e censo): non possono concretamente inquinare le prove (ormai affidate all’esame del Dna, a video di telecamere o Iphone, al racconto delle vittime e dei testimoni); né sono sul punto di scappare (il pericolo di fuga dev’essere concreto e dimostrabile, tipo col biglietto aereo già comprato); né, essendo indagati coram populo per stupro, è prevedibile che si dedicheranno ad altri stupri. Ma chi andrà mai a invocare il “garantismo” o a denunciare un caso di “manette facili” per quattro “stranieri”? Quindi, anche per tacitare l’opinione pubblica e i politici pronti ad aizzarla, non si va tanto per il sottile e si butta via la chiave.”

Mister “simpatia”… made in Piemonte, sostiene che “per i carabinieri è diverso, anche se dovrebbe essere uguale: il caso è già di per sé abbastanza imbarazzante per l’Arma e per l’Italia (le due vittime sono americane), figurarsi la scena di due paia di manette sulla divisa della Benemerita. Eppure gli immigrati di Rimini hanno ammesso più dei Carabinieri di Firenze“. Niente di più FALSO . Gli immigrati di Rimini arrestati, in realtà non hanno ammesso proprio niente !

 

nella foto il Generale Tullio Del Sette

Sarebbe il caso che qualche bravo avvocato, ma uno veramente bravo e competente , o qualche magistrato serio (e ce ne sono !) e sopratutto indipendente  dalle correnti politicizzate della magistratura, gli spiegasse qualche differenza. Mi permetto di provarci io umilmente. Travaglio dimentica qualche particolare: gli immigrati hanno violentato e stuprato nel vero senso della parola una povera ragazza polacca (picchiando il suo fidanzato)  ed una trans peruviana. I due Carabinieri di Firenze, non hanno picchiato e violentato nessuno. Hanno solo approfittato dello stato alcolico delle due studentesse universitarie, abusandone sessualmente, ed offeso la divisa che indossano e quindi tutti i loro colleghi che in Italia garantiscono la legalità rischiando la vita per pochi soldi,. Il che sicuramente costituisce un fatto molto grave e merita la sanzione penale e  disciplinare che subiranno  a breve. Ma da qui a richiedere le manette per i Carabinieri di Firenze ponendoli sullo stesso livello del branco di stupratori di Rimini passa un abisso !

Travaglio diventa all’improvviso “garantista” sostenendo che  nessuno si sogna di definire i quattro immigrati di Rimini dei “presunti stupratori” sostenendo che “se poi, puta caso, si scopre che uno dei quattro non ha stuprato nessuno”, chi se ne frega. I due carabinieri invece, essendo italiani e usi a obbedir tacendo, hanno almeno diritto alla qualifica “presunti stupratori”.

Non contento attacca  il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e la ministra della difesa Roberta Pinotti , sostenendo che “usano parole durissime” e, nel dubbio, li sospendono dal servizio in via “precauzionale” ed aggiunge “Giusto: nessuno può indossare la divisa di tutore della legge col sospetto di averla così orrendamente violata. Dice Del Sette, senz’attendere la sentenza definitiva, né quella provvisoria, né il rinvio a giudizio, né la richiesta del pm, “il primo dovere di un carabiniere è quello di essere un cittadino esemplare, di agire nell’onestà morale, nella piena legalità. Se non lo fa, tradisce una scelta di servizio”. Parole sante“.

Ma siccome “il Marchino” non ha simpatia per questo Governo che ha osteggiato sin dal suo primo minuto di vita , sostiene che “ad adottare il provvedimento sono un governo che non sospende quattro suoi membri indagati o imputati per gravi reati; e un comandante (Del Sette, appunto), indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento agli inquisiti dello scandalo Consip, cioè per aver rovinato l’indagine sulle tangenti per truccare l’appalto più grande d’Europa, che il Governo non sospende, anzi conferma“.

Probabilmente al “Marchino” non deve essere ancora andato giù il fatto che il suo giornale non riesce ad avere sottobanco assolutamente nulla dai Carabinieri , dimenticando che nel frattempo sotto indagine (ed è ben più di una) vi è un ufficiale del NOE responsabile di far girare troppe “balle” investigative e troppe carte intorno alla “compagnia di giro” del Fatto Quotidiano.

Secondo Travaglio la fondatezza delle accuse a Del Sette è pari a quella delle accuse ai due carabinieri: la parola di due testimoni (gli ex dirigenti Consip Ferrara e Marroni) contro la sua. Certo, il favoreggiamento non è lo stupro: ma si può seriamente sostenere che un appuntato e un carabiniere scelto accusati di stupro infanghino l’Arma più del comandante generale accusato di spifferare segreti agli indagati di un mega-scandalo di corruzione?“. 

Marchino scrive dall’alto della sua autorefenziale superbia giornalistica che se “il primo dovere di un carabiniere è quello di essere un cittadino esemplare, di agire nell’onestà morale, nella piena legalità”, questo dovrebbe valere tanto per gli ultimi anelli della catena quanto, a maggior ragione, per il primo. Che ci fa ancora Del Sette al vertice dell’Arma? Che ci fa il generale Emanuele Saltalamacchia, indagato per gli stessi reati, al comando dei Carabinieri toscani (diretto superiore dei due presunti stupratori)? E che ci fa Luca Lotti, indagato per gli stessi reati, al ministero dello Sport?. In pratica secondo Travaglio, se uno viene indagato dovrebbe essere rimosso dalla sua poltrona. Ma allora di conseguenza anche lui stesso dovrebbe lasciare quella di direttore del suo giornale.

Qualcuno dei suoi giornalisti dovrebbe spiegare e raccontare al direttore del “Fatto”  che nella vicenda Consip  Alfredo Romeo ha vinto il suo  ricorso dinnanzi al Tribunale del Riesame e persino in Cassazione,  ed a suo carico non sono state trovate prove di corruzione e tangenti ed infatti sono stati costretti a restituire ad Alfredo Romeo la proprietà e gestione  dele sue aziende. Così come Travaglio dovrebbe chiedere scusa alla famiglia Renzi per aver reiteratamente diffamato Matteo Renzi, suo padre ed il ministro Luca Lotti, accusandoli (senza alcuna prova concreta e tangibile) di reati che non hanno mai commesso. Anzi come i fatti hanno dimostrato, hanno solo subito !

nella foto il pm Henry John Woodcock, Federica Sciarelli, Marco Lillo

Ma alla fine esce la vera motivazione di questo editoriale a dir poco imbarazzante. Travaglio scrive che  “Sugli stupri di Rimini e Firenze, tv e giornali hanno pubblicato i verbali, fin nei minimi e più raccapriccianti dettagli, degli indagati e addirittura delle vittime (che, trattandosi di testimonianze, sono coperte dal segreto), e i pm e gli avvocati ne hanno diffusamente parlato in interviste e conferenze stampa.(Falso ! n.d.a)  Secondo noi, è giusto così, visto l’interesse pubblico delle notizie. Peccato che le stesse regole non valgano per i politici e i potenti in genere: noi, ad esempio, per molto meno – notizie e intercettazioni segrete su Consip che infastidivano la Renzi Family – siamo stati perquisiti dalla Procura di Napoli, mentre quella di Roma indagava il pm Woodcock e la sua compagna” (cioè Federica Sciarelli, giornalista RAI notoriamente molto “vicina” alla compagnia di giro… del Fatto Quotidiano).

Peccato che il Travaglio ed il Fatto Quotidiano non si soffermino su qualcos’ altro.  I pm nell’interrogatorio agli ufficiali del NOE, il colonnello Sessa ed il capitano Scafarto. hanno chiesto chiarimenti sul filone che riguarda la fuga di notizie sull’inchiesta e che vede indagati per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento il ministro dello sport Luca Lotti, il comandante generale dell’arma Tullio Del Sette e quello della regione Toscana Emanuele Saltalamacchia.  Il colonnello Sessa del NOE secondo i magistrati avrebbe mentito sulle date. In sostanza, Sessa avrebbe avvertito con largo anticipo gli alti ufficiali delle indagini in corso, cosa che avrebbe permesso la fuga di notizie verso il ministro Lotti e, da questi, verso Tiziano Renzi.

Le conversazioni Whatsapp trovate sul cellulare del capitano Scafarto dimostrano che lui avrebbe informato il comandante del Noe, Generale Sergio Pascali, in estate, mentre lui ha deposto di averlo fatto solo dopo il 6 novembre.  I magistrati hanno interrogato il capitano (ora maggiore) Scafarto  al quale hanno chiesto chiarimenti sul suo ultimo interrogatorio, durante il quale aveva chiamato in causa il sostituto procuratore di Napoli, Henry John Woodcock, anche lui titolare di un filone di inchiesta su Consip. “Fu lui a dirmi di fare un apposito capitolo sul coinvolgimento dei servizi segreti”, aveva messo a verbale Scafarto.  La “storia” dei Servizi era quindi una bufala. Ma Travaglio quando vuole dimentica ( o vuole dimenticare….) !

Il suo vice direttore Lillo ha raccontato questo particolare a proposito della vicenda Consip:

«Il giornalista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi ha svelato per primo oggi l’indagine per rivelazione di segreto su Woodcock per l’inchiesta Consip. Io lo conosco bene. Mi ha incontrato proprio negli uffici della Procura di Roma una ventina di minuti prima dell’uscita del suo scoop. Né lui né l’Ansa che ha ripreso e ampliato la notizia aggiungendo il particolare di Federica Sciarelli indagata hanno ritenuto utile chiedere la mia versione su questa notizia. Dopo l’uscita del pezzo sul Corriere.it ho chiamato il collega per dirgli: “Giovanni, scusa perché quando mi hai incontrato non mi hai chiesto la mia versione come avresti fatto con un indagato per fuga di notizie qualsiasi come Luca Lotti?”. La risposta è stata: “Perché non ho messo il tuo nome e tu non sei una notizia”. Gli ho detto: “Hai messo la testata e tutti sanno che sono io. E poi scusa, sono un collega. Mi conosci. Ti avrei potuto spiegare come sono andate le cose e avresti fatto un pezzo più completo per il tuo lettore”. Mi ha risposto che gli avrei potuto mentire e quindi non era interessato alla mia versione».

nella foto Giovanni Bianconi

Un comportamento corretto quello di Bianconi, che sorprende Marco Lillo ed i suoi colleghi. Perchè ? Semplice. Al Fatto Quotidiano non si preoccupano di pubblicare notizie inesatte o tendenziose, ed hanno una certa “allergia” ad autorettificarsi.

Il “Marchino” così conclude il suo editoriale: “Dobbiamo dedurne che le fughe di notizie sono lecite per gli stupri e proibite per le mazzette? E dove sta scritto? Nel Codice del Marchese del Grillo?“. Travaglio purtroppo però non spiega ai suoi esigui lettori, che sono crollati con il suo arrivo alla direzione del Fatto Quotidiano, al posto dell’ottimo Antonio Padellaro (rimpianto dalla stragrande maggioranza dei giornalisti “fondatori” del giornale) quali sarebbero “le fughe di notizie sugli stupri”. Quelle sulla vicenda Consip  invece lui le conosce molto bene…. E conosce molto bene i responsabili che hanno violato la Legge ed il Codice Penale.

Povero “Marchino” Travaglio che gli tocca fare pur di  vendere qualche copia in più del giornale e  dei libri editi dalla loro casa editrice per far quadrare i conti…..!

Per una più ampia valutazione del lettore, segnaliamo alcuni “precedenti” giudiziari sul giornalismo … di Marco Travaglio :

 

Nel 2000 è stato condannato in sede civile per una causa intentata da Cesare Previti dopo un articolo su L’Indipendente del 24 novembre 1995: 79 milioni di lire, pagati in parte attraverso la cessione del quinto dello stipendio.
•  Nel giugno 2004 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile a un totale di 85.000 euro (più 31.000 euro di spese processuali) per un errore contenuto nel libro «La Repubblica delle banane» scritto assieme a Peter Gomez e pubblicato nel 2001. Nel libro, a pagina 537, così si descrive «Fallica Giuseppe detto Pippo, neo deputato Forza Italia in Sicilia»: «Commerciante palermitano, braccio destro di Gianfranco Miccicché… condannato dal Tribunale di Milano a 15 mesi per false fatture di Publitalia. E subito promosso deputato nel collegio di Palermo Settecannoli». Dettaglio: non era vero. Era un caso di omonimia tuttavia spalmatosi a velocità siderale su L’Espresso, su il Venerdì di Repubblica e su La Rinascita della Sinistra: col risultato che il 4 giugno 2004 sono stati condannati tutti a un totale di 85mila euro più 31mila euro di spese processuali; 50mila euro in solido tra Travaglio, Gomez e la Editori Riuniti, gli altri sparpagliati nel Gruppo Editoriale L’Espresso. Nel 2009, dopo il ricorso in appello, la pena è stata ridotta a 15.000 euro.
• Nell’aprile 2005 eccoti un’altra condanna di Travaglio per causa civile di Fedele Confalonieri contro lui e Furio Colombo, allora direttore dell’Unità. Marco Travaglio aveva scritto di un coinvolgimento di Confalonieri in indagini per ricettazione e riciclaggio, reati per i quali, invece, non era inquisito per niente: 12mila euro più 4mila di spese processuali. La condanna non va confusa con quella che il 20 febbraio 2008, per querela stavolta penale di Fedele Confalonieri, il Tribunale di Torino ha riservato a Travaglio per l’articolo Mediaset «Piazzale Loreto? Magari» pubblicato sull’Unità del 16 luglio 2006: 26mila euro da pagare; né va confuso con la citata condanna a pagare 79 milioni a Cesare Previti (articolo sull’Indipendente) e neppure va confuso con la condanna riservata a Travaglio dal Tribunale di Roma (L’Espresso del 3 ottobre 2002) a otto mesi e 100 euro di multa per il reato di diffamazione aggravata ai danni sempre di Previti, reato – vedremo – caduto in prescrizione.
•  Nel giugno 2008 è stato condannato civilmente dal Tribunale di Roma al pagamento di 12.000 euro più 6.000 di spese processuali per aver descritto la giornalista del Tg1 Susanna Petruni come “personaggio servile verso il potere e parziale nei suoi resoconti politici“. «La pubblicazione», si leggeva nella sentenza, «difetta del requisito della continenza espressiva e pertanto ha contenuto diffamatorio».
•  Nell’aprile 2009 è stato condannato dal Tribunale penale di Roma (articolo pubblicato su L’Unità dell’11 maggio 2007) per il reato di diffamazione ai danni dell’allora direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce. Il processo sarebbe pendente in Cassazione.
•  Nell’ottobre 2009 è stato condannato in Cassazione (Terza sezione civile) al risarcimento di 5.000 euro nei confronti del giudice Filippo Verde, che era stato definito «più volte inquisito e condannato» nel libro «Il manuale del perfetto inquisito», affermazioni giudicate diffamatorie dalla Corte in quanto riferite «in maniera incompleta e sostanzialmente alterata».
 Nel giugno 2010 è stato condannato civilmente dal Tribunale di Torino (VII sezione civile) a risarcire 16.000 euro al Presidente del Senato Renato Schifani, avendo evocato la metafora del lombrico e della muffa a «Che tempo che fa» il 10 maggio 2008.
•  Nell’ottobre 2010 è stato condannato civilmente per diffamazione dal Tribunale di Marsala: ha dovuto pagare 15mila euro perché aveva dato del «figlioccio» di un boss all’assessore regionale siciliano David Costa, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e successivamente assolto in forma definitiva.
 
•  Quindi la condanna più significativa. Si comincia in primo grado nell’ottobre 2008: Travaglio  beccò otto mesi di prigione (pena sospesa) e 100 euro di multa in quanto diffamò Previti. L’articolo, del 2002 su l’Espresso, era sottotitolato così: «Patto scellerato tra mafia e Forza Italia. Un uomo d’onore parla a un colonnello dei rapporti di Cosa nostra e politica. E viene ucciso prima di pentirsi». Lo sviluppo era un classico “copia & incolla, dove un pentito mafioso spiegava che Forza Italia fu “regista” di varie stragi. Chi aveva raccolto le confidenze di questo pentito era il colonnello dei Carabinieri Michele Riccio, che nel 2001 venne convocato nello studio del suo avvocato Carlo Taormina assieme a Marcello Dell’Utri. In quello studio, secondo Riccio, si predisposero cose losche, tipo salvare Dell’Utri, e Travaglio nel suo articolo citava appunto un verbale reso da Riccio. E lo faceva così: «In quell’occasione, come in altre, presso lo studio dell’avv. Taormina era presente anche l’onorevole Previti». E così praticamente finiva l’articolo.
L’ombra di Previti si allungava perciò su vari traffici giudiziari, ma soprattutto veniva associato a un grave reato: il tentativo di subornare un teste come Riccio. Il dettaglio è che Travaglio aveva completamente omesso il seguito del verbale del colonnello. Eccolo per intero: «In quell’occasione, come in altre, presso lo studio dell’avv. Taormina era presente anche l’onorevole Previti. Il Previti però era convenuto per altri motivi, legati alla comune attività politica con il Taormina, e non era presente al momento dei discorsi inerenti la posizione giudiziaria di Dell’Utri».
Il giudice condannò Travaglio ai citati otto mesi: «Le modalità di confezionamento dell’articolo risultano sintomatiche della sussistenza, in capo all’autore, di una precisa consapevolezza dell’attitudine offensiva della condotta e della sua concreta idoneità lesiva della reputazione».  In italiano corrente e più chiaro significa che Travaglio l’aveva fatto apposta, cioè aveva diffamato ben sapendo di diffamare.
La sentenza d’Appello è dell’8 gennaio 2010 e confermava la condanna, ma gli furono concesse attenuanti generiche e una riduzione della pena. La motivazione, per essere depositata, non impiegò i consueti sessanta giorni: impiegò un anno, dall’8 gennaio 2010 al 4 gennaio 2011. Così il reato è caduto in prescrizione. «La sentenza impugnata deve essere confermata nel merito… (vi è) prova del dolo da parte del Travaglio». Il quale, ad Annozero, ha raccontato di un ricorso in Cassazione: attendiamo notizia sull’esito. Secondo voi, se sarà negativo Travaglio nè darà notizia ? Abbiamo seri dubbi …

“Ciliegina sulla torta”…. la Corte Europea dei Diritti Umani

I tribunali italiani non hanno violato il diritto alla libertà d’espressione di Marco Travaglio quando in primo e secondo grado, nel 2008 e 2010, l’hanno condannato per aver diffamato Cesare Previti nell’articolo ‘Patto scellerato tra mafia e Forza Italia’ pubblicato nel 2002 sull’Espresso. L’ha stabilito la Corte europea dei diritti umani dichiarando inammissibile il ricorso presentato dal giornalista nel 2014.

Secondo i giudici di Strasburgo i tribunali italiani hanno ben bilanciato i diritti delle parti in causa, da un lato quello di Travaglio alla libertà d’espressione e dall’altro quello di Cesare Previti (che nella decisione odierna è indicato solo con l’iniziale P.), al rispetto della vita privata.

I togati europei hanno quindi dato ragione ai colleghi italiani che hanno condannato Travaglio per aver pubblicato solo una parte della dichiarazione del colonnello dei Carabinieri Michele Ricciogenerando così nel lettore – si legge nella decisione della Corte – l’impressione che il ‘signor P.’ fosse presente e coinvolto negli incontri riportati nell’articolo“. La Corte osserva “che, come stabilito dai tribunali nazionali, tale allusione era essenzialmente fuorviante e confutata dal resto della dichiarazione non inclusa dal ricorrente nell’articolo“.

La Corte di Strasburgo ha quindi ribadito che uno sputtanamento è uno sputtanamento e che le post verità…. si possono definire solo in un modo: menzogne. E pubblicare una storia a metà, con il metodo del “taglia e cuci”, non è un fatto alternativo: è una non verità. E per fortuna c’è un giudice a Strasburgo.

Ma tutto questo “Marchino” Travaglio evidentemente non ama ricordarlo, figuriamoci scriverlo !

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Grazie, Antonello de Gennaro

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