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22 Novembre 2024 04:08

La nuova legge elettorale approvata alla Camera. Il voto finale al Senato

La maggioranza maggioranza ha votato a scrutinio segreto con 375 sì e 215 no, il provvedimento passa ora all’esame del Senato. Dietro le quinte delle manovre elettorali in vista del prossimo voto per le "politiche" della prossima primavera 2018

ROMA – L’aula di Montecitorio ha  dato  semaforo verde, con il voto a scrutinio segreto, con 375 sì, 215 no al Rosatellum bis, che ora passa all’esame del Senato. La legge elettorale è stata sostenuta da Partito democratico, Forza Italia, Lega e Alternativa popolare. Oppositori,  Mdp, Sinistra Italiana- Possibile e M5S.

L’aula del Parlamento subito dopo il via libera al Rosatellum si è trasformata. Da tesa e silenziosa si divide a metà: esultanza fra banchi del Partito Democratico e rabbia e palese delusione fra quelli della sinistra e del Movimento 5 Stelle. I Dem si sono alzati in piedi battendo le mani esultando, applaudendo a lungo, il capogruppo Ettore Rosato che a questa riforma elettorale ha dato il suo nome restato in piedi vicino al suo scranno sorridente come non mai. Nessun commento e sguardi bassi  tra i 5 Stelle, alcuni dei quali restano sono rimasti seduti al proprio posto, come un pugile sconfitto per ko sul ring.  mentre l’aula comincia a svuotarsi.  .

Sulla base delle dichiarazioni di voto finali fatte dai gruppi parlamentari, il Rosatellum bis, poteva contare su una maggioranza di 450 voti, ma sono venuti a mancare 75 voti, ottenendo 375 sì, che vuol dire che tenendo conto delle assenze giustificate, dello scrutinio segreto , che ci sono stati dei “franchi tiratori”  provenienti dai `dissidenti´ interni. Il raggruppamento del `no´ alla legge elettorale, sempre sulla carta, poteva contare su 164 voti. ma. i voti contrari sono stati 215, e quindi gli oppositori della riforma elettorale hanno `guadagnato´ 50 voti ufficialmente non previsti e non conteggiati prima del voto.

L’ipotesi del voto ‘ al Senato  . La Camera aveva approvato ieri i primi due articoli sui quali il governo aveva posto la fiducia; la maggioranza parlamentare che sostiene il governo ha votato , mentre Lega Nord e Forza Italia si sono astenuti. La legge passerà poi all’esame del Senato, dove il Governo per non correre rischi riproporrò la fiducia . Infatti a Palazzo Madama  esiste la possibilità di dover votare alcuni emendamenti a scrutinio segreto (come ad esempio quelli che riguardano le minoranze linguistiche, sulle quali si era infranto a giugno il sistema elettorale “Tedesco”) e l’idea è quella di votare velocemente senza correre rischi, iniziando l’esame già a partire dal prossimo 24 ottobre, cioè prima dell’arrivo della manovra finanziaria.

Le critiche dell’ex capo dello Stato Napolitano.  A premere perché invece la legge cambi è stato il presidente della Repubblica emerito, e senatore a vita, Giorgio Napolitano secondo il quale la fiducia sul voto per la riforma del sistema elettorale ha rappresentato “uno strappo”.  Ma il Parlamento questa volta non lo ha ascoltato.

Cosa accade nel Partito Democratico. Allarme rosso sulle liste “blindate”

Matteo Renzi aveva ripetutamente manifestato indifferenza il Rosatellum bis dichiarando “La legge elettorale? Non ci vado pazzo…“, con l’atteggiamento di chi vuol manifestare all’elettorato che i suoi pensieri sono ben altri e cioè più vicini ai veri problemi del popolo italiano. Ma la “grande soddisfazione” a voto concluso fatta circolare dal segretario del Pd manifesta il compiacimento di chi ha  voluto e alla fine ottenuto il voto positivo della maggioranza alla Camera dei deputati. Matteo Renzi ha quindi vinto la prima “partita” e quasi certamente con il sostegno consapevole e manifesto di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini ed Angelino Alfano, si appresta a vincere  anche la seconda: quella del voto fonale nell’aula di palazzo Madama. Dopodichè il Rosatellum bis diventerà legge dello Stato e verrà controfimata dal Presidente della Repubblica. Questa è la quinta riforma elettorale in 25 anni, cioè una legge ogni cinque anni.

Matteo Renzi sa molto bene che al di là della consistenza della dissidenza non trascurabile nascosta nel voto segreto, manifestata da 75 peones, notabili e leader di corrente del Pd, che parlano tra di loro, quasi come un ossessione,  in realtà nei corridoi del Parlamento si parla di una sola cosa: la composizione delle future liste elettorali e nell’indicare i candidati nei collegi. Renzi farà l’assopigliatutto o invece seguirà un comportamento “proporzionale”, assegnando ai vari gruppi interni le loro quote, comprese quelle di minoranza?

Sembra a prima vista  una questione tutta interna alle varie correnti ed anime del Pd. Un quesito che altro non è che l’ansia personalissima di tutti quei parlamentari destinati fatalmente a non ritornare sui banchi del Parlamento.  Ma è proprio nella selezione dei prossimi candidati al Parlamento che si gioca una quota non indifferente della efficacia della nuova riforma elettorale: la rappresentatività del futuro Parlamento. Gli onorevoli che verranno candidati, ma sopratutto quelli eletti,  saranno un’immagine dei propri elettori o finiranno per rappresentare uno specchio perfetto dei leader e delle loro “brame” nei ripettivi territori elettorali ? Se, come è probabile, la selezione (ma anche la scrematura) verrà fatta soltanto sulla base degli umori e delle preferenze dei capi, il prossimo Parlamento rischia di presentare delle poco augurali caratteristiche di uniformità e di conformismo.

Per ora ci sono soltanto i presupposti ma non è detto che vada a finire così. Le responsabilità maggiori, anche se non “esclusive”, vanno al Pd che è ancora oggi il partito di maggioranza relativa. Anche perché è l’unico partito nel quale esiste una vita democratica. Nei partiti della Prima Repubblica, che tanti errori fecero nell’approvvigionamento delle “risorse”, i congressi venivano celebrati per identificare i leader, ma anche per stabilire le quote per le minoranze in percentuale ai loro voti, negli organismi dirigenti e delle rappresentanze parlamentari.

Da ieri sera l’allarme rosso è scattato dietro le quinte del Pd.  Chi nel Transatlantico della Camera parlava di “pulizia etnica”, trovava il dissenso manifesti di Lorenzo Guerini, cioè di colui che per conto di Matteo Renzi, tratterà  e deciderà la formazione delle liste, che ha detto “E’ del tutto evidente che il segretario selezionerà personalità esterne, non inquadrabili in quote e ci mancherebbe altro. Per il resto sarà seguito un criterio equilibrato“.  Il ministro Dario Franceschini, uno dei capo corrente del Pd che più teme l’ “operazione-assopigliattutto” di Renzi, confidava in questi giorni  agli amici: “Temo che il risultato siciliano non sarà brillante e questo mi auguro indurrà Matteo ad essere più ragionevole“. Anche un altro che teme l’imprevedibilità di Renzi, e cioè lo sfidante alle primarie Andrea Orlando, manifesta un altro pensiero: “Siamo in una fase diversa, anche Matteo ne sta prendendo atto“.

Ma il vero rischio che tutti i capicorrente del Pd temono è un altro: che il segretario rassicuri tutti sulla rappresentatività delle liste e poi faccia saltare il “banco” all’ultimo momento in zona Cesarini . A quel punto sarebbe troppo tardi per una scissione-bis, della quale parlano ancora in tanti . Ma lo fanno sottovoce. Per non disturbare o irritare il “manovratore” ?

Berlusconi rientra in ballo nel centrodestra. E Salvini dovrà “trattare” sui collegi elettorali

Giorgia Meloni, che è stata l’unica con Fratelli d’ Italia, a votare nel centrodestra contro il Rosatellum bis, adesso si chiede a cosa servirà questa legge elettorale se poi alla fine non produrrà una maggioranza stabile per governare. La Meloni sospetta accordi segreti tra Berlusconi e Renzi dopo il voto nella primavera del 2018, con un Matteo Salvini che pretende la leadership dell’opposizione per mettere il Cavaliere fuori dai giochi. Ma intanto con questo nuovo sistema elettorale, blindando Forza Italia il Cavaliere in realtà resta della partita : ha evitato il Consultellum, che prevede al Senato le preferenze, e quindi decide i nomi dei candidati sia nei collegi uninominali sia in quelli plurinominali della quota proporzionale. Cioè i candidati cosiddetti “nominati” dai partiti,  contro cui si erano opposti i grillini del M5S, i bersaniani di Mdp e Sinistra italiana, oltre a Fratelli d’Italia.

Facile presumere che i “nominati” siano nel centrodestra sopratutto i “fedelissimi” di Silvio Berlusconi, quei parlamentari che lo hanno sempre seguito e che non lo tradiranno mai, e sicuramente non i professionisti del cambio casacca, che sono usciti e rientrati a destra a fasi alterne Il leader di Forza Italia mantiene comunque questo potere di nomina, e sarà quindi il vero “manovratore” sia in caso di vittoria del centrodestra sia per eventuali larghe intese con il Pd. Matteo Salvini invece spera di poter fare la parte del leone in Veneto, in Lombardia e in Liguria. Sarà una bella disputa quando si siederanno attorno a un tavolo per decidere le quote dei collegi uninominali da spartirsi. E dentro Forza Italia non sono pochi  quelli che temono di essere penalizzati.

Nel mezzogiorno i forzisti non hanno grandi alleati come il Carroccio. In alcune realtà, in particolare a Roma e nel Lazio, dove Forza Italia dovrà trattare con la Meloni che ha il dente avvelenato e che ha votato pubblicamente contro la riforma elettorale. Il capogruppo alla Camera Renato Brunetta però si dice ottimista sostenendo che “un accordo si troverà ovunque perchè  il vento tira a favore del centrodestra“. “Del resto – aggiunge il capogruppo di Forza Italia alla Camera – siamo riusciti a fare accordi quando c’era il Mattarellum che prevedeva il 70% di collegi uninominali, figuriamoci adesso con questa nuova legge che ne prevede solo il 36%?». Brunetta è fortemente convinto che il Rosatellum bis conviene molto di più al centrodestra che a Renzi perchè avrà la maggioranza o assoluta o relativa: “E anche con una maggioranza relativa noi chiederemo al capo dello Stato di incaricare una personalità dello nostro schieramento per formare il governo“.

Il problema si presenterà se Berlusconi vorrà costituire una maggioranza delle larghe intese, cioè una grande coalizione parlamentare con i Dem senza poter contare sui leghisti. Legittimo chiedersi cosa faranno i senatori e i deputati di Forza Italia che saranno eletti nei collegi uninominali con anche con i voti  della Lega ? Continueranno a seguire il Cavaliere ?

Il Rosatellum alla fine dei conti contiene molte incognite. Berlusconi e Salvini dovranno fare un accordo per forza  per vincere nei collegi uninominali. E a maggior ragione Salvini ne avrà bisogno nelle Regioni del Centro e del Sud se vuole allargare la sua base elettorale a livello nazionale.

Movimento 5 Stelle. Grillo diserta la piazza semivuota. Ed i grillini ritornano a lottare

Beppe Grillo ha  preferito restare in hotel. Quando dal M5S dicono parole come queste “Sai com’è, abituato a migliaia e migliaia di persone…” è ormai chiaro che il comico, fondatore ed ispiratore del movimento che si sente ferito da una legge elettorale velenosa per i sogni pentastellati, non si vedrà più sul palchetto davanti alla Camera dei Deputati. L’attesa del voto finale è stata estenuante e la gente in piazza, non numerosa come il giorno precedente, è diminuita di ora in ora arrivando quasi a scomparire. I pochi irriducibili con le bandiere in mano lo hanno atteso invano.  Grillo non si è visto.

L’assenza del ex capo politico è lo specchio della delusione e della confusione interna al M5S che ora si vede sconfitto, relegato in un angolo della politica,  per cercare di imbastire una nuova strategia per capire cosa fare e sopratutto cosa sperare. L’illusione di poter ambire al Governo svanisce in una lunga giornata di slogan generosamente pronunciati dai parlamentari che si sono alternati sul palco. Alessandro Di Battista, che torna e ritorna sgolandosi per tenere alta la tensione emotiva fino a quando Luigi Di Maio dichiara in aula: “E’ una nuova legge truffa, la legislatura finisce come inizia, noi in piazza e voi qui dentro a tentare di salvarvi. Ma finirà come 5 anni fa, avrete un’altra bella sorpresa“.

Di fronte alla evidente sconfitta parlamentare del M5S,  le lancette della politica grillina non possono che riposizionarsi all’indietro, altro che candidatura a governare. Di Maio lo dice chiaramente “Qualcosa si è rotto dal punto di vista istituzionale. Non possiamo restare a guardare” e lo imitano anche i suoi colleghi come se con il loro urlare e sbracciarsi sul palco potessero cambiare lo stato delle cose che si è deciso in aula.  .

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