di Paolo Campanelli
ROMA – Romaeuropa Festival, nato nel 1986 e riconosciuto come il più importante festival italiano tanto da essere stato indicato nel 2006 dal Wall Street Journal come uno dei quattro top festival in Europa e DIGITAL LIFE è ritenuto il vero e proprio cuore tecnologico del Romaeuropa Festival, giunto quest’anno alla sua ottava edizione; inaugurato il 7 ottobre e visitabile fino al 7 gennaio 2018 al Palazzo delle Esposizioni di Roma, è un progetto di Monique Veaute a cura di Richard Castelli, e in quest’edizione fa delle istallazioni il suo punto di forza.
Le opere in mostra sono molte di meno rispetto a un’esibizione “classica”, ma ognuna si lancia in un campo differente di arte “estratta” dalla tecnologia: video, audio, movimento. Le istallazioni fanno del movimento dell’osservatore parte integrante dell’opera stessa, e in molti casi, questo rende l’opera unica non solo per ogni singola persona, ma anche per ogni singola visione della stessa opera.
Il concetto dell’impossibilità di ricreare la stessa visione in momenti differenti è ben visibile nell’opera Phosphor di Robert Henke, un’installazione site specific che utilizza complicate funzioni matematiche per creare un immagine sempre diversa utilizzando fasci di luce ultravioletta su di un piano di fosforo (da cui il nome) posta sul pavimento del museo creando percorsi che rimando a strade, città, montagne e quel che l’osservatore ci vede all’interno. Pensata sui concetti di ‘erosione’ e ‘mutamento’, l’installazione cambia la propria stessa apparenza e morfologia durante l’intera durata della mostra. Ogni traccia di luce lascia un segno su di una catena montuosa, così come l’acqua erode lentamente profondi canyon.
Altra opera che fa della singolarità il suo punto di forza è La Dispersion du fils di Jean Michel Bruyère, che mette i visitatori letteralmente al centro di un vortice di immagini, suoni e movimento: spezzoni da 600 differenti brevi film creati dall’artista che si espandono e contraggono in un viaggio di mutamento senza fine ispirato al mito di Antigone il cacciatore tramutato in cervo da Diana e inseguito e divorato dai suoi stessi segugi.
È, per questo, un’opera sulla metamorfosi e la trascendenza, il sacrificio e la trasgressione, l’occasione, l’errore e la ricerca di una perduta conoscenza.
Progettata per essere visualizzata a 360° sul sistema AVIE (Advanced Visualisation and Interaction Environment), ideato da Jeffrey Shaw presso l’iCinema Centre della University of New South Wales (Sidney), La Dispersion du Fils è un viaggio immersivo attraverso vaste e tridimensionali strutture, costruite interamente da elementi audiovisivi estratti dagli archivi di LKFs, per un totale di oltre 600 tra film e colonne sonore. Generata in real-time, l’opera non si ripete né ha una fine. Ogni singolo momento non è solamente unico, ma non si ripete mai più; di tutti i percorsi possibili che La Dispersion du Filspuò intraprendere, nessuno fra questi potrà mai essere visibile per intero.
Più classico è Memorandum Of Voyage del collettivo giapponese Dumb Type un incessante bombardamento di immagini e suoni di repertorio, una apparente cacofonia di quotidiano e inusuale che si unisce in una esperienza di inarrestabile affermazione del vero. Suoni, luci, parole e numeri si compongono in una sequenza senza chiaro inizio ne fine ma con ben definite pause. Non un documento video, ma un’opera percettiva, volta a dare vita a una nuova esperienza visiva che rilegge la storia del collettivo giapponese con gli strumenti tecnologici di oggi. Si passa dai contorni offuscati di OR, per arrivare alle silhouette traslucide di memorandum, fino al viaggio di Darwin trascritto in Voyage, uno tra i primi esempi di messaggio rivolto al futuro.