ROMA – Illegittimità costituzionale parziale per il decreto ministeriale d’attuazione del Piano di Riordino delle Camere di commercio, è quanto ha stabilito la sentenza della Corte Costituzionale n. 261/2017 del 8 novembre 2017 e pubblicata oggi sulla Gazzetta Ufficiale.
L’organo di garanzia costituzionale, che ha il compito di giudicare la legittimità degli atti dello Stato e delle Regioni, si è espresso sul ricorso presentato da quattro Regioni, la Liguria , Lombardia,Puglia, Toscana, i cui ricorsi sono stati riuniti ed esaminati insieme. Molti i rilievi sollevati dalle Regioni e non accolti dalla Consulta, che li ha giudicati in parte inammissibili, in parte non fondati ed ha riscontrato che la sentenza della Corte Costituzionale n. 261/2017 rispetta, nella procedura, il dettato costituzionale .
Le Regioni dovevano condividere il percorso di riordino delle Camere di commercio, invece è stato chiesto solo un parere. La non legittimità dunque non è sul contenuto, ma sulla procedura che non è conforme alla Carta Costituzionale. La Consulta ha così azzerato il decreto Calenda per eccesso di delega. E’ la Conferenza Stato-Regioni “il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione”. La Corte Costituzionale evidenzia così come per la riforma delle Camere di Commercio serva l’intesa in Conferenza Stato-Regioni.
In particolare la Consulta “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), nella parte in cui stabilisce che il decreto del Ministro dello sviluppo economico dallo stesso previsto deve essere adottato “sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano“, anziché previa intesa con detta Conferenza”.
La Consulta spiega che le Camere di Commercio “svolgono compiti che esigono una disciplina omogenea in ambito nazionale” e “non compongono un arcipelago di entità isolate, ma costituiscono i terminali di un sistema unico di dimensioni nazionali che giustifica l’intervento dello Stato“. Inoltre viene rilevato che nel contempo i compiti delle Camere di Commercio “sono riconducibili a competenze sia esclusive dello Stato, sia concorrenti, sia residuali delle Regioni” che quindi vanno pienamente coinvolte in un processo di riforma attraverso la Conferenza Stato-Regioni.
La Corte Costituzionale sottolinea che “l’intervento del legislatore statale sul profilo in esame non è di per sé illegittimo, essendo giustificato dalla finalità di realizzare una razionalizzazione della dimensione territoriale delle camere di commercio e di perseguire una maggiore efficienza dell’attività da esse svolta, conseguibile soltanto sulla scorta di un disegno unitario, elaborato a livello nazionale”. Finalità che “non esclude tuttavia che, incidendo l’attività delle Camere di Commercio su molteplici competenze, alcune anche regionali, detto obiettivo debba essere conseguito nel rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie”.
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“Apprendo con grande preoccupazione della notizia della sentenza della Corte di Costituzionale – dice il presidente della Camera di commercio di Matera, Angelo Tortorelli – l’attuale periodo, per chi lavora nelle Camere di commercio, è di grande disorientamento. L’atteso riordino, con la razionalizzazione delle sedi e del personale, genera inquietudine. Il ministro doveva determinare il decreto stesso in forma di codecisione con le Regioni, ma così non è stato. E la Corte Costituzionale ha stabilito che occorrono dei correttivi. Adesso attendiamo con fiducia che la sentenza venga applicata e che al più presto si ottengano risposte alle attese del personale degli enti camerali”.