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22 Novembre 2024 01:06

La Cassazione assolve Ignazio Marino annullando la sentenza della Corte di Appello che lo aveva condannato a due anni per “peculato” e “falso”.

Marino era anche imputato per il reato di truffa riguardo alla onlus Imagine della quale era presidente: reato quest’ultimo per il quale è stata confermata l’assoluzione. 

La storia infinita processuale di Ignazio Marino sembra non essere terminata. Un anno dopo le motivazione della sentenza di 1° grado in cui venne assolto,  oggi nel processo d’appello l’ex sindaco della Capitale è stato condannato  dalla IIIa sezione della Corte d’appello penale di Roma Sono 56 le cene contestate,  avvenute tra il luglio del 2013 e il giugno del 2015, per complessivi 12.700 euro.

Il “caso scontrini” che aveva provocato le dimissioni forzose di Ignazio Marino,, con la sfiducia del suo stesso Partito, cioè il Pd   ex sindaco di Roma, ha avuto un diverso destino davanti ai magistrati della corte d’Appello di Roma. L’ex primo cittadino è stato condannato a due anni  Le accuse di peculato e falso riguardano la vicenda delle cene consumate nei mesi in cui era primo cittadino e pagate con la carta di credito del Campidoglio. Marino era anche imputato per il reato di “truffa” riguardo alla onlus Imagine della quale era presidente, che si occupava di aiuti sanitari a Paesi in via di sviluppo, per delle presunte assunzioni fittizie tra il 2012 e il 2014, con soggetti inesistenti: e così facendo, secondo gli inquirenti avrebbe truffato l’Inps, ma per queste accuse di reato  è stata confermata la sentenza di assoluzione di primo grado , come peraltro richiesto anche dal Sostituto Procuratore Generale Vincenzo Saveriano.

Le dimissioni da sindaco di Roma. Marino si era dimesso l’8ottobre 2015 sotto la pressione degli stessi alleati. Pd e Sel, cioè i partiti della maggioranza consiliare lo sostenevano al Campidoglio, gli avevano posto un’ ultimatum: il primo cittadino avrebbe dovuto farsi da parte o altrimenti avrebbero deciso di sfiduciarlo nell’Assemblea capitolina, il consiglio comunale di Roma. Uno vero e proprio “stillicidio” proseguito poi con una riunione di giunta in cui Marino era apparso praticamente solo, con le dimissioni rassegnate da tre assessori nominati in estate, come ultimo tentativo del Pd per raddrizzare una storia diventata sempre più pesante, giorno dopo giorno, ben distante da quel giugno 2013 in cui il “Sindaco marziano” era stato eletto.

L’ex sindaco, presente in aula sia oggi sia il giorno delle richieste del Pg, ha consegnato ai giudici della Corte di Appello due memorie raccontandole in aula e spiegando in maniera più concisa quanto aveva già affermato nel corso della precedente udienza: “Vorrei affermare con grande chiarezza che mai nella mia vita e nelle miei funzioni da sindaco ho utilizzato denaro pubblico per motivi personali“. Circostanza ribadita anche oggi di fronte ai giudici. La procura generale per la vicenda degli scontrini invece aveva chiesto per il chirurgo una condanna a due anni e mezzo.

Ignazio Marino

Ignazio Marino  ha ricordato anche di aver donato nel 2014 diecimila euro del suo salario alla città, e di non aver mai chiesto rimborsi al Campidoglio neanche quando, cancellò una vacanza privata negli Stati Uniti trasformandola in incontri di lavoro con il presidente della Roma James Pallotta e il sindaco di New York Bill De Blasio, aggiungendo di essere una persona trasparente: “Mi presentai in procura – ha detto oggi in udienza  – e misi a disposizione spontaneamentea chi indagava su di me le chiavi della mia agenda elettronica». Il chirurgo ha ricordato infine davanti alla corte di appello di aver rinunciato allo stipendio da senatore ancora prima della sua elezione a primo cittadino, “lasciando nelle casse pubbliche oltre ottantamila euro a cui ho rinunciato” concludendo: “Se sono un ladro, sono un ladro scemo e incapace di intendere e di volere“.

L ’avvocato Enzo Musco, difensore di Marino, ha spiegato in aula che La responsabilità di Ignazio Marino è inesistente. Si ha l’impressione, leggendo l’atto di appello, che la Procura consideri il sindaco della Capitale d’Italia, una sorta di burocrate che lavora a tempo per cene tutto sommato di poco conto. Marino è riuscito a far guadagnare alla Capitale somme ben superiori alle modeste spese di rappresentanza sostenute”.  Aggiungendo “il problema della carta di credito del sindaco si verifica a due anni di distanza dall’insediamento della giunta Marino. Questo spiega – ha detto Muscoi ricordi lacunosi dell’ex sindaco, parliamo di meno di due cene istituzionali al mese per il sindaco di una città che è tra le più importanti del mondo”.

La decisione dei giudici della Terza sezione della Corte d’Appello era arrivata dopo poco più di due ore di camera di consiglio   condannando l’ex-sindaco di Roma Capitale  a due anni .  Da noi contattato nel pomeriggio il legale di Marino ha anticipato il prevedibile ricorso dinnanzi alla Suprema Corte di Cassazione chiamata a dire l’ultima parola su questa alterna storia processuale. In serata Ignazio Marino ha diffuso un proprio comunicato stampa: “La Corte di Appello di Roma condanna l’intera attività di rappresentanza del Sindaco della città eterna. In pratica – afferma il Prof. Ignazio Marino- i Giudici sostengono che in 28 mesi di attività da Sindaco non abbia mai organizzato cene di rappresentanza ma solo incontri privati. Un dato che contrasta con la realtà e la logica piu’ elementare. Non posso non pensare – continua il Prof. Ignazio Marinoche sia una sentenza dal sapore politico nel momento in cui il Paese e il Lazio si avvicinano a due importanti scadenze elettorali. Sono amareggiato anche se tranquillo con la mia coscienza perché non ho mai speso 1 euro pubblico per fini privati. Con lo Studio Musco continuero’ la mia battaglia per la verità e la giustizia in Cassazione

“Riservandomi un commento approfondito dopo la lettura delle motivazioni,commenta l’ Avv. Musco  legale di Marino – non posso non evidenziare come la sentenza di condanna del Prof. Marino appare priva di qualsiasi fondamento razionale e giuridico. Una sentenza in evidente conflitto con quanto emerso dalle indagini della Procura cosi’come già riconosciuto dal Giudice di primo grado . Con il mio assistito ricorrero’ in Cassazione confidando in una valutazione aliena da sospetti di natura politica. Non posso esimermi dal rilevare come questa condanna condizioni la formazione delle liste per le imminenti elezioni politiche e quindi i relativi risultati“.

AGGIORNAMENTO

In data 09 aprile 2019 la Corte di cassazione ha assolto definitivamente Ignazio Marino “perché il fatto non sussiste”. In particolare, la Corte di cassazione ha statuito che le spese compiute con la carta di credito concessa all’ex Sindaco Marino in dotazione dall’Amministrazione Capitolina costituivano spese di rappresentanza con finalità istituzionali, non sussistendo il delitto continuato di peculato. La Corte di cassazione ha in particolare evidenziato la genericità e la carenza di motivazione della sentenza con la quale la Corte di appello aveva riformato la sentenza di assoluzione già emessa dal giudice di primo grado (non tenendo conto degli elementi di fatto effettivamente accertati).

Gli ermellini della 6a sezione penale della Suprema Corte nella sentenza num. 21166 hanno evidenziato che “Nel riconoscimento, nei termini innanzi esposti, della fondatezza delle doglianze difensive contenute nel terzo motivo del ricorso (anche in collegamento con quelle formulate nei connessi primo e secondo motivo) resta assorbito l’esame dei restanti motivi dell’atto di impugnazione, relativi all’elemento psicologico del peculato e alle connesse ipotesi strumentali di falso. L’accertata grave illegittimità dovuta al mancato rispetto, nei termini innanzi esposti, dell’obbligo della motivazione rinforzata e alla violazione del principio dell’onere della prova, impone l’annullamento della sentenza impugnata che ilCollegio (…) ritiene, in ossequio alle indicazioni delle Sezioni Unite (in questo senso Sez. U, n. 3464/18 del 30/11/2017, Matrone, Rv. 271831), possa essere disposto senza rinvio: ciò tenuto conto della infondatezza della ipotesi accusatoria, constatata sulla base degli innanzi delineati elementi di fatto accertati nei giudizi di merito e sulle già definite statuizioni adottate dai giudici di primo e di secondo grado, che rende superfluo lo svolgimento di un giudizio di rinvio che non consentirebbe di pervenire ad una decisione diversa da quella adottata in questa sede…

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