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22 Novembre 2024 07:30

Il governo Berlusconi-Renzi non si può fare

A ogni buon conto è lo stesso Berlusconi che da diversi giorni va chiarendo ai suoi interlocutori privilegiati che lo schema FI-PD, per mesi dato per certo da quasi tutti gli osservatori più avveduti, non può funzionare forzando le cose: il Cavaliere è innanzitutto un gran pragmatico e non mancherà di dimostrarlo anche stavolta.

di Roberto Arditti

Tra le poche certezze del dopo elezioni, una va facendosi largo con forza piuttosto considerevole: non vi sarà spazio per un accordo di governo tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, se lo intendiamo come derivante da iniziativa autonoma presa da loro due (cui magari aggiungere sostegni parlamentari numericamente necessari). Ciò è sempre più evidente sia per ragioni politiche che di “compatibilità” con il sistema nel suo complesso, dove agiscono poteri più o meno forti (in fondo questa è la democrazia).

Cominciamo dagli aspetti politici, peraltro ben evidenziati oggi su Repubblica da Claudio Tito. Da un lato c’è il Cavaliere, infilato in una coalizione che, piaccia o non piaccia, arriverà vicina alla autosufficienza parlamentare. Questa coalizione, peraltro sancita formalmente dalla legge elettorale in vigore, non potrà essere archiviata come carta straccia in nome di un accordo di governo che suoni come un brutale voltafaccia rispetto agli impegni presi in campagna elettorale. Ne saranno testimonianza vivente gli oltre 150 parlamentari (tra Camera e Senato) che saranno eletti con i voti di tutta la coalizione nei collegi uninominali: obbligarli a dividersi in modo sanguinoso subito all’avvio della legislatura sarebbe esercizio di somma imprudenza.

A ogni buon conto è lo stesso Berlusconi che da diversi giorni va chiarendo ai suoi interlocutori privilegiati che lo schema FI-PD, per mesi dato per certo da quasi tutti gli osservatori più avveduti, non può funzionare forzando le cose: il Cavaliere è innanzitutto un gran pragmatico e non mancherà di dimostrarlo anche stavolta. Poi ci sono le vicende sul lato sinistro dell’eventuale accordo per il “governissimo“.

Renzi stesso ha ormai compreso che quella strada non è percorribile innanzitutto per ragioni politiche, poiché finirebbe per produrre una ulteriore frattura nel PD (molti, anche tra i ministri in carica, sono fermamente contrari) e poi lo consegnerebbe ad un accordo di governo con il Cavaliere di difficilissima gestione, esposto al bombardamento di tutti quelli che ne resterebbero fuori, a cominciare da gran parte della “nobiltà”, più o meno in sella, della sinistra italiana. È però vero che per diverse settimane questo schema ha impegnato le energie di molti, sino al punto di generare persino ipotesi di suddivisione dei ministeri.

Proprio qui è scattato il campanello di allarme e così questo mese di febbraio si è visto incaricato di mandare ai naviganti tutti (e a due in particolare) segnali ben precisi di dissenso. Sono così emersi due elementi che hanno raffreddato gli entusiasmi e chiarito con nettezza che occorre cambiare schema di gioco. Il primo è l’ingarbugliarsi della vicende relative alla vendita del Milan, croce e delizia delle emozioni e degli affari di famiglia del Cavaliere.

Prima una dettagliata inchiesta pubblicata da La Stampa, poi un puntiglioso approfondimento di Milena Gabanelli sull’edizione web del Corriere della Sera: quella storia non è in ordine e continuerà a far parlare di sé anche nei prossimi mesi. Il secondo segnale è arrivato (con metodi giornalistici su cui andrebbe aperto un serio dibattito a parte) al più potente uomo politico del Sud che non ha mai tentennato nel sostenere Matteo Renzi, cioè il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.

Ebbene è noto a tutti che la partita del 4 marzo si gioca al Sud ed è anche ben evidente l’aria che tira in Puglia o in Sicilia, dove gli amici del segretario si contano su poche dita. Oggi quindi un problema di De Luca è, inevitabilmente, anche un problema di Renzi: per questo la vicenda campana dell’ultima settimana fa il paio con quella del Milan.

Possiamo quasi affermare con pacatezza che il messaggio è stato forte e chiaro, nonché ben recepito dai diretti interessati. Si può quindi procedere nel lavoro per il dopo elezioni su basi rinnovate, come emerge dalle parole di uomini che mai parlano a caso come Romano Prodi e Giorgio Napolitano. Molto probabilmente servirà un ampio accordo di governo e difficilmente ne saranno esclusi il PD e Forza Italia.

Ma sarà un accordo ampio, ben diverso (nella forma e nella sostanza) da un governo con due soli “riferimenti”.

*editoriale tratto dall’ Huffington Post

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