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22 Novembre 2024 07:21

La Corte Costituzionale ha deciso: il ricorso sul voto all’estero è inammissibile

La questione di legittimità costituzionale sul voto per corrispondenza degli italiani all'estero era stata sollevata dal Tribunale di Venezia nell'ambito di una causa riferita al referendum. Come votano e quanti sono gli Italiani sparsi in 177 Paesi, cui si aggiungono poco più di trentamila italiani temporaneamente all'estero, Oltre 700 mila elettori in più delle scorse politiche.
la sede della Corte Costituzionale

ROMA –   La Consulta ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sul voto all’estero per corrispondenza. Quindi non cambia nulla per le prossime elezioni elezioni del 4 marzo. La Corte Costituzionale  si legge nella nota diramata al termine della camera di consiglio, non è entrata nel merito della questione, a causa di un “errore di percorso” . I giudici costituzionali hanno infatti stabilito che “nel contesto di una procedura referendaria è inammissibile chiedere in via preventiva al Tribunale di sollevare la questione di costituzionalità di leggi elettorali. In questo caso, infatti, non esiste una ‘zona franca’ che giustifichi un tale accesso preventivo e diretto. Difatti, la legge sul referendum, e il successivo regolamento di attuazione, prevedono espressamente che contro le operazioni di voto si possa proporre reclamo davanti all’Ufficio centrale per la circoscrizione estero e che, successivamente, possa intervenire anche l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, organo legittimato a sollevare l’incidente di costituzionalità”.

comunicato stampa Consulta

La questione di legittimità sul voto all’estero per corrispondenza era stata sollevata dal Tribunale di Venezia, nell’ambito di una causa riferita al referendum costituzionale del dicembre 2016 e promossa da un cittadino italiano residente in Slovacchia. Il giudice veneziano aveva sollevato dubbi di “contrasto” delle norme contenute nella legge Tremaglia con l’articolo 1, secondo comma, della Costituzione, inerente il principio della sovranità popolare, e con l’articolo 48, secondo, terzo e quarto comma, della Costituzione, che riguarda la personalità, la libertà e la segretezza del voto e l’effettività del voto all’estero.

Gli italiani all’estero ci riprovano. Prima esclusi, poi vituperati, a volte sospettati, i connazionali che hanno il diritto di votare anche se lontani da casa avranno fino al 1 marzo per farlo e il loro peso, in un’elezione sospesa come questa, può essere determinante. Specie in considerazione del fatto che dalle ultime elezioni il loro numero è aumentato sensibilmente: da 3,4 a 4,3 milioni. Quelli che votano, però, non arrivano a un milione.

In un lungo servizio pubblicato sull’edizione cartacea, il quotidiano La Stampa fa il punto della situazione soprattutto per quanto riguarda il pericolo di brogli. E scopre che, tra codici a barre per rendere tracciabile il percorso delle buste, escamotage per evitare doppi invii o furbetti che provano a votare due volte e diplomatici in pianta stabile in tipografia per presidiare le schede, il Ministero degli Esteri memori delle polemiche e dei rischi del passato, ce la sta mettendo tutta per far sì che il voto all’estero sia limpido., e si sono organizzati con qualche novità e contromisura .

Come votano e quanti sono

Gli elettori sono sparsi in 177 Paesi, cui si aggiungono poco più di trentamila italiani temporaneamente all’estero, circa 700 mila elettori in più delle scorse politiche. Per loro, il Rosatellum non ha introdotto novità: votano ancora per corrispondenza come prescritto dalla legge Tremaglia del 2001. Le schede arrivano a casa per posta, si vota indicando le preferenze a differenza di quanto succede in Italia e si rispediscono entro il 1 marzo alle 16 alle sedi diplomatiche. Che provvederanno a inviarle su 120 voli verso Castelnuovo di Porto, dove la Farnesina avrà terminato il suo compito: sarà la Corte d’Appello di Roma a garantire lo scrutinio in circa 1.700 seggi. In palio per l’estero 12 deputati e 6 senatori: un bottino che in passato, in occasione di risultati incerti, ha fatto la differenza.

 Quando il parlamentare eletto all’estero ha fatto la differenza 

Nel 2006 vinse per un soffio fu l’Unione di Romano Prodi. Cinque anni fa, i voti all’estero furono determinanti per giocarsi il titolo di partito più votato tra Pd e M5S

Una storia di brogli e tradimenti

In 12 anni di voto degli italiani all’estero ci sono state denunce, inchieste, servizi tv sui trucchi per taroccare le elezioni. Le schede destinate ai connazionali vengono contraffatte, falsificate, fotocopiate, sottratte ai legittimi proprietari, prestampate con tanto di croce sul candidato, cestinate, bruciate, comprate e rivendute per 5-10 euro ciascuna. Pre quasi vent’anni Mirko Tremaglia, fece “lobbing” fino a strappare nel 2001 la legge che porta il suo nome. Il primo a denunciare anomalie fu proprio lui, nelle elezioni politiche nel 2006, vinte da Romano Prodi poi ‘tradito’ da un senatore italo-argentino: Luigi Pallaro, inizialmente vicino a Berlusconi,  poi passato a sinistra e tornato in extremis nel centrodestra.

 Antonio Razzi: eletto in Svizzera con Di Pietro, transitò con Scilipoti da Berlusconi  all’epoca dei ‘responsabili‘, fino a diventare in un crescendo grande estimatore del leader coreano Kim Jong-un, ancora, Sergio De Gregorio, leader del movimento Italiani nel Mondo che raccontò al pm Henry John Woodcock di essere stato pagato da Berlusconi per far cadere Prodi.

Come funziona all’estero

In Paesi come la Gran Bretagna, scrive EuroNews gli “expats” che vivono all’estero da più di 15 anni perdono il diritto di voto, in Germania dopo 25, in Canada dopo addirittura 5 anni. Nelle Filippine bisogna dichiarare di voler tornare a risiedere sul territorio entro tre anni. Altri, come Israele, Taiwan, El Salvador e la Slovacchia consentono agli espatriati di votare ma solo a condizione che questi tornino fisicamente a mettere la scheda nell’urna.

 Il voto via posta è garantito in Italia, ma anche negli Stati Uniti, in Spagna e Portogallo e in alcuni casi anche in Canada e Regno Unito. Polonia, Lituania, Ucraina, Colombia, Venezuela, Peru, Francia, Russia, Svezia, Giappone ed altri stati attrezzano ambasciate e consolati per la tornata elettorale – un po’ come succedeva anche da noi. La Francia ha fatto qualche sperimentazione con il voto online.
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