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22 Novembre 2024 09:47

Cerved: “I Comuni italiani hanno bisogno di un credit manager”. Più di 23 miliardi i crediti “difficili”, quasi la metà delle entrate correnti

Stando ai bilanci 2016, la situazione peggiore è nel Centro-Sud, ma non mancano problemi al Nord e nelle metropoli. Nespolo: “La PA dovrebbe dotarsi di strumenti per rientrare dei crediti problematici prima che le ricadute sui cittadini diventino troppo pesanti”. E Cerved lancia un servizio dedicato.

ROMA  – Secondo i bilanci 2016, gli ultimi disponibili, sono più di 23 miliardi di euro i crediti che i circa 8.000 Comuni italiani faranno fatica a riscuotere, il 15% in più rispetto ai 20 dell’anno precedente. A dirlo è Cerved, primario operatore italiano per l’analisi del rischio e la gestione del credito, che ha fatto un’attenta analisi dei bilanci. Un fenomeno in aumento, dunque, a cui sarebbe opportuno rispondere con strumenti dedicati, come la linea di servizi di supporto alla riscossione sviluppata da Cerved.

Si tratta di crediti di parte corrente – tasse come IMU, TARI, TASI, TOSAP (occupazione di spazi pubblici), ma anche entrate patrimoniali come multe stradali o rette scolastiche – che però sono sorti da almeno 12 mesi e quindi vanno contabilizzati in una specifica voce di bilancio. Parliamo di quasi la metà del totale delle entrate (47%) che siccome non è stata incassata entro un anno ha un’alta probabilità di non venire incassata mai, perché più passa il tempo e peggio è.

Marco Nespolo A.D. CERVED

“La Pubblica Amministrazione, così come le aziende private, dovrebbe cercare di rientrare dei crediti nella più alta percentuale possibile e in poco tempo, in modo da avere la liquidità necessaria per pagare i fornitori ed erogare i servizi ai cittadini – commenta Marco Nespolo, amministratore delegato di Cerved -. La soluzione è affidarsi a chi ha sviluppato strumenti e procedure dedicate che permettono di intervenire tempestivamente in via bonaria e stragiudiziale, recuperando tra il 30 e il 40% del denaro nell’arco di settimane o di mesi, mentre affidarsi alle cartelle esattoriali significa seguire un iter burocratico che fa passare in media 5 anni per arrivare a incassare non oltre il 5%. Questi 23 miliardi non ricossi, che rappresentano una seria carenza di liquidità per i Comuni, hanno altissime probabilità di tradursi in buchi di bilancio permanenti, con ricadute pesanti su tutti i cittadini. I Comuni più virtuosi hanno cominciato ad accorgersene, con ottimi risultati in termini di costi/benefici. È incredibile quante situazioni si risolvono con un approccio proattivo, oltre a riflettersi positivamente sul rapporto con il cittadino, che sente la PA più collaborativa, meno distante e vessatoria”.

Le situazioni più delicate riguardano il Centro-Sud: con circa 506 euro di crediti per abitante non incassati da più di 12 mesi contro una media italiana di 207, la Calabria conquista la “maglia nera”, seguita da Campania (410 euro), Sicilia (361 euro), Lazio (327 euro), Molise (278 euro), Abruzzo (270), Umbria (257), Toscana (250), Puglia (244), Sardegna (193), Basilicata (170), Liguria (164), Valle d’Aosta (143), Emilia Romagna (116).

Viceversa, le regioni con i Comuni più virtuosi, con un credito non riscosso pro-capite inferiore ai 100 euro, risultano Trentino Alto Adige (51 euro), Veneto (56), Friuli Venezia Giulia (70) e Lombardia (84), Piemonte (94), Marche (96).

Si possono raggiungere anche livelli patologici, come nel piccolo territorio di Las Plassas, in Sardegna, dove si è arrivati a superare i 5.000 euro per abitante, o le Isole Tremiti (più di 4.000). Anche se si considerano i Comuni maggiori, con almeno 100 mila abitanti, non mancano casi critici: a Napoli, Reggio Calabria, Roma e Salerno i crediti sorti da più di 12 mesi sono abbondantemente oltre i 1.000 euro a persona, con un’incidenza che supera il 100% delle entrate correnti. Viceversa, Forlì, Trento e Vicenza hanno un ammontare di crediti “anziani” che non supera il 5% del totale delle entrate correnti.

Performance così eterogenee non dipendono solo da divari territoriali, che pure rappresentano un fattore importante. Il ruolo dei comuni e di chi ne gestisce l’attivo può infatti essere determinante.

Il quadro normativo non aiuta. Manca infatti una disciplina organica e le regole sono poco chiare e datate: gli strumenti per la riscossione coattiva sono regolati da un Regio Decreto del 1910. Tuttavia i comuni possono già esternalizzare le “funzioni di supporto o propedeutiche all’accertamento o alla riscossione” a soggetti specializzati. Quelli che lo hanno fatto, hanno ottenuto risultati brillanti, con benefici indiretti anche sulle tendenze dei contribuenti e quindi sui numeri della riscossione spontanea.

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